Aperto il vertice UE in una città invasa dai lavoratori e dal popolo antiglobalizzazione.
La Francia blinda il summit.
Lontana l'intesa sulle riforme istituzionali.
A Nizza, la protesta ruba la scena ai quindici.

E' stato il giorno della carta dei diritti, celebrata in pompa magna da tutti i capi di Stato e di governo presenti al Consiglio europeo di Nizza. Unica e magra consolazione (perché in ogni modo per le contraddizioni interne ai Quindici non sarà inserita nei Trattati) in una giornata dedicata in larga parte al dossier dell'allargamento dell'Unione europea, ma in cui alla fine la parte del leone l'ha fatta ancora il movimento sociale.

In apertura di conferenza stampa Jacques Chirac, presidente di turno dell'Unione, accompagnato dal presidente della Commissione Romano Prodi e dal primo ministro Lionel Jospin, ha dovuto cominciare con la condanna senza appello delle manifestazioni mattutine, quelle che hanno interessato tutta l'area del vertice e in cui si sono verificati diversi scontri con i cattivissimi poliziotti francesi schierati a difesa dell'Europa dei governi. Una condanna durissima, cui si sono accodati sia Prodi che Jospin (quest'ultimo dilungandosi sulla distinzione tra la manifestazione "buona" dei sindacati e quella "cattiva" degli alternativi), ma che allo stesso tempo rivela il colpo che il semestre di presidenza francese è costretto a subire. Come se non bastasse, i pesanti lacrimogeni sparati dalla polizia si sono infiltrati nei condotti dell'aria condizionata dell'Acropolis - immensa struttura congressuale dove i delegati dei vari governi sono stati accolti - provocando qualche lacrima trai convenuti. Lo stesso Chirac è stato visto piangere. Certo è che la Francia esce da questa prova molto ammaccata. In piazza la protesta, al vertice nessun accordo, almeno per ora. Ad uscirne indebolita è tutta la Francia nel suo insieme (oltre ovviamente all'Europa comunitaria).

Comunque vada, infatti, l'orgoglio nazionale della Repubblica è stato messo in difficoltà da un'iniziativa pressante e convinta della Germania, disposta a tutto pur di conseguire il risultato più importante: mantenere salda la direzione del processo d'allargamento e permettere a questo di svolgersi in condizioni ottimali, cioè con un'Unione in grado di funzionare, lì voto a maggioranza e la riforma della Commissione rispondono a quest'esigenza. Ieri Schroeder si è spinto fino ad ipotizzare la rinuncia al diritto di veto in materia d'immigrazione, pur di spiazzare l'avversario.

Chirac finora ha parato i colpi, ma non ha trovato alleati dipeso in grado di sostenerlo. L'Italia è stata vista a braccetto della Germania; la Spagna è in una posizione attendista, intenta a lucrare il massimo possibile per rafforzare il suo molo. E la Gran Bretagna, che ha moltissime difficoltà interne sulla sua presenza in Europa, sta cercando di guardare il corso degli eventi per collocarsi nella posizione a lei più congeniale. Il resto dei paesi è quasi tutto con la Germania, che comunque mantiene il boccino in mano.

Il silenzio dei socialisti

Neanche a Palazzo Matignon, sede del governo, c'è però molto da ridere. Lionel Jospin, e con lui gli altri governi socialisti europei, ha dovuto subire una netta contestazione di piazza che ha lamentato la mancanza dell'Europa sociale, quando proprio l'agenda sociale era stata il fiore all'occhiello del governo della gauche plurielle. Anche Robert Hue, che in genere calibra molto le sue parole, ha attaccato il semestre di presidenza francese, sottolineando che proprio sul terreno dei contenuti sociali si è registrato un fallimento. A queste contestazioni, ben rappresentate del resto dalla manifestazione del 6 dicembre, non si può rispondere, come pure Jospin ha fatto ieri, che la Carta sociale raccoglie le istanze sociali. Se anche fosse vero, il suo mancato inserimento nei Trattati rappresenta un ulteriore smacco.

E poi c'è la vicenda del Global Action Express fermato alla frontiera. Una pagina nerissima per la democrazia francese, per il suo spirito civile, per il suo governo di sinistra. Le potenzialità riformatrici, quegli stessi elementi di resistenza alla mondializzazione liberista, che seppur parzialmente hanno caratterizzato a più riprese il governo di Lionel Jospin, sembrano essersi interrotte di fronte al muro dell'ipocrisia e della difesa degli interessi forti, eretto a Ventimiglia. Una metafora eccellente dell'Europa che si prepara. Quei due giorni alla frontiera, infatti, sono l'emblema della frattura radicale che esiste, e che è destinata ad allargarsi, tra le suggestioni di rinnovamento e di benessere che i capi di Stato tentano di evocare, e le condizioni reali, i bisogni, le aspettative di chi da quel benessere e da quell'ipotesi di futuro si sente tagliato fuori. Il muro innalzato a Ventimiglia è il muro tra due mondi che non solo non riescono a comunicare, ma dei quali uno tenta di sopprimere l'altro, di impedirgli di esistere e di rendersi visibile. Si tratta di un volto inquietante che manifesta tutte le debolezze dell'Europa attuale: incapace di dare risposte sociali, incapace di rinnovarsi e di superarsi, di realizzare una

democrazia compiuta e rispettosa della volontà popolare, incapace anche di dare risposte certe a quei paesi che attendono il nuovo ingresso.

Parlando di questo, ieri, Chirac ha voluto utilizzare una retorica appiccicaticcia, riferendosi all'allargamento come ad un passo storico in direzione della riunificazione, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, della famiglia europea. Una famiglia di pochi e selezionatissimi invitati se è vero che per i paesi dell'Est, venuti ieri mattina qui a Nizza a perorare la loro causa, vengono previsti ancora esami e controlli a tappeto.

Il successo della protesta

In questo contesto le manifestazioni di Nizza costituiscono un indubbio successo e come tale sono state percepite da tutti i partecipanti. Il corteo del 6 ha rappresentato una prima assoluta sulla scena europea e sarà ricordato per questo. Quanto al resto delle mobilitazioni che tanta indignazione hanno suscitato in Chirac, Prodi e Jospin, ci sembra pertinente la grande soddisfazione di Christophe Aguiton, infaticabile trait d'union con tutto quello che si è mosso in questi giorni: da Attac, alle Marce europee, dal sindacalismo alternativo fino al treno di Ventimiglia, dove ieri ha partecipato ad un'assemblea con i partecipanti."Il successo per noi è doppio - ci dice durante l'ultimo meeting - perché la riuscita del 7 non sarebbe stata possibile senza l'imponente corteo del 6, ma anche la nostra (del movimento anti globalizzazione, circa l5 mila persone, N.d.R.) bella partecipazione a quel corteo non sarebbe stata così, forte e visibile, senza l'appuntamento previsto per oggi (ieri

per chi legge, N.d.R.): "Siamo riusciti - sottolinea ancora Agitino - a farci ascoltare dai governanti che hanno dovuto parlare di noi, ma anche a realizzare un importante passo avanti verso una maggiore unità tra il movimento sociale, quello dell'antiglobalizzazione, e le strutture tradizionali dei lavoratori, finora veri grandi assenti da questa lotta".

La situazione, in effetti, si presenta ricca di potenzialità e per certi versi migliore di Seattle, dove pure l'incontro tra queste due differenti soggettività aveva rappresentato l'elemento più rilevante. A Nizza, la quantità e la qualità dell'incontro è più forte e, a differenza degli Stati Uniti, si è potuto riscontrare un molo importante della sinistra alternativa. Presente, anch'essa, con sfumature e comportamenti diversi, ma con una combattività determinante. I Giovani comunisti, innanzitutto, che hanno saputo tenere una scena difficilissima e che, pur scontando la frustrazione per non essere riusciti a partecipare ad una mobilitazione eccezionale, hanno però evidenziato concretamente, con il treno fermo sui binari, i paradossi dell'Europa e della sua sinistra di governo. Il ruolo della LCR francese, formazione determinante per tenere le fila organizzative durante la giornata del 7, altrimenti caratterizzata da improvvisazione eccessiva e alla fine pericolosa peri manifestanti. E infine il PCF, poco visibile in quanto partito, ma il cui molo e la cui presenza nella CGT francese è stato determinante per infondere una combattività significativa al corteo sindacale del 6. Tre modalità di intervento differenti, tre modi diversi di essere sinistra alternativa, che lasciano ben sperare per il futuro dell'altra Europa, la nostra.

Salvatore Cannavò
da "Liberazione" 8/12/2000
Nizza, 7 dicembre 2000