Un primo bilancio delle giornate fiorentine e del corteo. Intervista a Fausto Bertinotti

«E' il fenomeno politico più importante del nostro tempo»

Fausto Bertinotti è stato di gran lunga il politico più applaudito, riconosciuto, amato, nelle giornate del Social Forum. Un dato politico nient'affatto scontato: non era scontato, cioè, che un'assemblea di cinquemila giovani tributasse un'ovazione al segretario di Rifondazione comunista, applaudisse freneticamente i passaggi più radicali del suo discorso, si concludesse col canto corale di "Bella ciao" e "Bandiera rossa". E non si era forse ancora prodotta una connessione sentimentale così intensa, gramscianamente parlando, tra un Partito comunista - che certo fa della rifondazione uno dei propri tratti peculiari - e un movimento così "postnovecentesco", così geloso della propria autonomia, e diffidente per vocazione e natura del sistema partitico e istituzionale. Ecco un tema di riflessione, per le prossime settimane. Intanto, a Bertinotti abbiamo chiesto alcune impressioni a caldo.

Un primo bilancio di questa straordinaria giornata.

E' davvero un bilancio straordinario, e non parlo soltanto di questo corteo bellissimo, sterminato, pacifico. Il fatto è che il Social Forum ha vissuto nella combinazione di due fattori diversi: il laboratorio politico, da un lato, e la mobilitazione, dall'altro lato, l'agorà densa di dibattito e ricerca, e la manifestazione. Due gambe dello stesso processo costituente, la costituente di un nuovo popolo, che è poi il fenomeno politico più significativo e importante del nostro tempo.

Neanche questo risultato era scontato. Il movimento era stato dichiarato in crisi, non soltanto dai suoi avversari...

Qui emerge quella che possiamo definire l'"onda lunga" del movimento, che oggi ha ragione dei suoi avversari come dei suoi critici malevoli. Hanno provato in molti modi a distruggerlo: a Genova con la repressione aperta, dopo Genova con un tentativo dichiarato di intimidirlo e indebolirlo, quasi di "dirottarlo". Il movimento ha retto a tutto questo, anche perché, dopo Genova è riuscito a sfuggire alla spirale repressione\lotta\ repressione. E lo ha fatto dispiegando se stesso, con una partecipazione superiore ad ogni previsione. La tesi della crisi è stata cancellata come da una gomma. Attenzione, qui c'è il rischio di un malentendu, come dicono i francesi: il movimento è stato spesso letto con occhiali non adeguati, come se si trattasse di un Partito o di un sindacato, o come se fosse tenuto ad una continuità rettilinea. Questo movimento, in realtà, è "autocentrato", nel senso che ha la propria crescita come obiettivo primario. Non gli si può chiedere una identità programmatica di tipo classico: piuttosto, esso è portatore di un metaprogramma, di un punto di vista sul mondo, come per esempio la critica dell'economia, della politica, del potere, della scienza. La sua soggettività, perciò, si declina o per grandi obiettivi o per esperienze specifiche. E' soprattutto una cultura politica che avanza, si riconosce, si irrobustisce, contagia altri movimenti, rimette in moto il conflitto sociale....

Questo potrebbe far pensare a un'identità politica forte, ma generica. O no?

No, la politicità del movimento, così come lo abbiamo visto qui a Firenze, non è affatto generica. Un esempio? Durante la guerra in Afghanistan, i no global hanno molto contribuito alla costruzione del movimento per la pace: in quella fase, prevaleva la dimensione etica, dietro la quale c'era una notevole diversità di posizioni.. Oggi il rifiuto della guerra all'Iraq si coniuga al rigetto della dottrina Bush: è senza se e senza ma, è con o senza l'Onu. Insomma, è un punto politico netto e acquisito.

Il movimento non ama i partiti, ma con Rifondazione comunista ha un rapporto diverso - e arriva a tributargli un riconoscimento particolare. Perché?

C'è una risposta quasi ovvia: perché noi di Rifondazione siamo parte integrante di questo movimento, abbiamo puntato da tempo su un' internità autentica, non egemonica. Sai qual è stato uno dei passaggi più applauditi del mio intervento? Quando ho detto che ho un solo vero orgoglio: che sono in un Partito comunista che ha scelto di stare nel movimento come parte tra le parti. Così come mi pare che abbiano avuto un consenso pressoché unanime tutti i riferimenti di contenuto più radicali e più alternativi. Ti accorgi, invece, che nello stesso dibattito, la polemica con il centrosinistra viene certo condivisa, ma non da tutti, e non con la stessa convinzione...

Come se questo riconducesse il movimento ad una logica di schieramento al quale esso, o una sua parte importante, non vuole comunque piegarsi?

Forse è questo, forse è ancora un'altra cosa. Forse, nel momento in cui Rifondazione dispiega se stessa, se così posso dire, con i suoi contenuti e la sua radicalità, il movimento la percepisce fino in fondo come una parte di sè. Quando invece il Prc esprime il suo lato di partito - per esempio, appunto nella polemica con i "riformisti" - viene percepita, di nuovo, come una forza "parziale" - e il suo stesso segretario come un uomo di parte. E' un problema che ci rinvia, certo, alla questione più generale del rapporto tra movimento e politica, che non può essere riproposto come nel passato. In realtà tocca a noi, non a loro, saper rispondere all'interrogazione complessa di questa nuova straordinaria soggettività.

Rina Gagliardi
Firenze, 10 novembre 2002
da "Liberazione"