... il pacifismo, la Banca etica, ATTAC, il commercio equo e solidale, il consumo critico, i bilanci di giustizia, i gruppi di acquisto solidale, l'ambientalismo intransigente, il terzomondismo radicale, i social forum che stanno sorgendo ovunque - stanno già parlando un nuovo linguaggio politico...

A PROPOSITO DI PACE, MOVIMENTO E TERRORISMO INTERNAZIONALE

Sommario

  1. Il tramonto delle ultime illusioni sulla globalizzazione "buona";
  2. I due volti speculari del terrorismo internazionale;
  3. I tentativi di disinnescare e vanificare la costruzione pacifista di un Altro mondo;
  4. Il rischio di manipolazioni dell'alternativa e la questione del movimento;
  5. Verso un "nuovo comunismo"

1. Il tramonto delle ultime illusioni sulla globalizzazione "buona"Sommario

Ciò che è accaduto in seguito all'11 settembre ha dissipato di colpo tutte le visioni ottimistiche e positivistiche della globalizzazione, quelle, per intenderci, che prefiguravano il dispiegarsi di un mondo unico globalmente governato e quindi anche localmente regolato da modelli e apparati universali di tipo economico-tecnocratico, la cui “macchina” avrebbe anche garantito al massimo la pacificazione dei conflitti. Nulla di tutto questo e con ciò hanno anche manifestato la loro natura "feticistica" tutte le interpretazioni ottimistiche e/o “neo- positivistiche” del postmoderno, quelle che vedevano nell’ “età del virtuale” il dispiegarsi di “un mondo unico, plasmato da estesi, intensi e rapidi flussi, movimenti e reti, che attraversano le regioni e i continenti”[1], un mondo abitato da una società civile uniformemente tollerante, accomunata dall’etica di un nuovo cosmopolitismo e ordinata da una governance globale multilivello.

In realtà il volto della globalizzazione che si è disvelato è quello all'insegna di una condizione di guerra permanente, la quale ha comunque lasciati invariati i tratti di quella globalizzazione dell'ingiustizia, dell'esclusione, della miseria e dell'ignoranza, che le associazioni e i soggetti che aderiscono al Forum mondiale delle alternative denunciano ormai dagli anni '90.

Parlare poi come fanno studiosi accademici come Huntington[2] di inevitabile "scontro di civiltà" quale attuale e futuro scenario del mondo globalizzato si basa su un'analisi che sarebbe oltremodo superficiale, se non fosse perfettamente funzionale ad una ben determinata logica geo-politica di potere. Non solo perché, come ha sostenuto il maestro anglo-palestinese dell'"orientalismo" Edward Said, questa teoria del conflitto di civiltà sembra la versione aggiornata e corretta della dottrina della guerra fredda - ora che essa, purtroppo per qualcuno, è finita - ma anche perché la favola, secondo la quale dei popoli possano scontrarsi per puri motivi di identità religiosa, etnica e culturale non solo risulta assai poco attendibile sul piano della storia passata , ma risulta ancor di più insostenibile alla luce della situazione attuale, se si riflette sul fatto che - come è del resto dimostrato dai molti recenti studi di antropologia culturale[3] - in realtà non sono mai esistite identità etniche o razziali pure , rigide, immodificabili. Ogni popolo è un testo, una tessitura di differenze, prodotto dall'intreccio di una molteplicità aperta e flessibile di contatti, scambi, mescolanze, migrazioni, contaminazioni. [4]

Ma torniamo alla questione della globalizzazione o mondializzazione, come sarebbe più giusto chiamarla secondo Samir Amin [5] . I centri di potere di quei Paesi del primo mondo, che hanno globalizzato il resto del pianeta hanno deciso di avviare una mobilitazione generale di guerra contro il terrorismo internazionale, il quale comunque non è mai stato definito in maniera precisa e determinata. Sospendendo ogni giudizio etico e di merito sul fatto se tale mobilitazione sia giudicabile come "giusta" o "ingiusta", sta di fatto che a favore della guerra si è formato, nei Paesi aderenti alla NATO , uno schieramento unico, che comprende non solo i partiti e le opinioni pubbliche della destra internazionale, ma anche tutte le forze politiche appartenenti alla sinistra democratico-riformista e laburista concordi sul fatto che il terrorismo internazionale sia oggi il "nemico" principale da combattere e da abbattere. Ciò significa che la logica del progetto neocapitalistico di controllo e manipolazione del pianeta - un progetto, tra l'altro, nemmeno intrinsecamente articolato, coerente, lungimirante, bensì in buona parte improvvisato e continuamente riaggiustato - sulla base dei correnti parametri e criteri di rappresentatività politica è stata fatta propria, senza più alcuna distinzione tra destra e centro- sinistra, dalla stragrande maggioranza degli schieramenti , che compongono gli organi legislativi dei Paesi globalizzanti. Il fatto che, a dispetto di ciò, siano sorte e si moltiplichino iniziative a favore della pace capaci di coinvolgere ampi e diversificati settori della popolazione denuncia , invece, in maniera clamorosa, la crisi generale di rappresentatività delle tradizionali formazioni politiche, sino al punto di spingere la politica non troppo lontanamente futura verso la necessità di considerare in via di oltrepassamento lo stesso principio illuministico e moderno di rappresentanza, il che darebbe ragione a quell' ipotesi di "neo-repubblicanesimo costituente" incarnato dalle pratiche di resistenza contro-imperiale messe in atto dalla figura erotica e creativa del "nuovo militante"tratteggiatada Hardt e Negri nel loro recente libro "Empire"[6].

2. I due volti speculari del terrorismo internazionaleSommario

Il nemico della globalizzazione presentata come inevitabile dal pensiero unico è il cosiddetto "terrorismo internazionale". Chi sono dunque i terroristi? Se analizziamo le posizioni indicate dagli USA e dalla NATO come "nemiche", ovvero quelle rappresentate da Al Quaeda e Bin Laden, emerge che il cosiddetto "fondamentalismo islamico" muove dal seguente punto di vista.

  1. Innanzitutto esso parte dal presupposto che l'azione dell'imperialismo USA e occidentale sia una intromissione "sacrilega" e terroristica nel mondo islamizzato, la quale ha comportato aggressione militare, usurpazione economica , disprezzo per i valori puri dell'Islam;
  2. a partire da ciò, il terrorismo fondamentalista si considera, pertanto, legittimato a reagire con la forza;
  3. il nemico è demonizzato come espressione del Male e quindi la guerra si configura inevitabilmente come "guerra santa";
  4. questo terrorismo è convinto che l'indiscutibile bontà del fine giustifichi l'uso di qualsiasi mezzo;
  5. esso considera l' aut aut o con noi o contro di noi come l'unica alternativa possibile .

Ebbene , guardiamo ora dall'altra parte , dal punto di vista di chi si proclama irriducibile "nemico" del terrorismo e vediamo come è stata e viene giustificata questa guerra, a partire in particolare - come ha lucidamente ed efficacemente già fatto Giulio Girardi nel n. 2 di Rossonotizie/net - dal discorso di Bush del 20 settembre ( quello contestato solo da un deputato democratico: Barbara Lee ). Ne emerge che :

  1. l'Occidente si è sentito colpito al cuore e quindi posto nella necessità di reagire con la forza;
  2. il nemico è demonizzato come espressione del Male assoluto;
  3. la guerra è presentata sostanzialmente come "guerra santa";
  4. l'indiscutibile bontà del fine giustifica l'uso di qualsiasi mezzo (anche l'uso di armi atomiche aveva dichiarato Rumsfeld poco dopo il 13 ottobre );
  5. l' 'aut aut o con noi o contro di noi è l'unica alternativa possibile.

Dunque, chi sono i terroristi ? Chi sono i nemici dei terroristi?

Come ha scritto Giulio Girardi " una constatazione sorprendente e sconvolgente è la profonda affinità tra i due nemici mortali e, chiamiamoli con il loro nome, tra i due opposti terrorismi" .Questo tipo di confronto e analoghe riflessioni li troviamo esposti, sia pure con diverso linguaggio e in un contesto diverso, anche da voci assai meno esplicitamente "alternative" rispetto alla posizione di un autorevole teologo della liberazione come Girardi. Per esempio, in un dialogo uscito da poco tra A. Bolaffi e G. Marramao - due intellettuali legati alla temperie storico-culturale di Rinascita e quindi provenienti dal mondo di quella sinistra che, con i travagli che conosciamo, da comunista si è declinata in socialdemocratico/laburista - dove si sostiene che la rete del terrorismo internazionale è mimetica, esattamente speculare rispetto alla struttura dell'Impero descritta da Negri e Hardt . Se nel "nuovo impero" il potere non ha più un volto preciso e univoco , né si colloca in un centro, ma è dappertutto e da nessuna parte, a sua volta il terrorismo, sostengono Bolaffi-Marramao, è quel "nemico invisibile che si annida negli interstizi della 'rete' del sistema -mondo", reduplicandone la medesima struttura imperiale. Il personaggio dell'ex-agente della CIA, nonché grande capitalista e finanziere arabo Bin Laden, di cui un giorno si dice che è ancora in Afghanistan, un altro si dice che è fuggito da un mese e più, un altro giorno lo si dice in Somalia e un altro che è morto, è simbolo di questa struttura invisibile e ubiquitaria dei due volti del potere terroristico internazionale.

3. I tentativi di disinnescare e vanificare la costruzione pacifista di un Altro mondoSommario

Dal momento che , come si diceva, in tutti i Paesi economicamente più progrediti dell'Occidente lo schieramento a favore della guerra accomuna l' establishment politico tanto delle destre, quanto della sinistra social-democratica, continuare ad opporsi ad una guerra che minaccia seriamente di diventare infinita sta diventando un atteggiamento da un lato sempre più condiviso dalla popolazione reale e dall'altro sempre più apparentemente ineffettuale e "politicamente scorretto". Le forze che si sono ricompattate a difesa dell'imperiale volontà di potenza, fanno di tutto affinché della nozione di "pace" emerga solo il significato retorico e costitutivamente incapace, quindi, di suscitare pratiche di azione politica concreta. Di fronte a ciò tutti coloro che testimoniano e si mobilitano per la pace vera, da una parte sono chiamati a ribadire con forza alcuni punti fermi di carattere etico-politico generale, dall'altra sono chiamati ad un ulteriore sforzo, ad una sorta di "salto di qualità.

Sotto il primo punto di vista vanno tenute ferme le "ragioni" del pacifismo, che accomunano cattolici di base, neocomunisti, ambientalisti, libertari (assieme a tanta gente che ha votato per i partiti mobilitatisi per la guerra) :

  1. Come testimoniano, per esempio, quei "medici dalle idee confuse" - come sono stati definiti dal nostro governo - di Emergency : chiunque oggi appoggi la guerra , volente o nolente, approva che vengano inevitabilmente uccise immediatamente migliaia di uomini, donne e bambini non belligeranti e , dilazionate nel tempo, altrettante migliaia di bambini e innocenti a causa delle conseguenze della guerra( distruzioni materiali e degrado ambientale, dissoluzione del tessuto socio-economico, fame, malattie, mine, instabilità politica ecc.).
  2. Chiunque oggi ritiene "giusta" la guerra non considera uguali nemmeno i morti, ammettendo che i cinquemila lavoratori inermi periti sotto le macerie delle Twin Towers siano oggettivamente più importanti delle migliaia e migliaia di vittime civili che , dalla fine della seconda guerra mondiale continuano a morire in Palestina, in Africa, in Kurdistan, in Iraq, in Afghanistan e in tutti gli "altrove" più o meno dimenticati del globo.
  3. Inoltre, più nello specifico :

  4. Ritenere che la jihād islamica implichi in quanto tale lo sterminio scientifico di innocenti e l'etica del suicidio al modo dei kamikaze è semplicemente frutto di abissale ignoranza .
  5. Concordare con Bin Laden e Al Qaeda sul fatto che la lotta dei palestinesi - uno dei popoli più laici del mondo arabo e caratterizzato , tra l'altro, da una fortissima presenza cristiana - sia del tutto omogenea con il fanatismo fondamentalista sarebbe altrettanto da ignoranti se non celasse, in realtà, il cinico interesse di chi determina le sorti dell'attuale impero occidentale.
  6. Tutti gli attuali nemici degli Stati Uniti - coloro che oggi incarnano le "forze del Male" - fino a ieri erano alleati fedeli e ben pagati degli stessi Stati Uniti in funzione di opposizione contro altri nemici del momento e presto potranno diventare di nuovo fedeli alleati , se cambierà il nemico di turno.
  7. Le strategie politiche che hanno ispirato l'azione politica americana dalla fine della guerra fredda ad oggi non manifestano il minimo segno della presenza di un qualsiasi progetto chiaro, coerente e a lunga scadenza, ma si costruiscono e si modificano di giorno in giorno seguendo i tracciati progettati per gli oleodotti, al fine di poter continuare ad alimentare l'attuale dissennato e suicida, oltre che omicida, modello occidentale di sviluppo .
  8. Scelte politiche che coinvolgono direttamente la vita e la morte di milioni di persone al mondo sono assunte a partire dal punto di vista non solo degli interessi economico-politici unilaterali dei G8, ma addirittura degli interessi personali del presidente americano in carica(interessi petroliferi, necessità di contraccambiare i gruppi industriali e finanziari che hanno pagato la campagna elettorale ecc., necessità di non far ristagnare le industrie belliche ecc.).
  9. Il fatto ancor più grave è che , al di qua dell'Oceano, tali interessi sono condivisi anche dai principali partiti della sinistra cosiddetta riformista sulla base della condizione/convinzione- che non è altro che un circolo vizioso di natura implosiva- secondo la quale solo accettando questo punto di vista sarà possibile confermarsi come classe di governo o legittimarsi per governare o (come in Italia) per ri-conquistare il potere perduto(per farne cosa, chi lo sa?).

Chi , in queste condizioni, si dichiara contrario non alla guerra in generale - perché contro di essa si sono schierati ad Assisi proprio coloro che avevano appena votato "per senso di responsabilità"(!) la mobilitazione italiana - bensì contro questa "guerra infinita" o viene considerato dall' establishment, come nel caso dei cattolici di base, rappresentante di posizioni puramente etico-religiose e quindi apolitiche o viene addirittura tacciato di filo-terrorismo, come ha fatto il nostro presidente Berlusconi.

Se la sinistra laburista e riformista - che in Italia è ormai incurabilmente affetta dalla quasi totale impotenza politica - dovrebbe essere almeno impegnata nella difesa residuale, per quanto importante e doverosa nella contingenza, di qualche pezzo di welfare e di un minimo di solidarietà di fronte all'ultra o neoliberismo dominante, è evidente che i nuovi soggetti attualmente capaci di prefigurare nuovi orizzonti e di ridare un senso e una prospettiva complessiva alla prassi politica per rispondere ai bisogni della vita locale e nel contempo contribuire a nuovi assetti globali - attraverso il pacifismo, ma anche attraverso una costellazione di altre pratiche quali la Banca etica, ATTAC, il commercio equo e solidale, il consumo critico, i bilanci di giustizia, i gruppi di acquisto solidale, l'ambientalismo intransigente, il terzomondismo radicale, i social forum che stanno sorgendo ovunque - stanno già parlando un nuovo linguaggio politico. E questo linguaggio mostra la vuotezza e l'obsolescenza di quello tradizionale e comincia a tessere categorie e strategie che stanno già costruendo quella mobilitazione contro-imperiale in grado di erodere dall'interno spazi sempre più ampi all' impero stesso.

4. Il rischio di manipolazioni dell'alternativa e la questione del movimentoSommario

In questa situazione - che è ancora "tempo sospeso" tra imperiale volontà di potenza e radicamento delle pratiche contro-imperiali - nella quale le capacità di manipolazione dei poteri costituiti e il ruolo mistificante e omologante delle tradizionali categorie politiche sono ancora forti , è necessario vigilare al massimo per evitare di cadere in pericoli, che potrebbero rallentare o addirittura fermare il cammino dell'alternativa.

Uno dei pericoli sta nella volontà di tradurre immediatamente sul piano politico queste istanze che parlano un linguaggio del tutto eterogeneo rispetto a quello consolidato, riconducendole all'interno di un contenitore politico-partitico già esistente. Il rischio evidente è quello di uccidere così la pregnanza biopolitica di tali espressioni distruggendone il potenziale sorgivo di apertura, alterità , indefinitezza, non manipolabilità, elasticità e plasticità .

E' necessario, invece, preservare e lasciar emergere al massimo l'irriducibile carico di differenza e differenze, che queste testimonianze e pratiche hanno rispetto ai tradizionali modi di fare politica, in modo che ciò giunga al punto di mostrare il vuoto di rappresentatività delle strutture politiche consolidate, il carattere idolatrico e feticistico delle relative pratiche e la consunzione del loro linguaggio . Ciò significa allora rispettarne e saperne cogliere il carattere non già apolitico - come vorrebbe invece il "pensiero unico" - ma piuttosto impolitico[7] nel senso di testimonianze e pratiche che , proprio nel loro manifestare i limiti in termini di autosufficienza, di valore e di rappresentatività delle politiche attuali, costruiscono così le condizioni di possibilità di una nuova politica futura.

Non si tratta in alcun modo dell'errore di "rifugiarsi nel carattere "impolitico" del movimento", come scrive, nel n. 3 di Rossonotizie/net Mimmo Porcaro, il quale intende il termine "impolitico" da un lato in senso meramente e astrattamente negativo (alla Thomas Mann per intenderci) e dall'altro lo limita alla pura e semplice "costruzione di rapporti sociali" in quanto tale "indifferente" rispetto alla politica. Al contrario, esaltare il carattere "impolitico" del movimento - intendendo l'"impolitico" come quell'atteggiamento che, tutt'altro che indifferente alla politica, mostra il vuoto che si spalanca dentro le forme politiche dominanti e in questo medesimo atto delinea e indica i presupposti e gli scenari possibili per la costruzione di un'altra politica - significa proprio, come auspica Porcaro, consentire la nascita di un nuovo e antagonista schieramento mondiale, il quale, aggiungo - se l'attuale fase della mondializzazione è caratterizzata dal sempre più stretto interfacciarsi di globale e locale - sia anche in grado di rimettere in moto quelle pratiche profonde di autentico ascolto dei bisogni locali, che la politica ufficiale, come dimostrano i dati sull'astensionismo elettorale, ha ormai smarrito.

Certo, come giustamente rileva Porcaro, l'esistenza di una molteplicità di organizzazioni preesistenti al movimento e la stessa dialettica democratica tra le varie componenti corrono sempre il rischio di ricadere nelle tradizionali forme e logiche della rappresentanza politica, decostruendo quella nuova figura di militante, che sta nascendo e privandola di autentici contropoteri costituenti. E per evitare queste esiziali ricadute è necessario sì trovare forme originali di organizzazione capaci di "federare", lasciandole pienamente respirare assieme, le modalità reticolari, la modalità assembleare, l'espressione diretta dell'individuo , il ruolo delle associazioni, il contributo al movimento delle stesse forze politiche consolidate(come il Partito della Rifondazione Comunista ). Questioni che è oltremodo necessario e urgente affrontare.

5. Verso un "nuovo comunismo"Sommario

Salvaguardare le possibilità del "movimento dei movimenti" in questa prospettiva non implica affatto "dimenticare Marx", ma, al contrario, vale anche anche come un invito a ri- leggere il testo marxiano portandone alla luce aspetti ancora inindagati.

Detto in poche battute - perché ciò richiederebbe, per ovvi motivi, una trattazione a parte - se portiamo totalmente nell'esplicito ciò che è implicito nella riflessione marxiana sul concetto di forza-lavoro proprio a partire dalla condizione in cui , come Marx aveva anticipato, “l’operaio si colloca accanto alla produzione diretta anziché esserne l’agente principale”[8], ne risulterebbe , per esempio, il venir meno della distinzione tradizionale tra lavoro “produttivo” e lavoro “improduttivo”. E contestualmente emergerebbe con forza anche il dato della assoluta non-misurabilità di quella che si potrebbe definire come l’essenza linguistica del lavoro[9], a partire da una dimensione lineare e meccanica del tempo con tutte le conseguenze anche strettamente economiche che ciò comporta. Da questo punto di vista, la alienazione propria del capitalismo, inteso naturalmente nelle sue determinate forme specifiche in cui si realizza, non sta tanto nel suo essere (nel senso vetero/dialettico) contraddizione - nella misura in cui parlare di contraddizione significa presupporre e fare appello al fondamento originario e incontrovertibile dell’incontraddittorietà del reale - bensì sta nel voler dividere la "forza-lavoro" dall'attività produttiva determinata e dalla forma di mondo che essa, grazie all'acquisto da parte del capitale, produce. Sta, inoltre, nell’ipostatizzazione e nell’obiettivazione astratte di quell’unità di potenza e atto che è ogni atto del lavoratore. Sta nel ritenere che l’esercizio della produzione/comunicazione possa darsi esclusivamente all’interno del capitale posto come fundamentum inconcussum , ossia come realtà che sussiste in sé e per sé , la cui verità è l’apparente assorbimento di ogni forma di alterità all’interno del circuito dell’autoproduzione per l’autoproduzione senza alcun altro orientamento se non il consumo, il quale , a sua volta , è prodotto dalla produzione stessa.

Ripensare sino in fondo la concezione marxiana del lavoro - all'insegna dell' unità di potenza e atto - comporterebbe pensare il lavorare come farsi effettuale – nel tempo - dell’intemporale infinita e indeterminata potenzialità, ovvero della presenza del proprio costitutivo autonegarsi. Significherebbe pensare il lavoro come concreta produzione e preservazione della possibilità pura (non intesa come privazione, né come alterità de-terminatamente opposta all'atto).

Ciò significherebbe liberare e mobilitare tutte le energie disponibili per la costruzione di un mondo sempre possibile.

Romano Gasparotti (Venezia, 1959) autore di saggi e libri di argomento filosofico (tra cui Le forme del fare , Liguori, Napoli 1987 scritto con M. Cacciari e Movimento e sostanza , Guerini e Associati, Milano 1995), ha sempre alternato il lavoro di docente e l' attività di ricerca teoretica ( presso l'Università di Venezia e poi presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ) con l'impegno culturale militante presso ARCIMEDIA (dal 1978 al 1987), l'Istituto "Gramsci" Veneto (dal 1984) e presso una delle sedi dell'Associazione culturale "puntorosso" sorta nel territorio veneziano.



[1] D.Held- A.McGrew, Globalismo e antiglobalismo, Il Mulino, Bologna 2001, p. 11

[2] S.P.Huntington, Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. ital. Garzanti, Milano 1997

[3] Rinviamo a libri come F. Remotti, Contro l'identità, Roma-Bari, Laterza 1996 e J.L. Amselle, Logiche meticce, trad. ital. Bollati-Borignhieri, Milano 1999

[4] Nonostante ciò , come è stato denunciato da una campagna e dalle relative iniziative dal provocatorio titolo "Identici a chi?" - promossa da un gruppo di storici , intellettuali e operatori culturali del veneziano e veneti, la denominazione dell'assessorato alla cultura della Regione Veneto è stata trasformata dal Polo delle Libertà in assessorato all'identità del popolo veneto, sulla base dell'equazione cultura= salvaguardia dell' identità di un presunto "popolo veneto" dalle caratteristiche omogenee , ben determinate e soprattutto esclusive!

Gli Atti di questa iniziativa sono di imminente pubblicazione presso i Quaderni di Rifondazione comunista.

[5] S.Amin, Le fiabe del capitale, La meridiana, Molfetta 1998

[6] M.Hardt- T.Negri, Empire, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 2000, vedi in particolare le pp. 260- 269 e 343-414.

[7] Il termine "impolitico" è inteso non nel senso riconducibile alle note Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann, laddove esso significa ciò che vuole rimanere estraneo alla politica intesa come negatività e disvalore, giacché questa accezione dell' "impolitico" è perfettamente funzionale alla logica politica del potere; non va inteso nemmeno nel significato proposto da Jacob Freund (Politique et impolitique, Sirey,paris 1987) come ciò che a priori rifiuta qualsiasi configurabilità politico-istituzionale , perché una tale posizione ricade in una opposizione/separazione astratta (nel significato hegelo-marxiano) tra ciò che è politico e ciò che non lo è. Piuttosto va inteso sulla scia delle elaborazioni di Jean Luc Nancy e Philippe Lacoue- Labarthe e del nostro Roberto Esposito (vedi Oltre la politica. Antologia del pensiero "impolitico", B.Mondadori, Milano 1996), ovvero come ciò che esprime in maniera dirompente la sua valenza politica proprio nel suo mettere a nudo a partire da un punto di vista radicalmente "altro" i limiti e il vuoto delle pratiche politiche correnti.

[8] K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1970, vol. 2, p. 401

[9] Vedi C. Marazzi, La svolta linguistica dell'economia e i suoi effetti nella politica, Ed. Casagrande, Bellinzona 1994

Romano Gasparotti
Venezia, 26 febbraio 2002
da "Rossonotizie"