Genova ha chiuso il primo ciclo delle mobilitazioni contro la globalizzazione capitalistica. Un passaggio rilevante che affonda le sue radici nel Forum mondiale di Porto Alegre.
Da quell'esperienza il movimento italiano ha imparato a lavorare unitariamente, a far prevalere i contenuti sulle appartenenze e ha costruito le condizioni per un nuovo obiettivo: realizzare uno spazio politico comune - tanti forum sociali cittadini, un forum sociale italiano - con cui dimostrare che un altro mondo è possibile.
Uno spazio politico la cui sovranità è nelle mani di tanti individui, tanti soggetti, tante e varie forme più o meno organizzate.
Insomma, un'altra politica.

LA NUOVA POLIS

Non c'è dubbio, a Genova si è chiuso un ciclo. Un ciclo lungo della politica italiana, quello che aveva espunto le lotte sociali e la richiesta di un mondo migliore dall'agenda quotidiana, relegando la protesta sociale a culto di pochi nostalgici. Ma anche un ciclo breve, tutto interno alla nuova fase apertasi a Seattle, che culmina nelle fantastiche e terribili giornate genovesi, snodo cruciale del movimento antiglobalizzazione. Se dalla protesta contro il Wto, nel novembre '99 il movimento aveva compiuto una una marcia di autoaffermazione, incuneandosi nel mondo dell'informazione, entrando nell'agenda dei vertici internazionali, invertendo le priorità della politica di palazzo, con Porto Alegre prima, e poi con Genova, la sua esistenza diventa irreversibile.

LA FORZA DEL PROGEITO

A Porto Alegre il movimento aveva compiuto una maturazione decisiva, non tanto per la quantità di partecipanti, ma per il fatto di aver consegnato a una molteplicità di soggetti, di esperienze, di provenienze, di ambizioni e di progettualità, un'anima comune, una comune identità.

L'altro mondo possibile, l'idea che il neoliberismo sia d'intralcio ai bisogni dell'umanità, che i diritti dei popoli non siano sopprimibili, che le istituzioni internazionali siano illegittime, che la democrazia è un processo di partecipazione che si costruisce dal basso, che il mercato non è la fine della storia, sono acquisizioni nate nei punti più disparati del pianeta, ma che hanno trovato uno spazio di rappresentazione, una nuova polis - fuori dalle zone rosse - proprio nella città brasiliana. Questa capacità "visionaria", l'ipotesi dell'alternativa come prospettiva processuale e da costruire insieme, ha fornito alla ribellione di Seattle, il giusto passo e la giusta forza evocativa. Da Porto Alegre in poi nel variegato e molteplice movimento antiglobale si è radicata l'idea di avere delle idee, di essere portatori di un diverso assetto del mondo, la convinzione che anche la più piccola elaborazione o esperienza specifica avesse un valore universale se messo in relazione ad altre. E da lì in poi si afferma anche un'altra convinzione: il movimento è composito e nessuno lo può ricondurre a un unità formale — un partito, uno Stato, un campo — ma il movimento ha anche vocazione unitaria e sceglie di tessere una maglia di rapporti e relazioni molto stretta e molto ambiziosa.

Queste acquisizioni iniziano a influire sul ritmo delle mobilitazioni internazionali, che accentuano il profilo della proposta e affermano la necessità di spazi comuni, del riconoscimento reciproco e di collaborazione attiva.

Accade in Quebec dove si costruisce una rete unitaria per organizzare le manifestazioni contro l'Alca (le strutture alla fine saranno più d'una, ma tutte convergeranno nella pacifica e massiccia manifestazione conclusiva nella quale sfilano le organizzazioni sindacali e i gruppi più radicali). E, in preparazione di Genova, lo si riscontra anche in Francia, dove finora la mobilitazione aveva seguito una forma di organizzazione "verticale", centrata cioè su strutture consolidate, seppure di recente formazione come Attac. E invece nei mesi precedenti il controvertice di luglio si forma il collettivo unitario "Vamos a Genes", che vede la partecipazione di sindacati e studenti, di associazioni e di altre strutture tematiche che decide di realizzare una partecipazione unitaria e coordinata.

L'apice di questa modalità si realizza a Genova. Non è un mistero, infatti, che il Genoa Social Forum riceve una spinta decisiva proprio dalla comune esperienza brasiliana. Laggiù, nel Rio Grande do Sul, la delegazione italiana era già tra le più numerose e, guarda caso, decise proprio in quella sede di nominare Agnoletto suo portavoce, anche per influire sugli esiti di quell'avvenimento. Una delegazione che al ritorno trovò naturale continuare quell'esperienza, rafforzandola ed estendendola ad altri soggetti, a cominciare dal lavoro preparatorio che si era cominciato a svolgere nella stessa città di Genova. E così che nasce il Gsf, struttura medita ed efficace nella sua forma e nei suoi contenuti e capace di costituire una grande "rete delle reti", un luogo di sperimentazione della sintesi tra culture e modalità di azione differenti, il Social forum italiano, il possibile e naturale sbocco di quanto realizzato finora, in realtà era già nato a Porto Alegre, anche se alla sua definitiva proclamazione occorreva un evento fondativo.

IL RITORNO DELLA POLITICA

L'evento lo abbiamo visto vissuto ed è stato meraviglioso e tragico. Purtroppo queste due definizioni non possono essere disgiunte: le giornate di Genova non possono essere "sbucciate" dagli episodi di violenza per gustare solo il frutto della partecipazione di massa.

L'aggressione della polizia e l'espressione della nuova cittadinanza sono due espressioni simmetriche in cui la forza della seconda spiega la prima. Ma nonostante questa specificità, nel fumo e nel sole di Genova abbiamo comunque osservato ciò cui Porto Alegre aveva alluso, il ritorno della politica, la manifestazione diretta e senza mediazioni dei propri bisogni, delle proprie idee, delle proprie ambizioni.

Tutti quei gruppi e gruppetti, quelle centinaia di migliaia di persone che hanno deciso di prendere un treno, un autobus, mettere in comune un'auto, spostarsi anche sotto il peso dei diviete delle minacce, infine arrivare nonostante la tragedia della morte di Giuliani, nonostante la cappa plumbea con cui Genova era stata avvolta, tutto questo ha rappresentato uno smottamento del linguaggio e dell'agire politico.

Centinaia di migliaia di persone si sono impadronite della polis, una polis sequestrata dalla polizia e ridotta a silenzio dagli otto Grandi, ma che ormai - lo abbiamo scoperto il 21 luglio - non c'era più bisogno di accerchiare, semplicemente perché il suo centro era stato spostato un po' più in qua, dove c'erano i volti e le speranze di un mondo migliore. Sì, a Genova è ritornata la politica, quella vera, che non ha voce né rappresentanti, la politica delle idee e dei bisogni. E' una novità che non conoscevamo più da decenni, che molti di noi non hanno conosciuto mai, cresciuti nel rampantismo ideologico degli anni 80 e 90, anni in cui la politica si è sovrapposta a mestiere, identificata con l'arte del complotto e del tradimento, incancrenita nei corridoi di Palazzo.

A Genova invece si è cominciato a prendere il futuro nelle proprie mani: e come sempre è accaduto all'improvviso.

SOCIAL FORUM DAPPERTUTTO

Riuscirà questo evento a darsi realmente un futuro, a non disperdersi nella suggestione del proprio microcosmo, a rappresentare efficacemente — unendo quindi democrazia e capacità di proposta — l'anima di Porto AIegre? La spinta a costruire solai forum cittadini che è già all'opera sembra rispondere positivamente a questa domanda.

A Roma circa mille persone hanno realizzate un'assemblea fino a tarda sera per dirsi questo; a Bologna il social forum è riuscito a far rivivere una data che sembrava dimenticata, il 2 agosto, sapendo esprimere una forma efficace di contestazione; quasi tutte le grandi città, come anche le piccole, hanno risposto positivamente alla manifestazione nazionale di martedì 24 luglio.

La polis, dunque, ridiviene luogo e occasione di organizzazione sociale; i social forum si pongono come strumento di adesione a un movimento globale, ma anche come elemento di contestazione della globalizzazione realmente esistente, riunendo al loro interno tanti piccoli frammenti. soggettività più o meno forti, ma comunque frantumate, realtà disperse. E' il segno della nuova fase, del nuovo ciclo che si apre e che rida speranza alla trasformazione sociale.

UN NUOVO PORTO ALEGRE

Dove potrà portare tutto questo? Il luogo più naturale è di nuovo Porto Alegre. E non solo perché lì si daranno appuntamento ormai i protagonisti della nuova politica planetaria — si calcola che siano 8O mila i partecipanti al secondo forum sociale, di cui 2O mila giovani ospitati da un mega campeggio ricco di iniziative politiche, il resto diviso in cinque distinte università capaci di contenerli tutti —perché quel luogo sia ormai un simbolo. Porto Alegre è un meta obbligata perché lì sono depositate le due chiavi essenziali per aprire un futuro al movimento: l'onere della proposta e la scommessa dell'organizzazione democratica.

Fare proprio lo spirito di Porto Alegre significa innanzitutto mettere insieme ciò che è possibile far stare insieme su un'ipotesi di prospettiva comune — la piattaforma dei movimenti sociali, ad esempio, che fra una settimana si riuniranno a Città del Messico per discutere di quale proposte portare in Brasile fra sei mesi; in secondo luogo significa organizzare il proprio agire politico in relazione ad altri soggetti, valorizzando l'elemento unitario pei realizzare un'impresa comune; significa, infine, costruire una dimensione internazionale per la nuova partecipazione politica. Una prospettiva difficile ma affascinante, quella che fa dire a Petrella che è l'ora "della Prima planetaria", per rompere la numerazione delle internazionali formatesi nel corso dell' 800 e del 900. Per questo sarà utile andarci con una discussione e un coinvolgimento preventivo, allargando il quadro delle possibili adesioni all'attuale Gsf, puntando a un Social forum italiano che raccolga l'esperienza di Genova e la sposti più in là nel tempo e nel progetto. Decine di migliaia di persone chiedono già questo.

Ma le stesse persone chiedono anche che tutto questo coincida con il rispetto della propria autonomia decisionale, con la possibilità di partecipare senza preclusioni, né inibizioni. Per la prima volta, forse, nel nostro paese si dà la possibilità di organizzare, o meglio di autogestire, un grande protagonismo di massa, restituendo sovranità a coloro che si impegnano in prima persona, le associazioni, le organizzazioni sindacali, i partiti, ma anche i gruppi più piccoli, le singole individualità. Tutto questo può comporre uno spazio politico nuovo, di cui anche il partito è solo una parte, che può guadagnare importanza, autorevolezza e legittimità per il fatto di rappresentare, con le sue idee, le sue proposte e con le sue forme unitarie, un'autorità morale e politica alternativa alle istituzioni esistenti. Questo nuovo spazio, queste nuove istituzioni, che dovranno certamente riflettere sul proprio tasso di democrazia, sulla possibilità decidere collettivamente senza artifizi precostruiti (pesa ovviamente l'incubo degli intergruppi o lo spettro degli errori del passato), sulla propria capacità di coinvolgere, indicano una possibilità: che forse non serve più violare le zone rosse, basta accerchiarle e costruirgli intorno un'altra città, un'altra polis.

Salvatore Cannavò
Roma, 5 agosto 2001
da "Liberazione"