La denuncia carica di rabbia di Mauro Carbonaro: «Voleva dimostrare le cause del suo male. Ma è come se le perizie tossicologiche non interessino a nessuno»
«Mio fratello è morto senza una risposta»

«Salvatore aveva scritto al ministero della Difesa e alla presidenza della Repubblica appena ricevuta la diagnosi della sua malattia. Era il maggio del 1999. Non ha mai ricevuto una risposta, né dal ministero, né dal Quirinale. E' morto nella notte tra il 5 e il 6 novembre del 2000. Nessuno ci ha mai fatto sapere nulla nemmeno dopo la sua morte».

La voce di Mauro Carbonaro è rotta dal pianto.

«Mio fratello ha ripetuto fino all'ultimo tutta la sua rabbia. Da quando ha letto la diagnosi ha detto fino alla fine: è stata la missione in Bosnia, mi sono ammalato lì, voglio sapere la verità, tutta la vertità, mi devono spiegare il perché. Non ha fatto in tempo. E' morto senza che nessuno gli desse una risposta».

Lei ha chiesto il riconoscimento della causa di servizio al Ministero della Difesa. Ha comunicato alle autorità di essere in possesso di un documento che attesta l'esposizione di Salvatore a sostanze altamente tossiche. Di cosa si tratta?

«Della perizia di una tossicologa che attesta come mio fratello sia stato a contatto con il benzene, sostanza altamente tossica. Ho anche fotografie di Salvatore accanto a mitragliatrici che potrebbero aver sparato proiettili all'uranio impoverito. Pare però che quei documenti non interessino a nessuno. Della morte di Salvatore si parla ora in relazione alla sua missione in Bosnia solo perché un giornalista della “Provincia pavese” si è incuriosito per questo decesso e mi è venuto a cercare.»

Salvatore ha scritto un memoriale durante la sua malattia. Cosa ricostruisce in quelle dieci pagine?

«Tutto ciò che ricordava delle sue due missioni in Bosnia. Cosa faceva, dove lo faceva: ogni spostamento è registrato in quelle pagine. Durante la prima, due mesi nel 1998, aveva lavorato al servizio vettovagliamento. Aveva deciso di tornare in Bosnia a dicembre dello stesso anno per guadagnare un po' di soldi. E' stato allora che si è ritrovato addetto all'armeria: fino a febbraio, finché non è tornato in Italia, è rimasto lì dentro a pulire le armi. Nel suo memoriale ci sono scritti tutti i dettagli delle sue mansioni. ce ne ha parlato fino al pomeriggio del 5 novembre, finché non è entrato in coma. Era puntiglioso nella ricostruzione perché era disperato: era convinto di essersi ammalato lì e voleva riuscire a dimostrarlo.»

Salvatore era stato avvisato dei rischi che correva? Le risulta che nel contingente si prendessero precauzioni contro un eventuale contaminazione?

«Né i suoi superiori né nessun altro l'avevano mai avvisato di nulla. Salvatore è andato lì assolutamente inconsapevole dell'esposizione al rischio di contagio da uranio impoverito. Voleva solo partecipare a quella che pensava fosse una missione di pace. Si era diplomato pochi mesi prima di partire. Voleva guadagnare un po' di soldi da portare a casa. Invece è tornato con una condanna a morte.»

Angela Nocioni
Roma, 3 gennaio 2001
articolo da "Liberazione", 3 gennaio 2001