Il prossimo 6 Dicembre si celebrerà a Nizza un ritorno al passato,
giuridico, politico e sociale.
Sbandierato come evento della futura costruzione di un Europa politica, dopo
quella bancaria e delle monete, l'approvazione della Carta dei diritti
europea rappresenta al contrario la registrazione di un'idea di Europa dove
il credo liberista domina incontrastato.
Liberista e liberale, questa carta, che abolisce le conquiste giuridiche in
materia sociale del dopoguerra, si distingue per la sua natura tecnocratica e
di costituzione concessa, dalle burocrazie e dai governi europei agli
euro-cittadini.
La carta nasce infatti da commissioni senza alcun mandato popolare, né alcun
dibattito su ragioni, meriti e fini dell'istituzione europea che abbia
coinvolto soggetti altri da insigni giuristi del continente.
Sta in questo primo dato, a nostro avviso, al di là di enunciazioni pur
apprezzabili presenti nel testo, il carattere regressivo di quest'atto.
Perché è nel solco delle costituzioni ottriate e concesse, dalle pur poco
illuminate elite europee, che questa carta si inscrive.
Se poi ad approvarla si ritrova tutto l'arco parlamentare italiano, ad
eccezione di Rifondazione Comunista, questo ne disvela ancor di più la sua
natura sociale, profondamente liberista.
In questo senso, il fatto che a Nizza manifestino i lavoratori e quei giovani
che hanno dato vita in questi mesi al movimento antiglobalizzazione è una
risposta necessaria, opportuna quanto mai per ribadire la centralità del
processo partecipativo e democratico, negato anche in quest'occasione di
costruzione europea.
Gli altri motivi che ci spingono ad essere a Nizza sono nelle deficienze di
questa Carta.
In primis il fatto che scompaiano i diritti sociali affermatisi in tutte le
costituzioni del dopoguerra, sui limiti della proprietà privata, la sua
subordinazione ad interessi sociali e collettivi. Al di là di richiami
generici ad una generica solidarietà, gli impegni che nelle costituzioni
europee obbligavano i legislatori ad una azione tesa a combattere le
disuguaglianze sociali, le finalità di tipo universalistico sono cancellate.
Non basta a sopperire a ciò il rimando alle Costituzioni nazionali. Anzi, il
rischio è di vedere , un domani, Costituzioni cambiate in senso peggiorativo
proprio attraverso il richiamo alla Carta europea. Questa nuova architettura
giuridica, inoltre, implicherà nei paesi un adeguamento alle finalità
economiche dell'unione, che rimangono quelle inscritte nei trattati di
Maastricht e nel Patto di Stabilità di Amsterdam, vere e proprie costituzioni
economiche di fatto, che fissano obiettivi di politica economica e finanziaria
inequivocabilmente liberisti e monetaristi.
A ciò si aggiungano le decisioni in materia di politiche per il lavoro prese
a Lisbona, vere e proprie
Il problema di un processo democratico e partecipativo, che allarghi la
democraticità delle istituzioni europee, rimane quindi questione cruciale.
Fortunatamente i movimenti che stanno prendendo coscienza della necessità di
aprire questo livello di scontro politico, quello continentale, sono sempre di
più.
Nel nostro piccolo, come organizzazioni giovanili progressiste europee,
tentiamo di compiere questo salto, partendo dallo specifico di una condizione,
quella giovanile, con tratti uniformi nei diversi paesi dell'unione.
Tratti dati dalla ristrutturazione di classe, che segnano nella precarietà
una generazione, nell'attacco comune portato ai sistemi educativi pubblici,
nell'abbattimento di qualsiasi rigidità contrattuale e di allargamento
della fascia di precarietà e flessibilizzazione della forza lavoro.
Inutile ribadire come ad essere protagonisti della messa in atto di queste
politiche siano indifferentemente governi conservatori o di centro sinistra,
eccezion fatta per il governo francese, che ha tentato senza poi riuscirci
fino in fondo e con molte contraddizioni, di immettere elementi in contro
tendenza e di politiche neo kenesiane.
Per queste ragioni, oltre ad una mobilitazione unitaria, a Nizza porteremo una
comune piattaforma, che parte da rispettive campagne condotte nei nostri
singoli paesi su temi comuni, quali da noi la campagna sulla precarietà.
Forse è un timido passo, ma segna un avanzamento verso una presa di coscienza
della necessità di una critica a questa modernizzazione e ristrutturazione
capitalistica che veda protagonista la generazione della precarietà e del
dopo caduta muro di Berlino, che rompa il silenzio e l'unanimismo, e sappia
tentare una critica nuova e radicale agli assetti di potere e sociali di
questo inizio millennio.
I Giovani Comunisti sono stati in questo percorso promotori e animatori del
dibattito, della necessità non solo di internazionalizzare le lotte, partendo
da un coordinamento continentale, ma di costruire una cultura politica capace
di superare diffidenze ideologiche e misurarsi sulla critica all'esistente e
sulla capacità di far emergere su una scena politica europea dominata dai due
blocchi, popolare e socialista, la proposta di una sinistra antagonista e
alternativa che non si limiti a consultarsi periodicamente, ma inizi ad avere
un'anima politica.
Un tentativo sicuramente ambizioso, di difficile realizzazione, ma di cui
Nizza rappresenta un passo decisivo.