Dopo le grandi battaglie globali ora l'obiettivo è ottenere vittorie concrete

2004, anno di sfide per il movimento

Un riesame dell'anno trascorso e le priorità per il nuovo anno

L'avvio di un anno nuovo è per tutti tempo di bilanci e di progetti. Questa consuetudine diventa oggi un'esigenza irrinunciabile dentro il movimento, in particolar modo se si condivide l'idea secondo la quale siamo ormai entrati in una nuova fase che necessita urgentemente di una discussione e, possibilmente, di una sintesi collettiva.

Indico quelli che, a mio parere, sono le caratteristiche e gli eventi che hanno maggiormente segnato gli ultimi mesi e le priorità che stanno davanti a noi.

  1. L'impatto del movimento sulle società occidentali, e non solo in Italia, è stato, in questi ultimi anni, di enorme ampiezza: ha evidenziato non solo l'ingiustizia, ma anche l'insostenibilità dell'attuale modello di società; ha elaborato e divulgato proposte alternative, concretamente realizzabili, nei più disparati campi dell'agire umano; ha contribuito in modo decisivo a determinare la crisi dell'egemonia culturale del liberismo; ha reso possibile la formazione, in particolare tra le nuove generazioni, di immaginari collettivi autonomi dal sistema di valori attualmente dominante; ha costruito una rete mondiale di decine di migliaia di realtà in grado di definire obiettivi e campagne comuni ed al tempo stesso di preservare la propria autonomia e la propria specificità.
  2. L'identità collettiva si è formata principalmente attraverso la partecipazione ad alcune grandi battaglie globali: l'impegno e la ricerca attorno a nuove forme di democrazia capaci anche di travalicare i limiti della sovranità nazionale e quindi di contrapporsi al potere illimitato delle principali istituzioni liberiste quali il Wto, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale; le campagne contro i brevetti e le politiche sanitarie dominate dal monopolio delle grandi case farmaceutiche; la difesa dei beni comuni, prima di tutto l'acqua e quindi l'istruzione e la sanità, sottraendoli alle politiche di privatizzazione; la denuncia del protezionismo agricolo degli Usa e dell'Ue che condanna milioni di persone a soffrire la fame non solo nel sud del mondo. L'insieme di queste pratiche di attivismo ha costituito il fertile retroterra nel quale si è sviluppato il movimento per la pace, protagonista della più grande mobilitazione che l'umanità abbia mai prodotto.
  3. L'enorme consenso raccolto nell'opinione pubblica mondiale non ha potuto fermare la guerra. Lo sbandamento prodotto dalla consapevolezza dei limiti della nostra azione, almeno nei tempi brevi, è stato solo parzialmente recuperato dalla seppur importantissima vittoria conseguita a Cancun contro il Wto. L'evidente impossibilità di raggiungere risultati definitivi a livello globale rende necessario riversare nei territori locali l'immensa forza accumulata in questi anni con l'obiettivo di ottenere alcune concrete e visibili vittorie, seppure parziali. Sono almeno due le ragioni di questa urgenza: offrire una concreta e tangibile esperienza di cambiamento alle popolazioni del sud del mondo proponendo quindi il movimento come alternativa insostituibile al terrorismo; trasformare il consenso culturale e d'opinione, che circonda il movimento, in pratiche sociali ed in cambiamento politico nei Paesi occidentali.
  4. E' quindi prioritaria la necessità di raccogliere le molteplici anime del movimento attorno ad alcune mirate e selezionate campagne nazionali ed europee. Campagne con obiettivi specifici e dichiarati, la cui efficacia sia valutabile nel tempo e che, senza mortificare l'impegno specifico di ogni singolo gruppo, costituiscano il terreno comune d'azione e di qualificazione del movimento. Dobbiamo avere la capacità di articolare anche su obiettivi nazionali, concreti e, almeno parzialmente raggiungibili, le iniziative contro la guerra lanciate dalle associazioni pacifiste statunitensi. Sarebbe, ad esempio, opportuno costituire una piattaforma in grado di indicare un terreno comune d'azione verso, ma anche dopo, il 20 marzo: il ritiro dei militari dall'Iraq e dall'Afghanistan, la difesa del diritto del popolo Palestinese ad avere un proprio Stato, l'inserimento del rifiuto della guerra nella futura convenzione europea (il fallimento del semestre italiano ci permette di guadagnare tempo per rilanciare tale obiettivo), ma anche il taglio delle spese militari, l'obiezione fiscale, le sperimentazioni di piani territoriali condivisi con le forze sindacali (o sui quali incalzare i sindacati) di riconversione produttiva delle fabbriche d'armi, ad esempio a Brescia (o anche quest'anno ci limiteremo all'ormai periodica manifestazione contro Exa, la mostra delle armi leggere?), il rilancio della campagna contro le banche armate….
    E' necessario pensare ad una molteplicità di pratiche in grado di essere poste in atto dal maggior numero di persone possibile e non solo dalla parte militante del movimento, alla quale compete un ulteriore fondamentale compito: avere la fantasia per attivare iniziative di disobbedienza nonviolenta capaci di raggiungere obiettivi concreti e allo stesso tempo di allargare, e non di restringere, il consenso.
    Una simile articolazione sarebbe necessaria non solo nell'impegno contro la guerra, ma in tutte quelle campagne che, a mio parere, dovrebbero costituire le priorità del movimento nei prossimi mesi: la lotta contro la privatizzazione, comunque camuffata, dell'acqua; l'impegno per i diritti e la cittadinanza degli immigrati e la battaglia per la democrazia nella società e nei luoghi di lavoro.
  5. Nelle lotte della popolazione di Scanzano e in quelle dei lavoratori dei trasporti vi è l'eco delle speranze e della dignità riaffermatesi, in questi ultimi anni, attraverso la presenza del movimento dei movimenti. Spetta ora ai protagonisti di queste importanti esperienze, ma anche a tutti noi, avere la capacità di generalizzarne gli obiettivi: dal rifiuto di un qualunque ritorno al nucleare, alla difesa del trasporto pubblico e delle condizioni di vita materiali dei lavoratori. Le grandi manifestazioni per la difesa delle pensioni, la pervicace vertenza della Fiom, la mobilitazione contro la legge Gasparri e le purghe televisive governative, fino all'ampia opposizione al disegno di legge proibizionista proposto da Fini sulle droghe, mostrano una società non pacificata, disponibile a mobilitarsi lì dove le grandi parole d'ordine, lanciate dal movimento a livello globale, s'intrecciano con obiettivi concreti, materiali e facilmente individuabili a livello di massa. Tutto ciò costituisce una riserva di energia infinita; è necessario prestare la massima attenzione per evitare ogni rischio di autoreferenzialità e orientare tutte le nostre forze alla costruzione della massima unità possibile attorno ad obiettivi precisi e radicali.
    Infatti non dobbiamo offrire alcun alibi, dietro il quale celare il proprio dissenso, a chi dovesse scegliere di sottrarsi ad un percorso condiviso. E' questo lo strumento fondamentale per fare emergere l'ambiguità dell'area moderata del centrosinistra quando cerca di collocarsi strumentalmente dentro il movimento pur essendo molto lontana da posizioni antiliberiste. Dobbiamo operare perché le differenze siano evidenziate pubblicamente in modo tale da permettere ad ognuno di compiere le proprie scelte in modo consapevole.
  6. La ricerca di tale chiarezza non ci deve impedire di continuare ad applicare la nostra principale regola: la radicalità nell'unità. Questa strategia va praticata anche nei confronti ad esempio della Cgil evidenziandone quello che, anche alla luce della firma pre-natalizia del contratto dei lavoratori dei trasporti pubblici, sembra essere un doppio binario: una linea politica avanzata ed in sintonia con il movimento, ad esempio contro la guerra e la presenza di truppe italiane in Iraq, ed una linea sindacale moderata, alla costante ricerca dell'unità d'azione con Cisl e Uil.
    Anche alla luce di queste considerazioni assume fondamentale importanza la costruzione di ambiti unitari d'azione sui temi condivisi, come fu, la scorsa primavera, il comitato Fermiamo la Guerra. Spetterà poi a noi, a tutti coloro che ritengono ad esempio che nell'epoca odierna la guerra non sia un'incidente della Storia, ma parte integrante dell'attuale fase della globalizzazione, evidenziare le contraddizioni di chi reputa ancora possibile una gestione dolce dell'attuale sistema liberista.
Vittorio Agnoletto
Roma, 9 dicembre 2004
da "Liberazione"