Il patto tiene conto della discussione avvenuta a Roma nel corso dell'ultima assemblea del 19 gennaio,
in particolare per quanto riguarda la parte sul governo Berlusconi.
Per il resto tiene conto di emendamenti e osservazioni fatti pervenire da Brescia social forum, Franco
Russo (forum ambientalista), Maurizio Gubbiotti (Legambiente), Fabio Alberti (Un ponte per...), Alessandra
Mecozzi (Fiom), Franco Giampiccoli (Federazione chiese evangeliche), Rete Lillput (proposta cambio
del Pil, discussa a Porto Alegre).
Il testo inoltre è aggiornato a dopo Porto Alegre, riprende il famoso punto 4 su guerra e terrorismo
e contiene un breve punto sull'Argentina.
Ampliata anche la parte sull'Europa per sostenere la preparazione del Forum sociale europeo.
Eventuali aggiunte ed emendamenti vanno fatti pervenire a Salvatore Cannavò.
Ecco il testo:
Contro la guerra e il liberismo, per una civiltà solidale
-
Siamo quelli e quelle di Porto Alegre, spazio aperto e plurale di
incontri e riflessioni, di formulazione di proposte e scambio di esperienze,
per permettere ai movimenti sociali che si oppongono al neoliberismo e alla
dominazione del mondo da parte del capitale, di costruire un'altra idea di
mondo possibile, fondata innanzitutto sul protagonismo diretto degli uomini
e delle donne. Ci riconosciamo nella dichiarazione dei movimenti sociali che
insieme abbiamo sottoscritto a Porto Alegre a conclusione del secondo Forum
sociale mondiale, in particolare nelle due discriminanti fondamentali lì
fissate: contro il liberismo e contro la guerra.
-
Siamo quelli e quelle di Genova, uomini e donne convinte
dell'illegittimità di un governo oligarchico del mondo, le cui politiche
neoliberiste generano povertà, disoccupazione, devastazione ambientale.
Siamo uomini e donne, sindacati e Ong, associazioni e movimenti sociali,
lavoratori e disoccupati, contadini e studenti, intellettuali e
ambientalisti, cittadini e cittadine, impegnati a costruire una grande
alleanza per creare una società nuova, contraria alla logica del mercato e
del denaro, fondata sul valore della vita umana, centrata sul primato della
persona, dei bisogni e del benessere collettivo.
- Siamo quelli e quelle di Assisi e poi di Roma, oppositori irriducibili,
senza "se" e senza "ma", della guerra economica, sociale e militare,
strumento privilegiato delle politiche dei potenti della Terra con
l'obiettivo di asservire il pianeta ai propri interessi politici, economici
e culturali. Un dominio oppressivo che semina odio, xenofobia, violenza
sulle donne e che costringe interi popoli a vivere nella miseria e nella
disperazione. I fatti dell'11 settembre hanno segnato una nuova svolta
drammatica. Dopo gli attacchi terroristici, che abbiamo condannato
assolutamente, così come condanniamo tutti gli attacchi contro i civili in
altre parti del mondo, il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati hanno
lanciato una massiccia operazione militare. In nome della "guerra al
terrorismo" vengono attaccati in tutto il mondo i diritti civili e politici.
La guerra contro l'Afghanistan, nella quale sono stati usati metodi
terroristici, si sta espandendo ad altri fronti e non rappresenta che
l'inizio di una guerra globale permamente per consolidare il dominio del
governo degli Usa e dei suoi alleati. Questa guerra rivela la faccia brutale
e inaccettabile del liberismo, la nostra opposizione ad essa è un elemento
costitutivo della nostra azione.
- Perseguiamo un mondo che bandisca la violenza come strumento di lotta
politica. Le nostre sole discriminanti sono il ripudio della guerra, il
rifiuto del razzismo, del fascismo e del sessismo. Non riconosciamo
discriminazioni religiose, nè culturali, così come siamo avversi e avverse a
ogni forma di totalitarismo. Al contrario, al nostro interno convivono
riferimenti e ambizioni differenti: la non violenza, la disobbedienza civile
e sociale, il pacifismo e lo sciopero di massa, sono per noi forme di lotta
compatibili tra loro.
- Siamo avversari irriducibili di qualsiasi forma di terrorismo. Siamo
altresì consapevoli che in nome della lotta al terrorismo si limitano i
diritti civili, le libertà democratiche, si criminalizzano intere lotte
popolari, come quella dei curdi o dei palestinesi, si approntano strumenti
repressivi e autoritari per sgretolare le lotte sociali. Mentre il
terrorismo è rivolto contro di noi, contro il nostro desiderio e la nostra
possiblità di costruire un mondo migliore, la lotta contro di esso
attraverso l'estensione della guerra, lo alimenta e si rivela come un suo
ottimo alleato.
- Ci battiamo per politiche e per società in cui non domini lo strapotere
delle multinazionali, l'asservimento dei bisogni sociali agli imperativi del
profitto e la sovranità degli stati e dei popoli ai comandamenti delle
grandi istituzioni sovranazionali (Fmi, Omc, Banca mondiale). La
globalizzazione capitalistica che costituisce il metro di misura di queste
istituzioni non ci appartiene e per questo la rifiutiamo. Al contrario, noi
ci battiamo per una globalizzazione solidale, dal basso, rispettosa dei
diritti e delle culture degli uomini e delle donne, dei cittadini e dei
lavoratori, dei popoli e dell'ambiente.
- Siamo contro la globalizzazione che nega all'infanzia i diritti del
gioco, dell'istruzione, della salute, della gioia, obbligando milioni di
minori a lavorare, a fare la guerra, a morire sulle mine, a morire di inedia
e malattie, a prostituirsi. Bambini considerati come merce, usati come mera
risorsa economica e non rispettati quale componente essenziale per la
costruzione di un mondo migliore che è già da ora più loro che nostro.
- La globalizzazione rafforza un sistema sessista e patriarcale che
favorisce l'esclusione politica e sociale delle donne, negando loro
un'identità culturale, rendendole sempre più povere, alimentando la violenza
contro di loro. Il rispetto dei diritti, dei bisogni e della libertà delle
donne costituisce una dimensione centrale del nostro agire: senza di questo,
un altro mondo non sarà mai possibile.
- Non siamo e non vogliamo essere un partito politico. Il nostro fine, al
contrario, è quello di salvaguardare le nostre differenti identità e i
nostri specifici obiettivi. Allo stesso tempo pensiamo di poter costruire un
percorso comune, fatto di riflessioni e di analisi, di lotte e di iniziative
rivolte al mondo esterno a noi. Non intendiamo essere autoreferenziali:
crediamo invece che fuori dalle nostre associazioni, dai nostri forum, dagli
ambiti politici e sociali in cui ci riconosciamo, esistano innumerevoli
altre esperienze o individualità che possono essere coinvolte nel progetto
di una globalizzazione solidale. E' questo lo scopo principale della nostra
impresa collettiva.
- Affermiamo il principio della democrazia partecipata, le cui decisioni
non sono prese da pochi tecnocrati, ma che richiede invece il coinvolgimento
attivo dei cittadini, dei lavoratori, dei popoli alle grandi decisioni
collettive. Ci riferiamo ai principi della democrazia diretta e vogliamo
approfondire ed estendere l'esperienza di Porto Alegre. Per queste ragioni
la democrazia costituisce il fondamento del nostro lavoro collettivo: ci
basiamo sul metodo del consenso per valorizzare quello che ci unisce e
relativizzare quel che ci divide; crediamo nella pari dignità tra organismi
a carattere nazionale e/o verticale e strutture orizzontali, che si formano
dal "basso"; in questo senso il ruolo e il peso delle associazioni
nazionali, dei social forum e delle soggettività organizzate hanno per noi
pari valore. Rifiutiamo la personalizzazione della politica e crediamo in un
metodo di decisionalità collettivo e partecipato.
- Abbiamo principi comuni, ma anche obiettivi comuni.
-
Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l'Organizzazione
mondiale del commercio, la Nato, mirano a costituire la struttura di un
potere transnazionale che sovrasta i diritti delle persone, dei popoli,
delle nazioni. Noi non ne riconosciamo la legittimità ed esigiamo la fine
della loro interferenza nelle politiche nazionali. Ci battiamo invece per
l'istituzione di organismi internazionali democratici, la cui legittimità
risieda non solo sui governi, ma anche sulla partecipazione attiva della
società.
- Riteniamo illegittimo il debito pubblico internazionale dei paesi del
Sud, che, funzionando da strumento di dominio, priva i popoli dei loro
diritti fondamentali, alimenta l'usura internazionale, impone a paesi del
Sud piani di aggiustamento strutturale che li costringe a produrre per
l'export, a tagliare le spese sociali a ridurre l'occupazione, aumentando la
povertà. Ne esigiamo l'annullamento incondizionato e la riparazione dei
debiti storici, sociali ed ecologici maturati dai paesi ricchi verso quelli
poveri.
- Avversiamo la speculazione finanziaria e lo strapotere dei mercati
finanziari. Per questo chiediamo la soppressione dei paradisi fiscali, la
tassazione delle transazioni finanziarie e l'assoggettamento delle
multinazionali alle leggi dei singoli stati. L'istituzione della Tobin tax
rappresenterebbe un utile passo avanti in questa direzione.
- Ci opponiamo a ogni forma di privatizzazione delle risorse naturali e dei
beni pubblici, in quanto costituiscono una forma di asservimento al potere
delle società transnazionali. L'energia, l'acqua, le foreste, l'energia, i
trasporti, l'istruzione, la comunicazione, la salute, la cultura, il sapere
sono beni inalienabili che non possono essere ridotti a merce. Crediamo in
uno spazio pubblico completamente rinnovato in cui, attraverso la democrazia
diretta e partecipativa, siano i diretti interessati a decidere sulle grandi
questioni.
- Ci battiamo per un consumo critico e responsabile, equo e solidale, che
favorisca la produzione rispettosa dell'ambiente e dei diritti delle
persone. Consideriamo il consumismo un disvalore psicologico, etico e
ambientale. Ci impegniamo, inoltre, nel boicottaggio di quelle imprese che
non garantiscono il rispetto dei diritti sindacali e civili dei lavoratori,
il rispetto dell'ecosistema e delle differenti culture. Anche per questo
crediamo sia urgente e necessario modificare radicalmente i parametri di
riferimento per il Prodotto interno lordo: introducendo dei rivelatori
ambientali, sociali e culturali crescerebbe un impegno virtuoso per il
miglioramento del benessere collettivo.
- La terra è un bene collettivo indisponibile e inaleniabile. Il suo
sfruttamento in nome del profitto, provocando la concentrazione della
produzione nelle mani delle multinazionali e asservendo intere produzioni
nazionali al dominio oligarchico del mercato mondiale, costituisce un
"crimine contro l'umanità". Chiediamo una equa redistribuzione delle risorse
della terra: le sementi e il materiale genetico sono di proprietà
dell'umanità. Esigiamo l'abolizione dei prodotti transgenici e della
concessione dei brevetti. Il rispetto dell'ambiente e della salute
costituiscono un imperativo di qualsiasi scelta politica ed economica.
- Le condizioni di assoluta miseria, la mancanza di acqua potabile e di
cibo, in cui vivono miliardi di uomini e donne, dipendono anche da quei
fenomeni climatici che vanno sotto il nome di "effetto serra"- crescita
della temperatura, innalzamento del livello dei mari, progressivo
scioglimento dei ghiacciai, avanzata dei deserti e delle zone aride - che,
provocati dal mondo industrializzato, nel giro di un secolo potrebbe rendere
letteralmente invivibili molte regioni della Terra. Esiste un crudele legame
a doppio filo che vincola i mutamenti climatici al sottosviluppo: gli
effetti dell'aumento dell'effetto serra rendono infatti i poveri sempre più
poveri, e al tempo stesso il sottosviluppo amplifica ed aggrava molti
problemi ambientali, compresi quelli che influiscono sul clima, anche perchè
spesso le lavorazioni più pericolose e dannose vengono trasferite nei paesi
più poveri. Non ci sono problemi ambientali che possano essere affrontati e
risolti senza il coinvolgimento e la partecipazione democratica, senza
sviluppare nuove forme di cittadinanza attiva.
- La globalizzazione liberista produce miseria, odio, morte. Per imporsi a
popolazioni intere ha bisogno della spada costituita dalla corsa agli
armamenti, dall'aumento delle spese militari, dal rafforzamento e dal
rinnovamento delle alleanze militari, dal potenziamento degli apparati
polizieschi. Noi chiediamo lo scioglimento di queste strutture e di questi
apparati perchè rifiutiamo totalmente la guerra come mezzo di risoluzione
dei conflitti ed esigiamo la fine della repressione e della
criminalizzazione della protesta sociale. Ma la guerra non si fa solo con le
bombe. Il ricorso all'arma della fame l'embargo, è sempre più frequente e
causa milioni di vittime, specialmente di donne e bambini. Non esistono fini
politici che giustifichino l'uso del cibo e delle medicine come armi; non
riconosciamo quindi come legittimi gli embarghi che violano i diritti umani
a intere popolazioni.
- Riconosciamo ai lavoratori e alle lavoratrici gli stessi diritti
sindacali, civili e politici in qualsiasi parte del pianeta e a prescindere
dal colore della pelle. Mentre i beni e i capitali possono valicare senza
limiti qualsiasi frontiera, le persone sono costrette a controlli umilianti,
condizioni inaccettabili, repressione e schiavitù. Ci battiamo per
migliorare le condizioni di vita e di lavoro, contro lo sfruttamento del
lavoro minorile, per la libera circolazione delle persone, contro qualsiasi
limitazione ai diritti dei migranti, per un salario dignitoso in qualsiasi
parte del mondo. Ci opponiamo con fermezza a qualsiasi legislazione razzista
e discriminatoria.
- Licenziamenti e disoccupazione si accompagnano spesso a un'impennata
degli utili aziendali e delle quotazioni di borsa. Chiediamo invece che sia
ovunque impedito per legge il ricorso al licenziamento o a forme di sussidio
pubblico in presenza di utili aziendali ed esigiamo, anche qui nel cuore
dell'occidente arricchito, il pieno rispetto delle garanzie fondamentali dei
lavoratori, contro qualsiasi ipotesi normativa (come ad esempio la
soprressione dell'articolo 18) che tenda a limitarli. Allo stesso tempo ci
battiamo per l'istituzione di misure, come il reddito sociale e la riduzione
dell'orario di lavoro, per combattere la precarietà dilagante che l'attuale
sistema economico genera in tutto il mondo, compresi i paesi occidentali,
determinando l'aumento dell'insicurezza sociale, soprattutto per le giovani
generazioni.
- La crisi dell'Argentina ha dimostrato in maniera inequivocabile il
fallimento del liberismo. Quello che era additato come uno dei migliori
allievi del Fondo monetario internazionale, è sprofondato in una crisi
durissima che è costata disperazione sociale, disoccupazione e povertà. Per
frenare la rivolta popolare il governo argentino non ha esitato a sparare
contro le manifestazioni di protesta provocando decine di morti; qualcosa di
analogo e di ben più grave di quanto accaduto nel luglio di Genova.
L'Argentina mostra quindi come i governi nazionali, nella loro funzione di
meri esecutori delle politiche neoliberiste, finiscano poi per dover
presiedere al controllo poliziesco e alla repressione. Ma mostra anche come
una mobilitazione popolare, pacifica e di massa, provocando la crisi di
quegli stessi governi, metta in crisi anche quelle stesse politiche
internazionali, incrinando profondamente la loro legittimità
- Anche in Italia, il governo Berlusconi si presenta come baluardo di un
sistema neoliberista che favorisce in ogni modo il profitto e la rendita
finanziaria, oltre che gli affari personali del presidente del Consiglio. La
portata reazionaria delle politiche del governo Berlusconi è evidente
nell'attacco alla scuola pubblica, ai migranti tramite il progetto
Bossi-Fini, nell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,
nella "riforma" delle pensioni con il conseguente attacco al welfare, nella
politica di distruzione del territorio e nella conseguente valorizzazione
dell'economia criminale prodotta dalle grandi opere. Per questo vanno
giudicate positivamente le iniziative di mobilitazione sindacale che
intendono coerentemente battersi contro queste politiche. Il ruolo del
movimento italiano, lungi dal sostituirsi all'azione delle forze sindacali,
può essere quello di stimolare ed ampliare l'opposizione sociale al governo
liberista e liberticida di Berlusconi.
- Anche in Europa i diritti sociali e le conquiste più avanzate frutto di
decenni di lotte politiche sociali e civili, rischiano sempre più di essere
trasformate ed asservite agli interessi economici dominanti. Contestiamo la
pretesa dell'Unione europea di costituirsi come fortezza liberista e
antidemocratica, ben visibile anche nel processo costituente aperto dalla
Convenzione europea o nella Carta dei "diritti". Vogliamo invece batterci
per un'Europa sociale schierata contro la guerra, garante dei diritti di
tutti e tutte quelle che l'attraversano. Un'Europa realmente democratica,
solidale, multiculturale, pacifica, impegnata nel rispetto dell'ambiente. E'
con questa ambizione e sulla base dello spirito di Porto Alegre che ci
impegniamo nella preparazione del primo Forum sociale europeo.
Veniamo da storie diverse e da percorsi differenti. Ma crediamo fortemente nella modalità reticolare
che abbiamo conferito al nostro lavoro comune. La nostra unità ha arricchito le nostre differenze;
le nostre differenze sono la garanzia dell'efficacia della nostra unità. Crediamo in questo principio
e lo proponiamo a tutti quelli e quelle che in questi mesi si sono uniti al nostro percorso, convinti
e convinte di poter compiere ancora molta strada assieme. La costruzione di un mondo diverso è esercizio
faticoso e paziente. Noi abbiamo appena cominciato.