L'albero di famiglia delle tute nere. Tra punk e rivolte urbane, la geografia di una generazione che si ispira alla violenza di strada del passato.
Dagli States dei primi anni novanta al nord Europa del 2000, il Black bloc diventa un fenomeno internazionale.
BLACK BLOC: LA RIVOLTA SENZA POLITICA

Uno skateboard che si muove leggero. Sopra, in equilibrio ondeggiante, c'è un ragazzo come tanti. L'inquadratura della telecamera lo segue partendo dalle grosse scarpe da basket che porta ai piedi, poi, pian piano, sale disegnando il profilo di un paio di pantaloni militari neri, troppo larghi, e una maglietta scura, sporca. Fin qui niente di strano. Poi, alla fine, arriva Io stacco di uno zoom che rivela un passamontagna nero e apre lo sguardo a una strada devastata: da un lato, in primo piano, un'auto brucia capovolta, mentre sullo sfondo una densa colonna di fumo spunta dalla vetrina in pezzi di quella che doveva essere stata una banca. Questo il breve filmato trasmesso da Mtv, la rete di video musicali, all'interno di uno speciale palinsesto dedicato alle giornate di Genova. A commentare le immagini irreali del giovane che "surfa" sullo skate in mezzo a quello che sembra un paesaggio degno di Belfast, le note dei gruppi americani del cosiddetto pop-punk: ruba rumorosa, ma tutto sommato piuttosto addomesticata.

Un ragazzo corre sullo skate

Da dove cominciare per cercare di capire cosa ci sia sotto i passamontagna del Black bloc, che cosa costruisca l'identità e le idee di quelli che dai giorni del G8 vengono definiti come le "tute nere"?

A Genova abbiamo visto distruggere automobili, uffici, banche. Abbiamo anche visto però piccole sfilate di tamburini dei Black bloc, giovani sbandieratori che il giorno prima avevano provato per ore i loro gesti. Dunque si potrebbe cominciare proprio da quello skate visto in tv che si muove tra le onde di fuoco di una Genova trasfigurata in una scenografia da "Blade runner". La foto della devastazione, dei duri scontri e del saccheggio, e l'immagine quasi adolescenziale della piccola tavola a rotelle, poco più dei pattini, che da tempo ha conquistato un suo spazio di rilievo nelle culture giovanili. L'accostamento sembra paradossale, eppure, o torse proprio a maggior ragione, può risultare utile a leggere codici che sembrano volersi porre esplicitamente "altrove" rispetto alla politica che conosciamo: in uno spazio comunicativo fermo nel gesto, nel singolo atto, nella "performance", anche violenta, che non intende dialogare con niente e con nessuno. meno che mai - come si è ben visto nelle strade di Genova - con il resto dei movimenti e coloro che ne fanno parte.

Quanto sia il linguaggio delle sottoculture giovanili, con i loro riti e codici "immaginifici", piuttosto che quello della politica, a venirci in soccorso volendo decifrare i black blokers: ecco un possibile punto di partenza, anche se non esaustivo.

In larga parte assistiamo infatti ad un fenomeno che sembra situarsi a metà strada tra la "rivolta attraverso lo stile" di cui ha parlato a proposito delle bande giovanili e in particolare della sottocultura punk il sociologo inglese Dick Hebdige ("Subculture: the Meaning of Style", 1979) e la fascinazione esplicita, oltre all'aperta emulazione, delle forme che hanno assunto le rivolte urbane in Europa tra la fine degli anni settanta e tutti gli anni ottanta.

Dunque da un lato il prodotto delle devastazioni sociali prodotte dall'offensiva neoliberista e dalla "perdita di senso" del mondo circostante, ma dall'altro anche il formarsi, su una base che si potrebbe definire in previsione, planetaria, di una nuova sottocultura irriducibile, apparentemente almeno priva di sbocchi e di obiettivi concreti, se non l'espressione della violenza.

Si è definito il Black bloc come una"tattica" di piazza, un modo di manifestare violentemente ma senza una precisa organizzazione: in realtà la definizione più appropriata potrebbe forse essere quella di una "attitudine", un richiamo allo "stile", nell'abbigliamento come nella tecnica dello scontro che rimanda direttamente all'immaginario delle culture giovanili, al mondo dei giovani punk - hardcore con la cresta da moicani, che non all'esperienza, talvolta anche iperviolenta dei gruppi della sinistra radicale del passato.

La stessa denominazione di "blocco nero" risente di questa attenzione quasi esclusiva ai simboli, alla "coreografia" dei movimenti del passato, piuttosto che alla loro identità politica. Nella loro presentazione via Internet, coloro che si presentano come appartenenti al Black bloc spiegano così l'origine del loro nome e quale ne sia stata la prima ispirazione:

«Ci siamo ispirati al movimento degli "Autonomen" tedeschi, attivo fin dagli anni ottanta e famoso per le battaglie di strada che ha ingaggiato con la polizia e per aver posto una alternativa radicale a tutti gli altri movimenti di protesta. Lo stesso nome di "Black bloc" lo abbiamo tratto dal modo in cui la polizia tedesca chiamava questi gruppi, cioè "Schwarze block"».

Ad aver colpito chi ha deciso di riprendere quel nome - si badi bene con una formula simile a quella degli ultrà da stadio che si danno degli appellativi che riecheggiano i titoli della stampa a loro dedicati - è evidentemente l'immagine di durezza del blocco tedesco. Nelle manifestazioni del Primo maggio a Berlino tutti i componenti dello Schwarze block sfilavano con gli abiti rigorosamente neri, passamontagna dello stesso colore e come una componente separata dal resto delle manifestazioni, riconoscibile per la propensione a scontrarsi con la polizia.

Ma se l'idea stessa di costruire la propria immagine a partire da questo modello, e dal nome con cui la stampa e la polizia locale definivano quei gruppi tedeschi, la dice già lunga su cosa vogliano essere i Black bloc, anche la loro strategia di piazza è illustrata con tesi simili. E' la "rete" a dare voce al bloc che si presentano non tanto come una struttura organizzata, quanto piuttosto come un gruppo di individui che si raccolgono in occasione di manifestazioni di protesta, di mobilitazioni di piazza, adottando una identica immagine, abiti rigorosamente neri, e una comune attitudine violenta verso proprietà e merci,

Gruppi di affinità

Idea centrale per il Black bloc è quella dello sviluppo di «gruppi di affinità», non le classiche strutture organizzate dei gruppi politici, ma modalità informali di aggregazione in vista di questa o quella scadenza. Anche le azioni violente contro banche, sedi istituzionali, o semplici proprietà private, appaiono difficilmente inquadrabili in una precisa strategia. Come spiega un "comunicato" del Black bloc diffuso in occasione delle manifestazioni di Seattle del novembre del 1999: «Una vetrata di un megastore diventa una fessura attraverso la quale passa una ventata di aria fresca nell'atmosfera oppressiva di un ipermercato. Un distributore automatico di giornali diventa un attrezzo per creare questa fessura, o per fare una piccola barricata per richiedere spazio pubblico libero. Un cassonetto diventa un ostacolo all'avanzata di un plotone di sbirri antisommossa ed una fonte di luce e di calore. La facciata di un palazzo diventa una bacheca per messaggi per registrare illuminanti idee per un mondo migliore».

Se, come vedremo in seguito, è soprattutto negli Stati Uniti e poi nel nord Europa, nel corso degli ultimi dieci anni, che il bloc si è fatto notare come una delle tendenze giovanili presenti all'interno delle mobilitazioni anarchiche e antiglobalizzazione, i precedenti di un simile fenomeno possono essere facilmente cercati nelle rivolte urbane degli scorsi decenni. Volendo inseguire le radici e ipotizzare un possibile albero di famiglia del blocco nero si deve fare perciò necessariamente un lungo passo indietro.

Conflitti impolitici

Marco Grispigni, uno storico che si è occupato a lungo dei movimenti giovanili, ha riassunto con la formula di «conflitti impolitici» quella stagione di rivolte urbane che prese il via alla fine degli anni settanta, dapprima nelle inner cities della capitale britannica, per poi estendersi a macchia d'olio in tutta Europa. Grispigni ne offre una sorta di fotografia ("La città senza luoghi", Costa & Nolan 1997), raccontando le modalità e la portata simbolica di quei fatti. «C'è un primo sconti-o che sembra essere immediatamente "politico", con l'attacco ai rappresentanti dell'ordine. Subito dopo però c'è l'altra costante: il saccheggio. Negozi devastati, saccheggiati e poi incendiati si ritrovano nelle strade di quel caldo agosto londinese (...) nella quieta e borghese Zurigo, come nell'inquieta Berlino; di nuovo nei ghetti di Londra nel 1981, anche in circa altre trenta città inglesi; ad Amsterdam e a Francoforte. Il saccheggio e la riappropriazione delle merci coniugano la radicalità del conflitto all'accettazione del consumismo (...) ciò che manca in molti di questi conflitti sono le usuali rivendicazioni della conflittualità sociale e politica. Anzi a volte mancano del tutto gli obiettivi: il movimento si esprime e si esaurisce nella fattualità di un gesto di rivolta, nell'improvvisa fiammata insurrezionale, per poi rifluire lasciando alle proprie spalle, come un'onda, solo detriti». Significativo da questo punto di vista il caso svizzero. «Anche Zurigo, tranquilla, ricca e borghese, viene sconvolta a partire dalla primavera del 1980 da una violenta lotta giovanile che provoca duri scontri con la polizia per tutto l'anno» - scrive ancora Grispigni, aggiungendo - «Si legge sui muri della città: "Non vogliamo un mondo dove la certezza di non morire di fame si paghi con il rischio di morire di noia"; e ancora: "Rasate le Alpi perché si possa vedere il mare". I giornali dell'epoca riportano una serie di cronache apparentemente irreali, come quando a Brixton nel 1981, mentre il quartiere è già in fiamme, i giovani impediscono l'intervento dei pompieri, barricando le strade e tagliando le pompe dell'acqua, e spiegano ai cronisti: «Ci divertiamo e vogliamo goderci in pace l'incendio».

Già Mario Tronti si era soffermato sul fenomeno, riguardo al black-out di NewYork del luglio del 1977, quando «decine di migliaia di persone si riversarono di corsa nelle strade e cominciò una girandola di saccheggi».

In un lungo articolo sulle origini del Black bloc comparso lo scorso mese su alcuni siti anarchici americani, e firmato Daniel Dylan Young, si riafferma ancora questa eredità, per lo meno "simbolica" del fenomeno, dalle vicende europee degli scorsi decenni. In questa presentazione "storica" è come se lo sviluppo attuale del blocco nero fosse retrodatato, e di molto.

Sono descritti i movimenti che si sviluppano nel quartiere di Kreuzberg a Berlino e nella Hafenstrasse di Amburgo, ma anche nel resto del nord Europa, in Olanda, Svezia, Norvegia e a Christiania, la "città-alternativa" di Copenhagen. Si ripercorre in particolare lo sviluppo dello Schwarze block tedesco. Nell'inverno del 1980 la polizia dà l'assalto alle case occupate di Berlino Ovest, poi estende la sua repressione al resto degli squat del paese, fino a Friburgo dove vengono arrestate centinaia di persone. La risposta a questi fatti a Berlino prende la forma di un grande corteo, 15-2Omila persone che arrivano fino nel centro della città, nella elegante zona degli affari e da cui si muovono un migliaio di manifestanti che assaltano negozi e vetrine. Quindi le proteste si indirizzano verso i progetti di centrali nucleari, nella zona di Gorleben oltre 5000 persone si oppongono alla costruzione di un sito.

Così, inizialmente come risposta alla repressione poliziesca, poi via via come pratica abituale per tutti gli anni ottanta si sviluppa il "black bloc" tedesco: sempre più spesso prendendosela direttamente con quelli che sono identificati come simboli tangibili del capitalismo e dello Stato: banche, autosaloni, commissariati. Anche in Olanda il movimento degli squatters, i "kraakers" come vengono chiamati nel paese, conosce una rapida radicalizzazione quando nel 1985 uno di loro, Hans Kok, muore in un commissariato, dopo che la polizia ha attaccato le case occupate. La notizia della morte di Kok provoca una notte di saccheggi nel centro di Amsterdam. Nel 1986 si torna in Germania, alla Hafenstrasse di Amburgo. La polizia lancia un'operazione per sgombrare i numerosi squat della strada. Incidenti e scontri si susseguono per una settimana e sui circa diecimila giovani coinvolti emergono un gruppo di oltre millecinquecento Schwarze bloc. Alla fine, nei tredici quartieri che compongono l'agglomerato urbano di Amburgo si conteranno oltre dieci milioni di dollari di danni.

Quando nel giugno dell'anno successivo Ronald Reagan si reca a Berlino sui 50.000 manifestanti che scendono in piazza si fanno notare tremila "neri". Nel 1988 è l'incontro internazionale organizzato dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale a far muovere i block che attaccano negozi e banche dei quartieri ricchi del centro, mentre decine di migliaia di persone partecipano alle manifestazioni contro le istituzioni finanziarie del pianeta.

La festa del caos

Un'altra referenza "storica" che viene citata a più riprese è con il gruppo inglese di Class War che, per tutto il decennio thatcheriano ha alternato la satira velenosa contro la Lady di ferro, definita "mad cow", all'elogio di ogni forma di scontri e saccheggi nelle metropoli. C'è anche chi dice di ispirarsi però ai "kaoten" tedeschi e alle "giornate del caos", la grande festa della birra organizzata tutti gli anni dai punk ad Amburgo e destinata a concludersi inesorabilmente con scontri e scene di guerriglia.

lì Black bloc che abbiamo conosciuto a Genova durante il G8, sembra dunque situarsi al capolinea della "rivolta dello stile" del punk e dei "conflitti impolitici" vissuti dalle metropoli europee nell'ultimo quarto di secolo.

Emerge, per dirla con il ricercatore Valerio Marchi ("SMV, Stile maschio violento", Costa & Nolan, 1994) quella «sindrome di Andy Capp» che trasforma le sottoculture giovanili in fucine di violenza, e i loro protagonisti nei nuovi "folk devils" oggetto delle preoccupate attenzioni delle ricorrenti ondate di panico morale.

Ma il Black bloc si sviluppa accompagnando per tutti gli anni novanta il nuovo costituendo movimento contro la globalizzazione liberista, dagli Usa rielabora il materiale simbolico prodotto in Europa e rilancia in tutto il mondo una ipotesi di protagonismo violento e distruttivo.

Le radici nelle sottoculture metropolitane degli anni scorsi sono destinate a trasformarsi in quello che molti già considerano come una strategia internazionale della violenza? Per cercare la risposta a questi quesiti ci si dovrà spostare oltre oceano, per dialogare direttamente con le "tute nere".

Seattle, estremo nord-ovest d'America, nello Stato di Washington, a poche centinaia di chilometri dal confine canadese. Fino al novembre del 1999 questa città di modeste proporzioni, circondata da fitti boschi e laghi gelati, si era ritagliata uno spazio nell'immaginario giovanile internazionale per aver dato i natali a Kurt Cobain. il cantante, morto suicida, del gruppo dei Nirvana, e per essere considerata proprio per questo la capitale della "grounge-generation", la nuova ondata musicale della prima metà degli anni novanta fotografata anche nel film "Belli e dannati". Poi, le decine di migliaia di persone che, provenienti da tutto il mondo. si sono date appuntamento in città per quella data, per esprimere la loro contrarierà alla globalizzazione liberista in occasione del congresso del Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, hanno improvvisamente trasformato l'intero orizzonte. Era nato "il popolo di Seattle": per il movimento che si stava costruendo ovunque contro lo sfruttamento degli uomini e della natura, i media globali avevano trovato un nome e un simbolo. Ora che, dopo l'enorme mobilitazione di Genova contro il GB, sappiamo che quella moltitudine non ha fatto che crescete in questi due anni, passando per Porto Alegre, Davos, Praga e Nizza, dovremo tornare nuovamente tra le foreste dello stato di Washington per rintracciare invece il percorso di. un fenomeno che ha accompagnato a suo modo le tappe dello sviluppo del movimento anti-globalizzazione: quello del Black bloc.

La battaglia di Seattle: Disneyland del punk

«Circa duecento persone riunite in dei (due ? ndr) Blocchi neri hanno cominciato ad attaccare la proprietà privata delle multinazionali lasciando il percorso della manifestazione. Le vetrine delle banche, i negozi della Nike, dei caffè e dei negozi borghesi sono stati distrutti. e certi negozi saccheggiati, causando oltre sette milioni di dollari di danni alle multinazionali colpite. Degli slogan sono stati dipinti sui muri della città e l'arredo urbano (cassonetti per l'immondizia, cartelli stradali...) è stato trasformato immediatamente in strumento per la distruzione di vetrine, per costruire barricate o, ancora, in combustibile per accendere dei gioiosi fuochi. Per diverse ore intere parti della città sono state cosi liberate dalla presenza aggressiva della polizia e delle multinazionali e hanno costituito delle Zone Autonome Temporanee». Questa la presentazione delle azioni del Black bloc a Seattle, il giorno dell'inaugurazione dei lavori del Wto, il 30 novembre, offerta dalla rivista belga 'Alternative Libertaire'. Nel clima di violenta e indiscriminata repressione poliziesca che si abbatte su tutti i manifestanti nelle strade di Seattle, il comportamento del Blocco nero finisce confuso dai fumi dei lacrimogeni al quadro di caos che regna per tutta la durata del vertice dell'organizzazione del commercio. Qualcuno, sui media, parla di una città trasformata dalle devastazioni in una «Disneyland del punk»

La città di quarzo

Ma già prima di quelle giornate campali del novembre del 1999, che regaleranno ai blokers una sorta di pubblicità internazionale, negli Usa la loro notorietà era andata continuamente crescendo. Perché se c'è un paese in cui il Black bloc è andato assumendo uno spazio preciso e riconoscibile nel corso degli anni, questo è proprio l'America.

A questo punto, prima di ripercorrere le tappe di definizione, per strategia, età e ambienti di appartenenza, del Block negli States e la sua successiva esportazione nel nord Europa, vale la pena ritornare su una vicenda che proprio all'inizio dello scorso decennio ha segnato profondamente la società americana. Con evidenti riflessi sulle culture giovanili di strada e su quella parte dei movimenti radicali che a loro si ispirano in modo esplicito.

Alla fine di aprile del 1992 gli occhi dell'America e del mondo si fissano per giorni interminabili sulla gigantesca metropoli californiana di Los Angeles, la città-laboratorio della postmodernità capitalista descritta da Mike Davis nel suo libro "La città di quarzo" (Manifestolibri 1999). Dopo che una giuria manda assolti quattro poliziotti responsabili di aver massacrato di botte un automobilista nero di nome Rodney King, la città esplode in una rivolta senza precedenti. Per tre giorni decine di migliaia di persone danno vita a scontri violenti, incendi,e saccheggi, che iniziano nel quartiere proletario di South Central e finiscono per toccare perfino le residenze dei divi di Hollywood nella zona di Beverly Hills. Alla fine il presidente Bush Sr. farà intervenire i marines e la Guardia nazionale. «La miseria dei ghetti ha insegnato a questi giovani che i diritti, prima che su qualsiasi pezzo di carta, sono scritti sull'asfalto - spiega il sociologo Massimo Ilardi ("Ragazzi senza tempo", Costa & Nolan, 1993) - E' lì, sulle freeways, e tra i grandi centri commerciali e i supermercati scintillanti di merci che si gioca la partita. Il saccheggio non è solo razzia di beni, inno al consumo,è anche il linguaggio di chi a un certo punto decide che tutto ciò che è sulla strada gli può appartenere. Come "uomini del sottosuolo" hanno compiuto il loro gesto: hanno affrontato il potere in mezzo alla strada".

In un saggio significativamente intitolato «L'America di domani nel presente assediato di L A.» "Los Angeles. No justice, no peace", Manifestolibri 1992), un altro ricercatore, Andrew Kopkind, parlando delle gang criminali di Crips e Bloods, che contano su decine di migliaia di aderenti appartenenti alle varie comunità della città, scrive: «Lo sviluppo più interessante dei tumulti di Los Angeles è stato l'apparire di rudimentali organizzazioni del ghetto, che in alcune aree sono le uniche efficaci istituzioni sociali ancora in piedi nella desolazione urbana (...) Ma mentre l'organizzazione violenta delle bande dimostra una volontà politica rudimentale, non vi è indizio di alcun altro sviluppo politico (...) Le condizioni che hanno prodotto una classe economica inferiore e degradata hanno creato anche una sorta di cultura sottoproletaria in cui l'azione costruttiva collettiva è tanto remota quanto il sogno americano della prosperità della classe media e della sicurezza finanziaria».

L'in quello stesso 1992 che per la prima volta si parla negli Usa del Black bloc. Inizialmente nelle manifestazioni contro la guerra del Golfo si fanno notare dei gruppetti di giovani vestiti di nero e dal volto coperto: a Washington durante un corteo vengono distrutte molte vetrate del grattacielo che ospita la sede della Banca Mondiale e del Dipartimento del Tesoro. Quindi tocca alla California dove, nella città di San Francisco, un Blocco nero partecipa alle mobilitazioni indette contro la celebrazione del "Columbus Day", ribattezzato per l'occasione dai manifestanti «il primo genocidio della nazione». Sono i primi segnali di un fenomeno che andrà progressivamente emergendo verso la fine degli anni novanta in occasione di tutte le grandi manifestazioni del circuito "alternativo" statunitense, prima di diventare un appuntamento fisso anche per la mobilitazione anti global mondiale.

Primitivisti e Unabomber

Utilizzando ogni volta nomi diversi per definirsi, i gruppi locali che si rifanno all'idea del Black bloc, fanno di questa sigla una sorta di marchio senza copyright, dietro al quale si organizzano sulla base di contatti personali e di un minimo coordinamento. Indicazioni piuttosto chiare su quale sia il modello di funzionamento di quello che è definito come Black bloc, le offre ad esempio l'appello apparso in rete nell'ottobre del 2000, in vista del"Summit delle Americhe" che si è poi svolto a Quebec City quest'anno. Si trattava esplicitamente di un «appello per formare un Black bloc» in quell'occasione. «Noi ci poniamo nella stessa prospettiva di alcune recenti azioni che si sono viste a Seattle, Washington, Praga, ecc - spiegavano gli anonimi estensori del testo diffuso su internet, che aggiungevano - Non ci consideriamo certo come i dirigenti del movimento, vi proponiamo di organizzarvi da soli. Spetta a ciascuno di noi di raggrupparsi in maniera autonoma, per affinità, restando soltanto uniti sul terreno, secondo l'essenza stessa del Black bloc (...) La formazione di un gruppo di affinità, composto da cinque a dieci persone, voi e i vostri abituali compagni di lotta, è il primo passo. Uno o una dei partecipanti al gruppo dovrà occuparsi della comunicazione con gli altri gruppi che saranno presenti. In questo modo potremo coordinare le nostre azioni per ottenere il massimo dell'impatto». «In un sistema fondato sulla ricerca del profitto, la nostra azione è la più efficace, perché noi attacchiamo direttamente il porta-monete degli oppressori. Il saccheggio delle proprietà, come mezzo strategico di azione diretta, è un metodo efficace per raggiungere questi obiettivi. Non è solo una teoria...è un fatto», si può leggere in un comunicato diffuso da un gruppo "nero" a Philadelphia lo scorso anno.

Questi messaggi circolano su alcuni siti anarchici, anche se va precisato che, maggiormente in Europa ma anche negli Usa, le vecchie organizzazioni libertarie non vedono affatto di buon occhio Il "blocco nero" che considerano più come una nuova tendenza del punk e della marginalità metropolitana, che non come una vera esperienza politica. Lo stesso Chuck Munson, responsabile della "Alternative press rewiew" dl Washington, una delle poche voci pubbliche del Blocco nero, è piuttosto chiaro su questo punto:

«Bisogna fare i conti con la matrice culturale del Bb. che è sostanzialmente punk-rock. Gran parte degli attivisti gravita attorno al mondo punk e spesso adottano stili dl vita quasi settari, che rendono difficile il dialogo. Comunque il quadro sta cambiando parecchio». Volendo poi costruire un profilo culturale più articolato dei possibili blokers, emergono elementi assolutamente contraddittori, oltre a delle curiose figure di riferimento. Come John Zerzan, un vecchio scrittore anarchico di Bugene, cittadina dell'Oregon da tempo in corrispondenza con Theodore Kaczynski, l'uomo considerato responsabile delle azioni terroristiche firmate "Unabomber"; Zerzan sarebbe il capo-fila dl una componente detta "primitivista", contraria ad ogni elemento della modernità e votata a una vera furia luddista contro tutte le "macchine". Praticamente all'opposto le tesi di un giovane blokers intervistato da "Active Transformation", rivista dell'area del Missouri, che spiega: «I primitivisti ignorano gli aspetti positivi della tecnologia. Senza i computer non avremmo fatto nulla a Seattle». Altri, nel Black bloc, citano apertamente Hakim Bey e l'idea delle Zone Temporaneamente Autonome. «Gruppi autonomi ed auto-organizzati stanno sorgendo da qualsiasi "classe"e "subcultura".Vaste regioni dell'Impero di Babilonia sono ora virtualmente vuote, popolate solo dagli elicotteri armati dei Mass Media e da pochi poliziotti psicotici — scriveva su Dreamtime l'autore dl"T. A. Z." (Shake, 1993) - Naturalmente la morte del Capitalismo non prevede necessariamente la distruzione stile-Godzilla di tutta la cultura umana (...) Ciò nonostante (...) il cadavere che sogniamo avrà spasmi violenti prima che giunga il rigor mortis (...) NY e LA potrebbero non essere i posti peggiori nei quali creare il Nuovo Mondo; uno può immaginarsi interi sobborghi occupati, le gang trasformate in Milizie Popolari, ecc».

Quel che è certo, è che nello spazio di pochi anni intorno al Blocco si è creato in America una specie di mito, alimentato anche da musica e grafica, che attira molti ragazzi, spesso anche giovanissimi. In Internet, specie negli States, anche molto prima dei fatti di Genova, dei blokers si discuteva molto: della giovane età di un buon numero dei ragazzi che partecipano alle azioni violente indossando il passamontagna nero, ma anche del fatto che gli individui legati alle pratiche del bloc sono in gran parte bianchi, infine della loro attitudine spesso del tutto estranea ai resto dei manifestanti che incrociano il loro percorso. Così, ad ogni nuovo exploit del Blocco nero si sono alzate polemiche feroci e qualcuno è arrivato perfino a paragonare i loro camuffamenti con i terribili cappucci del Ku Klux Klan. Sta di fatto che negli ultimi anni negli Usa si è parlato sempre più spesso del bloc che ha assunto un suo spazio preciso nelle manifestazioni della sinistra radicale.

Da Philadelphia a Genova

A Washington nel 1998 una manifestazione «in favore dei prigionieri politici» sfila davanti alla Casa Bianca raccogliendo più di 5000 persone; il Black bloc raduna parecchie centinaia di giovani di ogni parte del paese: si tratta di piccoli gruppi provenienti da Boston, Detroit, NewYork, Philadelphia, Atlanta, Baltimora, San Francisco, ma anche da centri minori del Nord Carolina, della Virginia e della Florida. Il 24 aprile del 1999 la scena si sposta a Philadelphia, per la marcia denominata "Millions for Mumia". Il pezzo dei "neri" è più ampio, oltre un migliaio di persone dell'Est americano, di New York, ma anche del Canada, qualche vetrina finisce in frantumi. Poi, in novembre, tocca alla "battaglia di Seattle". Nell'aprile del 2000 si torna a Washington per la mobilitazione contro la Banca mondiale e il Fmi; nell'ambito delle grandi manifestazioni che si svolgono nella capitale federale, un "Revolutionary Anti-Capitalist Bloc" raccoglie oltre mille persone che si scontrano con la polizia, ma la tengono anche lontana dal resto del corteo. Il 1 maggio manifestazioni in molte città e grande presenza del Block a Chicago. In agosto prima c'è Philadelphia, dove si tiene la Convenzione Repubblicana, e quindi Los Angeles, che ospita quella dei Democratici. Nel primo caso è sotto la sigla di "Anti-Static Black Bloc" che si riuniscono i "neri" che saccheggiano banche e negozi e distruggono alcune auto della polizia. In California gli agenti attaccano direttamente il meeting da cui sarebbero poi dovuti muovere i manifestanti mentre è ancora in corso un concerto del gruppo "Rage Against The Machine", per alcune ore i blokers rispondono alle cariche e al lancio di lacrimogeni al pepe, che sono adottati dalle forze dell'ordine americane. Si arriva così al Summit delle Americhe, che si è svolto quest'anno a Quebec City, e che ha visto partecipare anche gruppi di "neri" impegnati in azioni contro i soliti "simboli del capitale", banche, vetrine, auto di lusso. Ma intanto, da fenomeno esclusivamente americano, il Black bloc comincia a sbarcare anche oltre oceano. A Melbourne, in Australia, un gruppo del Block preceduto da tamburini e sbandieratori come quelli visti a Genova, partecipa alle manifestazioni e agli scontri del settembre dello scorso anno in occasione di un incontro del Fmi. E, lungo la strada per Genova, sono Praga, Nizza, Davos e Goteborg, a portare i segni dell'arrivo in Europa delle tute nere. In Germania e in Scandinavia si avvicinano alle modalità "sceniche" del bloc alcune realtà impegnate nel circuito antifascista radicale. In Inghilterra prende forma un circuito più ampio. Il "Carnival Against Capital" organizzato a Londra il 18 giugno del 1999 sì trasforma in un assalto indiscriminato alla zona finanziaria della City, dove vengono distrutte banche e sedi delle compagnie multinazionali. In quell'occasione vengono distribuite ai manifestanti novemila maschere su cui è stata stampata questa frase: «Le autorità -temono le maschere perché il loro potere risiede proprio nella capacità di identificare e catalogare tutti gli individui: sapere chi sei. Per questo le nostre maschere non servono in realtà per nascondere la nostra identità, ma per rivelarla. Oggi, noi daremo a questa resistenza una faccia, mettendo le maschere riveliamo la nostra unità. E urlando nelle strade diciamo la nostra rabbia al potere (lui sì) senza faccia».

Infine. Genova. Sulla presenza di Black bloc di vari paesi al G8 è stato detto molto - anche se in Italia non si può certo ancora parlare di un bloc nostrano. Senza dover tornare sulle modalità organizzative messe in campo dai "neri" il 2O e il 2l di luglio, anche a scapito di tutti gli altri manifestanti, ci si potrà però soffermare brevemente sulle considerazioni che dopo quelle giornate sono venute proprio dall'ambiente dei blokers. Già in occasione delle azioni compiute dal bloc a Philadelphia contro la Convention Repubblicana la scorsa estate emerse chiaramente che danni e saccheggi erano stati compiuti anche contro auto e proprietà di persone della "working class". Con il risultato che un gruppo del Block fece un comunicato per spiegare che le azioni di devastazione indiscriminata erano da imputare ad altri e forse anche a infiltrati della polizia che volevano nuocere "al movimento". Poi c'è stata Goteborg, dove alcuni blokers hanno parlato dei tentativo di infiltrarsi compiuto da gruppi neonazisti con la copertura degli agenti. Lunedì un'anonima tuta nera ha messo in rete un messaggio che annuncia «la verità sul bloc a Genova» e parla apertamente di danneggiamenti insensati, contro auto di lavoratori, ed ella possibile presenza di agenti infiltrati e forse anche di nazi nelle "macchie nere" delle manifestazioni. I partecipanti al Black bloc rifletteranno su quanto accaduto in Italia, dice ancora il messaggio, c'è solo da sperare che provino un certo imbarazzo nel pensare di aver avuto al loro fianco dei professionisti della repressione. E che la prossima volta, da sotto al passamontagna rigorosamente nero, si pongano anche qualche domanda.

Guido Caldiron
Roma, 8 - 10 agosto 2001
da "Liberazione"