Guerra in Jugoslavija
e impatto ambientale

Parte I - MOTIVAZIONI DELLA GUERRA IN JUGOSLAVIJA

Quattro motivazioni principali possono essere individuate come moventi della guerra contro la Jugoslavija o più essenzialmente contro la Serbia:

1. La "guerra costituente". Questo concetto si riferisce alla necessità di "riformare" la NATO, in funzione di un rinnovato concetto strategico statunitense.

2. La "guerra contro l'Europa", cioè essenzialmente contro la Germania, allo scopo di minarne gli interessi nell'area balcanica, a vantaggio degli USA.

3. La "guerra per le risorse", legata al controllo delle vie di accesso al greggio del Caspio, reso disponibile dalla disgregazione dell'Unione Sovietica.

4. La "guerra finale contro la Jugoslavija", ultimo atto (per ora) dello smembramento iniziato con la secessione di Slovenia e Croazia.

Tutte queste ragioni sono collegate tra loro e riconducibili ad una sola: il piano egemonico degli Stati Uniti.

premessa

Per quanto il processo di globalizzazione corrisponda ad un progetto che accomuna tutti i paesi ad economia capitalista, la sua concreta attuazione dimostra che i governi che ne sono fautori perseguono interessi contrapposti. La globalizzazione genericamente definita comporta la trasformazione mondiale in un unico grande mercato nel quale le popolazioni vengono ridotte allo stato di consumatori di prodotti. Questo determina la "naturale" creazione di zone di mercato suddivise tra i paesi capitalistici in una "libera pacifica concorrenza" nello sfruttamento delle risorse dei paesi, che ne sono naturalmente ricchi, a proprio esclusivo vantaggio. E' uno scenario che prefigura un preciso ordine mondiale. In opposizione a qualunque tentativo di sviluppo dei paesi Dell'Est europeo e del Sud del mondo, i paesi occidentali adoperano il ricatto del debito estero per imporre i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale. Questi distruggono qualunque forma di modello economico-sociale alternativo a forme di economia liberista o ne impediscono la creazione; per questo modello di sviluppo lo stato sociale è da considerare un ostacolo da rimuovere. La conseguenza è che in queste aree si determinano situazioni di conflittualità politica, sociale, etnica, religiosa, che sono usate a giustificazione degli interventi militari occidentali, i quali ovviamente si attuano solo nelle zone di interesse strategico.

È dunque connesso a questo modello economico l'impiego della guerra come ordinario strumento di dominio.

Questo concetto di mercato globale assume inoltre ulteriori contenuti per un paese come gli Stati Uniti che intende preservare una posizione di dominio mondiale e ostacolare la creazione di potenze economiche in grado di contrapporvisi. Gli Stati Uniti hanno elaborato una "nuova dottrina strategica" per la sicurezza nazionale che prevede un mondo formato da società aperte e mercati aperti a sostegno degli interessi americani. Secondo questa dottrina, dato per presupposto che non si ravvisa un clima di sicurezza mondiale, si rende necessario dover ricorrere ad interventi militari per fronteggiare conflitti regionali, terrorismi, organizzazioni criminali, conflitti etnici. Gli Stati Uniti rivendicano un ruolo fondamentale all'uso della forza militare per la sicurezza mondiale. In realtà gli Stati uniti si avvalgono della loro supremazia tecnologica, militare e di ricerca per realizzare il loro progetto di dominio mondiale, che tuttavia nasconde una sostanziale debolezza economica. L'economia statunitense è caratterizzata da un elevato indebitamento estero, da un alto deficit commerciale, dalla dipendenza dai capitali esteri (asiatici ed europei) e dall'incapacità di risparmio della popolazione. Gli Stati Uniti hanno dunque la necessità di convogliare capitali esteri, intento questo facilitato dal fatto che il dollaro e' la moneta di scambio. In questa situazione l'economia statunitense si trova nella necessità di confrontarsi con altre economie come l'Europa, il Giappone, la Cina in un rapporto di concorrenza senza però correre il rischio di perdere la propria attuale posizione egemonica. Per garantirsi questo ruolo gli Stati Uniti ricorrono pertanto alla propria indiscutibile superiorità bellica e tecnologica, alimentando le tensioni locali per giustificare la presenza militare. La scomparsa dell'Unione sovietica come superpotenza mondiale ha permesso agli Stati Uniti di emergere come unico potere dando loro la convinzione di poter sviluppare una politica estera più aggressiva senza incontrare praticamente nessuna opposizione. Le ambizioni americane si sono riaffermate nel summit del '99 quando e' stato presentato un nuovo documento strategico che rappresenta una fondamentale revisione delle relazioni mondiali, determinando il sovvertimento del principio di condotta internazionale che sanciva la non interferenza negli affari interni degli

stati sovrani da parte di potenze straniere. La guerra contro la Serbia rappresenta la giustificazione per questo cambio di prospettiva delle norme di condotta internazionali.

In questo contesto si delineano le motivazioni che hanno condotto alla guerra in Jugoslavija.

la guerra costituente

Questo concetto si riferisce alla necessità di riformare la NATO in funzione di un rinnovato concetto strategico statunitense.

Dopo la fine della guerra fredda formalmente il ruolo della NATO si era esaurito non essendoci più' nessuna minaccia da contenere a Est. La guerra contro Belgrado fa parte di un disegno cominciato con la guerra contro l'Iraq e destinato ad evolversi ulteriormente. In quell'occasione si determinò l'inversione di tendenza, cominciata negli Stati Uniti con i trattati sul disarmo nucleare, che avevano avviato una riduzione delle spese militari e che avrebbe comportato anche il ridimensionamento della presenza militare americana in Europa. Il Pentagono lavorò in contrapposizione a quella linea per restituire un ruolo predominante alla Nato rispetto all'ONU e all'OSCE, considerati Istituzioni inutili, e per riaffermare la presenza militare americana in Europa. L'intento era di attribuire alla NATO una funzione non più' solo difensiva del territorio dei paesi membri ma anche di gestione delle crisi prodotte dall'attrito tra il capitale occidentale in espansione e le forza che a questa espansione si oppongono. Questo nuovo ruolo della NATO è stato introdotto con la guerra del Golfo, ribadito con la guerra in Bosnia, riaffermato in Serbia, sancito definitivamente in occasione del 50° anniversario dell'alleanza. Non casualmente questo avviene proprio quando in Europa sono al Governo i partiti del centro-sinistra ed ormai integrati nella gestione del potere e quindi automaticamente contrari a qualsiasi mobilitazione contro i governi medesimi.

la guerra contro l'Europa

Nell'analisi della crisi dei Balcani bisogna considerare il ruolo fondamentale rivestito dalla Germania, che ha mostrato di avere una precisa strategia di penetrazione economica nell'area accuratamente pianificata interferendo negli affari interni della Jugoslavija, incoraggiando la separazione della Slovenia e della Croazia, assicurandosi una radicato controllo del mercato. Allo stesso tempo l'Italia e la Francia si muovevano allo stesso scopo stabilendo industrie e relazioni commerciali. Gli Stati Uniti hanno inteso con questa guerra ostacolare l'affermarsi di una potenza economica e politica - l'Europa - già unita dalla moneta unica, in espansione verso l'est europeo.

Diversi esperti e consiglieri americani teorizzano il completo assorbimento dell'identità europea in quella occidentale (cioè anglosassone), il che significa un totale assoggettamento economico al capitale americano. Occupare la Bosnia, sostenere il governo filo turco, prendere il controllo della Macedonia e del Kossovo, togliere di mezzo la Serbia in quanto potenziale ostacolo al controllo statunitense dell'area, allo stesso tempo significano penetrare là dove si dirige l'espansione tedesca, europea.

La strategia americana prevede infatti i Balcani come prossimo terreno di scontro tra potenze diverse. In questo quadro l'indebolimento della Jugoslavija equivale a fare "terra bruciata" di un possibile spazio di manovra europeo e quindi è una guerra contro l'Europa. Gli Stati Uniti hanno raggiunto l'obiettivo di stabilire un'influenza politica economica e militare nel cuore dell'Europa, che ha accettato di seguire gli Stati Uniti in una guerra nei suoi stessi confini perché hanno prevalso non la politica ma gli interessi dei poteri forti.

la guerra per le risorse

Una terza motivazione molto forte che ha spinto gli USA ad intraprendere una guerra come quella del Kossovo è il

controllo delle vie di comunicazione dei Balcani, in particolare il corridoio 8, dalla Bulgaria all'Albania, La "stabilità" della regione, cioè la sua stabile adesione al blocco NATO era indubbiamente resa più fragile dalla presenza di una potenza regionale, la Serbia, in grado di fungere da centro gravitazionale per il commercio. Ora le infrastrutture sono cancellate (senza possibilità di ricostruzione a causa dell'embargo) e la navigazione sul Danubio impossibile a causa delle macerie dei ponti distrutti e dell'assenza di possibilità di rifornimento in Jugoslavija. Ora che queste vie commerciali sono cancellate e che la Serbia non è più un problema prendono corpo progetti molto ambiziosi lungo il corridoio 8, in primo luogo quello di un oleodotto che permetta di sfruttare il greggio del Caspio escludendone ben tre possibili competitori: la Russia, la Turchia, e la Cina. L'imposizione del controllo NATO nell'area e l'annientamento della Serbia costituiscono proprio quella "stabilizzazione" richiesta dalle multinazionali americane per l'apertura della nuova via. Tutto questo è palesemente dimostrato da P.M. Whibey che pure scrive per una rivista statunitense di destra. Risulta chiaro che a questo punto anche gli altri alleati NATO avranno più interesse ad accodarsi alla strategia americana (per ora) piuttosto che cercare complicate intese con la Russia (cancellata dalla scena mondiale dal cocktail Eltsin-FMI).

Non bisogna però dimenticare che il Kossovo è di per sé una regione ricca di risorse minerarie, il cui sfruttamento è ora spartito tra le potenze di occupazione (Germania, Francia, USA Regno Unito, Italia ed in parte Russia).

Presso il complesso minerario di Stari Trg a Trepca, in Kossovo sono presenti giacimenti di piombo, zinco, cadmio, oro ed argento accanto a riserve di carbone stimabili in miliardi di tonnellate. Inoltre la zona mineraria è circondata da tutta una serie di strutture che fanno di Stari Trg uno dei possedimenti più ambiti dei Balcani: depositi, fonderie ed impianti per il trattamento dei metalli, scali merci, linee ferroviarie, impianti per la produzione di energia.

Secondo dati ONU si tratta di una proprietà statale e sociale (il 66% è di proprietà del Fondo serbo per lo sviluppo, il 27% e' di proprietà statale, il 2,5% è della Jugoslavija, il 2,5% della Progres e della Beobanka, il 2% della Elektropriveda Srbije), che sulla base di dati ufficiali jugoslavi, ha esportato nel 1996 minerali e semilavorati per un valore di 100 milioni di dollari e le sue ricchezze minerali sono, si aggiunge, "la base dell'economia del Kossovo". Perciò una realtà molto appetibile per gli "investitori" internazionali.

Parte II- L'ULTIMO ATTO DELLO SMEMBRAMENTO DELLA Jugoslavija.

Molto interessante risulta la definizione di "stato terrorista" che è stata data dalle istituzioni statunitensi nei confronti della Serbia e che si ritrova nel Foreign Operations Export Financing and Related Appropiations Act 2000 Section 525. Questa categoria è riferita ad una nazione che non segue correttamente il percorso di sviluppo capitalistico. Infatti la Jugoslavija poteva essere considerata l'ultima nazione europea a mantenere qualche parvenza di economia socialista. Il potere capitalistico ha colpito questa realtà isolata fomentando l'odio tra province basate su etnie diverse, imponendo feroci sanzioni economiche ed intervenendo militarmente bombardando ospedali, scuole, ponti, fabbriche ed infrastrutture.

Già nel 1996 Sean Gervasi scriveva: "Le ragioni che portano a dislocare forze NATO nei Balcani e soprattutto ad estendere la NATO in tempi relativamente rapidi alla Polonia, alla Repubblica ceca e all'Ungheria sono assai profonde. Si tratta di ragioni legate a una scelta strategica che si sta delineando per controllare le risorse della regione intorno al mar Caspio e per "stabilizzare la Russia e i paesi della Comunità degli Stati indipendenti..."l'idea di "stabilizzare" i paesi che facevano parte del blocco socialista in Europa non significa semplicemente assicurare la stabilità politica di questi paesi, facendo rimanere in sella i regimi che hanno liquidato il socialismo, ma significa fare in modo che rimangano immutate le disastrose condizioni politiche e sociali.

[...] La questione e' tanto più pertinente dato che nell'accezione occidentale della parola, "stabilizzazione" significa riprodurre nei paesi dell'ex blocco socialista condizioni economiche e sociali simili quelle attualmente prevalenti in Occidente. Le economie dei paesi industriali dell'Occidente in effetti sono in uno stato di semicollasso e, anche se i rispettivi governi non accetterebbero mai di riconoscerlo, qualsiasi analisi ragionevolmente obiettiva della situazione economica dell'occidente porta a questa conclusione, suffragata dalle statistiche ufficiali e dalla maggior parte degli studi prodotti dagli economisti più quotati.

[...] Sin dall'inizio il problema principale in Jugoslavija è stato l'intervento straniero negli affari interni del paese. Due potenze occidentali, gli Stati Uniti e la Germania, hanno deliberatamente indirizzato i loro sforzi a destabilizzare e smantellare il paese. Il processo, già in pieno svolgimento negli anni '80, è stato ulteriormente accelerato all'inizio dell'attuale decennio. Le due potenze hanno accuratamente pianificato, preparato e assistito le secessioni che hanno mandato in pezzi la Jugoslavija e hanno fatto il possibile per allargare e prolungare le guerre civili iniziate in Croazia e continuate poi in Bosnia-Erzegovina. Dietro le quinte il loro coinvolgimento non è mai venuto meno in nessuna delle fasi della crisi."

Il passo successivo alla Bosnia-Erzegovina e' stato il Kossovo.

 

parte III: Strategia e tattica della NATO nella guerra contro la Repubblica Federale di Jugoslavija

In questa sintesi vengono sviluppati i seguenti punti:

  1. Il ruolo della disinformazione strategica
  2. Il ruolo dell'OSCE nella determinazione della scelta bellica
  3. La funzione dell'UÇK nell'escalation della violenza
  4. La funzione di "trappola" svolta dai colloqui di Rambouillet
  5. La tattica e gli obiettivi dei bombardamenti NATO.

Il ruolo della disinformazione strategica.

La guerra portata dalla NATO alla Repubblica Federale di Jugoslavija non ha trovato nessuna giustificazione nel Diritto internazionale; per questo motivo si è verificata la necessità molto stringente, da parte dei vertici militari e dei governi, di ottenere il massimo sostegno possibile nell'opinione pubblica. Questo risultato è stato perseguito in tre diversi modi: tramite la creazione di un clima di ostilità verso la Serbia (come Stato, come governo, ma anche come Nazione), tramite la creazione di casus belli costruiti ad arte (ad esempio, la "strage" di Raçak) ed infine tramite la manipolazione e falsificazione delle notizie sullo svolgimento della guerra di per sé (con l'obiettivo di fare scomparire qualsiasi riferimento ai danni subiti dalla popolazione civile e di declinare ogni responsabilità della NATO riguardo tali danni)

La criminalizzazione della Serbia è avvenuta negli anni, e fa parte di una ampia strategia USA che prevede che tutte le nazioni i cui interessi siano in conflitto con quelli angloamericani siano definite "fuorilegge" (rogue states). È stato così per l'Iraq (Saddam Hussein = Hitler), per Panama (Noriega = trafficante di droga) e quindi per la Serbia (di nuovo: Milosevic = Hitler). Questo ha creato un clima ostile che questa volta, mentre in passato era rivolto solo contro i capi di stato o i governi, ha come obiettivo un intero popolo: i Serbi sanguinari assetati di sangue, creatori di campi di concentramento, violentatori di donne ed infine, nelle parole di Tony Blair e di Luttwak, meritevoli di essere puniti per

aver sostenuto Milosevic (il quale, contemporaneamente, viene dipinto come un dittatore sanguinario che reprime l'opposizione democratica).

La giustificazione dello scatenamento della guerra contro la Serbia viene da alcuni "fatti" creati ad arte come la cosiddetta "strage di Raçak", dove un'operazione di polizia svoltasi in un villaggio disabitato, con scontri a fuoco tra polizia e ribelli, fu spacciata dall'UÇK, ad uso e consumo dei mezzi d'informazione, come strage a sangue freddo di civili. Si aggiunga a questo la disinvolta gestione delle notizie provenienti dalla Jugoslavija: prima dell'inizio della guerra si parlava apertamente di "genocidio" dei kosovari albanesi, con cifre che si aggiravano intorno ai diecimila morti. Qualsiasi cumulo di terra smossa, fotografato da satellite, veniva spacciato per "fossa comune" e portato come "prova" del genocidio. Tutti questi numeri furono, a guerra finita, screditati dalle missioni di verifica dell' ONU.

Durante la guerra, infine, l'evidenza delle responsabilità NATO nelle sofferenze inflitte ai civili venne negata in modo a volte addirittura spudorato da parte dei diversi portavoce, primo tra tutti l'incredibile Jamie Shea. Parole come "operazione chirurgica", "effetto collaterale", "bomba intelligente" fanno pensare ad una attività efficiente e pulita, cioè a tutt'altro che ad una guerra. Le conseguenze di questa attività le vedremo più avanti.

Un esempio per tutti della strategia di disinformazione: il caso del convoglio passeggeri colpito da un missile sganciato da un aereo. La NATO prima incolpò le forze iugoslave, poi parlò di errore inevitabile, dovuto alla grande velocità alla quale il treno viaggiava: e dimostrò la propria innocenza mostrando un filmato. Mesi dopo fu scoperto che la ripresa era stata proiettata a velocità tripla del normale, e che quindi il treno era stato colpito di proposito. Ma ormai la guerra era finita, e le smentite, si sa, non hanno mai lo stesso effetto delle affermazioni che smentiscono.

Nel quadro della strategia della disinformazione vanno considerate alcune operazioni di carattere strettamente politico, volte a convincere l'opinione pubblica della necessità di un intervento militare.

Infatti, come vedremo anche più oltre, molti sforzi furono rivolti a convincere l'opinione pubblica della inevitabilità dell'aggressione, in difesa di un popolo inerme, in balia di un tiranno sanguinario. Si consideri sotto questa luce anche la funzione svolta da iniziative quale la "Missione Arcobaleno", autentica vetrina dei "buoni sentimenti" del Governo italiano nei confronti dei profughi kosovari: come si poteva restare inerti di fronte ad una tale catastrofe? Bisognava agire subito, con l'aiuto umanitario (perché si sa: noi italiani siamo brava gente) ma anche con la neutralizzazione del colpevole. Si costruisce così il dogma (di questo si tratta) della guerra giusta. Aggiungeremo: giusta ed anche virtuale, asettica, "sicura": le bombe non colpiscono ponti, case, esseri umani ma "obiettivi"; ed è una guerra senza rischi, senza il sangue - quindi forse nemmeno una guerra. Quanti italiani avrebbero accettato lo scatenarsi di una guerra? Pochi. Invece questo gioco elettronico, senza i morti ed i feriti (tra le fila degli aggressori), può impunemente definirsi da parte dei mezzi d'informazione con parole differenti, perché nella nostra memoria collettiva la guerra è (ovviamente) fatta di lutti, fame, distruzione, soldati al fronte. Senza questi elementi, chi ascolta le notizie tenderà a considerare ciò che accade come qualcosa di diverso da una guerra, e quindi non avrà una reazione di rifiuto.

In conclusione, il ruolo giocato dall'informazione in questa guerra si rivela essenziale; il Pentagono infatti dispone di una squadra di specialisti in comunicazione (PsyOps, Psychological Operations) che hanno lavorato, durante la guerra, in stretta collaborazione con il personale della CNN e che sono specializzati nel confezionare notizie adeguate agli scopi della strategia militare. La manipolazione dell'informazione non si è limitata dunque alla negazione dell'evidenza: si è spinta ben oltre, fino alla completa ricostruzione della realtà.

Il ruolo dell'OSCE nella determinazione della scelta bellica

Una parte della comunità internazionale tentò di percorrere una via diplomatica per la risoluzione della crisi interna al Kosovo, inviando nella zona degli scontri un nutrito contingente di osservatori e diplomatici.

L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa era stata incaricata tra la fine del Novembre 1998 ed il Marzo del 1999 di verificare il rispetto degli accordi Holbrooke-Milosevic e favorire la pacificazione nel Kosovo. Molti dei 1400 verificatori internazionali, dopo l'inizio dei bombardamenti, hanno dichiarato di essere "amareggiati" per lo sviluppo della situazione: "non eravamo assolutamente minacciati e le cose sono andate male poiché si è voluto che andassero così". I verificatori parlano di violenti scontri tra polizia/esercito serbo ed UÇK, ma mai di pulizia etnica e tanto meno di genocidio. Sulla coscienza di tutti pesa il senso d'impotenza per un'evacuazione      in blocco che ha dato il via libera ai bombardamenti, alle ritorsioni violente ed ai regolamenti di conti tra bande.

Purtroppo a posteriori si può notare amaramente che sarà difficile trovare nella storia delle missioni internazionali di pace un'impresa altrettanto caotica ed ambigua come quella in Kosovo.

La dirigenza dell'OSCE, sempre rimasta saldamente in mano statunitense, non ha mai in realtà nascosto la sua propensione ad appoggiare la componente albanese a scapito di quella serba; l'identificazione OSCE=USA è stata facilitata dall'atteggiamento dell'ambasciatore William G. Walker che per tutto il tempo si è ostinato a viaggiare su una vettura dell'OSCE contrassegnata dalla bandiera americana. La mancanza di una immediata campagna di informazione sugli obiettivi della missione ha contribuito a diffondere tra la popolazione locale questa convinzione.

Purtroppo il carattere fondamentalmente militare dell'organizzazione si avvertirà sin da subito e col procedere della missione il conflitto e la spaccatura tra il settore civile e militare si farà sempre più forte. Poco dopo l'insediamento della missione il controllo delle informazioni viene monopolizzato dal gruppo anglo-americano, che dimostra apertamente di coltivare rapporti privilegiati con le fazioni dell'UÇK. Dalla parte opposta la Russia non nega mai le sue simpatie filoserbe.

Nel corso delle verifiche e delle perlustrazioni effettuate sembra che diversi rapporti siano stati rigorosamente "epurati" dalle azioni di guerriglia kosovara; inoltre alcuni verificatori, tra cui italiani, russi e francesi, sono stati accusati di filo serbismo per aver riportato casi di violazione dei diritti umani da parte di albanesi e di membri dell' UÇK. Queste stesse persone avrebbero in seguito ricevuto delle minacce di morte da un capo dell'UÇK. Ciò dimostra quanto fosse pilotata la divulgazione di notizie riservate.

Col trascorrere del tempo la situazione nella regione kosovara si presenta sempre più critica: a metà Dicembre '98, 36 guerriglieri albanesi, sorpresi ad introdurre illegalmente armi in Kosovo dall'Albania, vengono uccisi al confine. Nello stesso giorno, in un bar di Pec, sei ragazzi serbi, civili, muoiono uccisi in un attentato. Con i violenti scontri di Natale nella zona di Podujevo l'UÇK rompe la tregua che non ha mai firmato. La risposta serba è ferma, ma assai contenuta: essendo la Serbia l'unica ad avere firmato un accordo, è automaticamente indicata come l'unica a violarlo.

All'inizio del mese di Gennaio, l'UÇK sequestra otto soldati dell'esercito serbo e chiede, in cambio della loro liberazione, il rilascio di combattenti kosovari catturati qualche settimana prima al confine albanese. Su questo fatto si arriva alla contrapposizione netta tra la linea europea e quella americana in seno all'OSCE. L'agenzia di stampa Reuters riporta nello stesso giorno due dichiarazioni diametralmente opposte della stessa missione sullo stesso caso: una da Pristina a firma Keller che attribuisce ai combattenti albanesi la responsabilità dell'accaduto e dell'aumento degli scontri; l'altra da Washington, a firma Walker, che invece indica i Serbi come principale causa della nuova tensione e della violazione della tregua.

Il 15 Gennaio il colpo di uno Sniper dell'UÇK penetra l'automezzo blindato di un verificatore britannico all'interno di un convoglio scortato dalla polizia serba: gli occupanti vengono feriti. La condanna dell'OSCE è durissima. Il giorno dopo vengono scoperti a Racak i cadaveri di 45 albanesi. Il capomissione si reca sul posto immediatamente e di fronte ai giornalisti non usa mezzi termini, definendo l'accaduto "un crimine contro l'umanità" e accusando le autorità serbe, esercito e polizia di sicurezza, di essere gli autori del massacro. Il suo comportamento è stato definito da più parti un grave errore diplomatico: l'atteggiamento sembra insinuare una chiara volontà di provocazione per alzare il livello del conflitto e spingere verso un intervento armato della NATO.

La funzione dell'UÇK nell'escalation della violenza.

L'Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK) fu definito, dagli stessi diplomatici americani, una "organizzazione terroristica", e sono note alla magistratura di diverse nazioni europee le sue attività illecite. L'amministrazione Clinton ha appoggiato militarmente e politicamente questa organizzazione terroristica la quale ha finanziato la maggior parte della sua guerra con i profitti del narcotraffico e della prostituzione. Secondo diversi rapporti delle polizie internazionali questa organizzazione possedeva e possiede profondi legami con la mafia albanese che controlla la maggior parte del traffico di cocaina ed eroina presente in Europa. Non si riesce a capire per quale motivo nel 1997 l'UÇK fosse definito un gruppo di terroristi mentre alla fine del 1998 era diventato un gruppo di combattenti per la libertà. I loro metodi sono sempre stati alquanto discutibili, infatti sembra che qualsiasi kosovaro-albanese che non appoggiasse la causa dell'esercito di liberazione venisse convinto in modi non del tutto pacifici, fino alla sua eliminazione fisica.

Questa organizzazione è diventata, grazie al supporto ricevuto dagli Stati Uniti, una delle chiavi di volta per architettare l'escalation militare contro la Jugoslavija: le sue attività in Kosovo-Metolhjia hanno provocato, come era lecito attendersi, una reazione immediata da parte dello stato iugoslavo. L'UÇK ha così fatto sì che la tensione nell'area salisse fino al livello di guardia: questo ha consentito l'applicazione della dottrina di diritto internazionale del ministro degli Esteri USA, Albright: "l'intervento militare diventa inevitabile quando una richiesta di autodeterminazione attiva un conflitto armato che si trasforma in una crisi umanitaria". Il ruolo dell'Esercito di Liberazione del Kosovo in questo quadro è presto spiegato: fare salire il termometro fino alla giusta temperatura. A questo punto interviene la strategia di disinformazione strategica (vedi punto 1) che trasformando ogni azione di polizia in strage e deportazione "crea" i presupposti per l'azione militare. In realtà, prima dell'intervento NATO, la stessa missione di verifica OSCE non aveva rilevato episodi di violenza particolarmente vasti né un piano sistematico di "pulizia etnica" da parte della Serbia.

La funzione di "trappola" svolta dai colloqui di Rambouillet.

I colloqui di Rambouillet furono condotti, da parte occidentale, con un solo filo conduttore: "noi offriamo un accordo di pace ragionevole, gli albanesi accettano, i Serbi no: non è colpa nostra". Durante i colloqui, raggiungere un accordo sarebbe stato possibile, ed infatti lo stesso parlamento iugoslavo discusse ed approvò un testo non dissimile da quello presentato da parte occidentale. Ma i colloqui presentavano un vizio formale ed un vero e proprio imbroglio. Il primo dimostra la volontà della NATO di imporre la propria soluzione: infatti l'alternativa alla firma dell'accordo erano… i bombardamenti. Questo, in termini comuni, non è una trattativa: è un ricatto. Il secondo riguarda ancora una volta la sfera dell'informazione: perché i Serbi si rifiutavano di firmare? "Perché sono dei criminali…". Nessun mezzo d'informazione principale ha riportato, prima della fine dei bombardamenti (quando cioè la cosa non era più importante), il contenuto dell'Appendice B del testo occidentale, equivalente ad una resa incondizionata. Da questo doppio imbroglio, verso l'opinione pubblica e verso la controparte, risulta chiaro che il testo presentato a Rambouillet aveva il solo scopo di essere rifiutato e di creare le condizioni per l'aggressione alla Jugoslavija.

Purtroppo nella località francese la NATO, capeggiata dagli Stati Uniti, invece di tentare una mediazione tra le parti in causa, presenta il documento sull'accordo come un ultimatum, sapendo benissimo che nessuno Stato Sovrano lo avrebbe mai sottoscritto. Non ci fu nessun tipo di negoziazione e la controproposta Yugoslava non fu mai presa in considerazione, pur essendo molto valida sotto diversi punti di vista.

L'accordo di Rambouillet, oltre agli aspetti ampliamenti pubblicizzati dai media conteneva parecchi punti che andavano a violare in modo clamoroso la sovranità della Jugoslavija sul suo territorio. Di seguito vengono riportati alcuni esempi chiarificatori:

Capitolo 4a, Art.I:

L'economia del Kosovo dovrà basarsi sui principi del libero mercato

Appendice B

Sezione 6a: La NATO sarà immune da qualsiasi processo legale, sia esso civile, amministrativo o criminale.

Sezione 6b: Il personale della NATO, in qualunque circostanza, non sarà sottoposto alla giurisdizione del Governo per le azioni di natura civile, amministrativa, criminale o disciplinare che attuerà nella Repubblica Federale di Jugoslavija

Sezione 8: Il personale della NATO, nonché i veicoli ed il loro equipaggiamento, avranno un accesso libero e non restrittivo su tutto il territorio della Repubblica Federale di Jugoslavija, incluso lo spazio aereo e quello navigabile. Questo includerà il diritto ad accamparsi, manovrare ed utilizzare qualunque area o facilitazione richiesta per il supporto, l'addestramento e le operazioni.

Sezione 11: Alla NATO verrà garantito l'utilizzo di aeroporti, strade, ferrovie e porti senza il pagamento di alcune tassa o la presenza di alcuna clausola.

Sezione 15: Il Governo della RFY dovrà garantire gratuitamente tutti i servizi di telecomunicazione e di trasmissione che la NATO reputerà necessari per le operazioni.

Come si può notare l'accordo di Rambouillet ha messo il Governo della Repubblica Federale di Jugoslavija in condizione di non poter assolutamente accettare alcuni articoli proposti dalla NATO. Si è affacciata ormai da più parti l'ipotesi, se non la certezza, che il ruolo di Rambouillet è stato solo quello di dare un'ulteriore giustificazione agli USA ed ai loro alleati per sferrare il massiccio bombardamento sull'intera nazione yugoslava.

La tattica e gli obiettivi dei bombardamenti NATO.

Dopo l'inizio dei bombardamenti la NATO ha adottato una strategia in due fasi: la prima doveva scardinare il sistema delle comunicazioni e delle infrastrutture di collegamento; la seconda doveva essere rivolta alla distruzione del potenziale militare vero e proprio dell'esercito iugoslavo. Tutto questo, nelle intenzioni dei vertici NATO, doveva essere ottenuto senza mettere a repentaglio la vita dei "nostri ragazzi": quindi dall'aria, da grande distanza e con missili terra-terra ad elevato potenziale distruttivo.

La "prima fase" ha pienamente raggiunto i suoi obiettivi: dopo i bombardamenti tutti i ponti sul Danubio erano distrutti, molte delle riserve di carburante bruciate, ma non solo; gli "obiettivi legittimi" della NATO includono anche fabbriche, centrali termiche che forniscono riscaldamento ad interi quartieri, la stazione della televisione di stato, gli impianti per la produzione di fertilizzanti, le centrali elettriche. Il risultato ottenuto -anche se non dichiarato- non è stato fermare un esercito, ma distruggere una nazione, la sua economia ed il suo tenore di vita, già peraltro scarso. La tattica NATO era rivolta, quindi, ad ottenere un indebolimento strutturale permanente della Serbia (in Montenegro, viceversa, la prima fase non ha avuto luogo).

La "seconda fase" ha invece provocato la strage dei civili: la NATO si è giustificata affermando che le installazioni militari erano mescolate a quelle civili, anzi spesso "dentro" quelle civili: scuole, chiese, ospedali… le decine di migliaia di proiettili missili e bombe riversati sulla Serbia non hanno tuttavia ottenuto l'obiettivo dichiarato, cioè l'annientamento dell'esercito della RFT. Nel bilancio della stessa NATO sono solo poche decine i tank iugoslavi distrutti.

Ma allora qual è la spiegazione?

I militari NATO sono incompetenti, non sono imbattibili? Forse c'è dunque una speranza… oppure l'obiettivo era un altro: distruggere la Jugoslavija tout court; provare una nuova tattica militare, tutta basata sul controllo aereo, sulla pelle delle persone.

parte IV - L'IMPATTO AMBIENTALE DELLA BASE DI AVIANO

Come mai il governo italiano, più di cinquant'anni fa, si è sentito in diritto di regalare un pezzo delle nostre terre ad un organismo militare straniero (denominato N.A.T.O.) ?

Come mai, cessato il potenziale pericolo "da Est" che aveva permesso l'insediamento (l'occupazione) da parte della NATO di terre europee, non si è pensato di rivalutare attentamente la legittimità di quel regalo e la pericolosità delle basi nel nostro Stato (come in molti altri paesi) ?

Scopo fondamentale del trattato Nord-Atlantico (stipulato a Washington nel 1949, da 12 paesi fra cui l'Italia) era la collaborazione militare ed economica fra i paesi membri e la difesa di questi dai paesi comunisti dell'Est europeo. Aderire alla NATO comportava allora (e comporta tutt'oggi) condividere una precisa visione politica sia dei meccanismi interni al proprio paese, sia dei rapporti tra stati, significa accettare una limitazione della propria sovranità nazionale (le basi NATO sono territorio americano con leggi americane, indipendentemente dalla posizione all'interno di uno Stato) per la protezione degli Stati Uniti.

L'Italia nel 1951 con un accordo segreto regalò agli Stati Uniti alcuni terreni sparsi sul nostro territorio, e motivò il gesto con la paura della "minaccia da Est" che la guerra fredda aveva scatenato.

Nella regione italiana del Friuli Venezia Giulia (e del Veneto) è presente il 35% delle forze armate italiane con 70.000 militari dell'esercito (pari al 4,6% della popolazione regionale), alcune migliaia di soldati dell'aeronautica e della marina

italiana, e 4.500 soldati dell'esercito U.S.A. (situati nella base di Aviano).

La base di Aviano si trova in provincia di Pordenone ed è stata costruita nel 1911 come scuola militare dell'aeronautica italiana. Durante le due guerre mondiali fu usata come centro di addestramento e come base operativa; dopo essere stata gravemente danneggiata dai bombardamenti, viene consegnata all'aeronautica militare U.S.A. in Europa e resa operativa il 15 febbraio 1955. Fino all'aprile 1994 la base di Aviano resta un semplice aeroporto di supporto logistico, ma dal '94 si è deciso di trasformarla nella principale base NATO in Europa (rimpiazzando la base di Ramstein in Germania). Il progetto di potenziamento e ampliamento viene denominato "Aviano 2000" e prevede il trasferimento dei militari e dei materiali nella base (attuato nell'aprile '94) e l'ampliamento delle strutture militari e delle infrastrutture civili per i militari americani e per i loro familiari.

Non ci sono motivi per essere contenti se ci scopriamo vicini di casa dei nostri "alleati" americani. Diciamo 'scopriamo', perché forse non tutti hanno notato come, attenendoci alla veridicità delle carte topografiche ufficiali, la zona adiacente alla città di Aviano è ricoperta da strade, campi e fossi ma non certo da una base aerea NATO, poligoni di tiro o altre installazioni militari (opportunamente sostituite da vie inesistenti o coltivazioni esistenti in passato).Questo è piuttosto comprensibile trattandosi di una concessione territoriale di tipo militare, rimasta tuttora segreta (a scapito della Costituzione e delle norme stesse del Patto atlantico).

Purtroppo, però, l'esistenza di questa base "fantasma" provoca gravi danni ambientali e forti disagi alla popolazione residente nelle vicinanze. Possiamo dire di essere di fronte a una vera e propria "servitù militare"!

I problemi che riguardano Aviano sono riconducibili a due cause: alla presenza di un organismo militare sul territorio; al conseguente impatto urbanistico ed ambientale nella zona.

Conseguenze dell'impatto della base sull'ambiente fisico e sociale:

- Inquinamento del suolo e dell'aria: all'interno della base sono presenti cisterne interrate adibite al deposito di carburante, prive di protezione da sversamento e di alcun controllo da parte di enti italiani (siamo di fronte ad un trattato internazionale che priva gli enti locali di qualsiasi autorità di controllo e verifica sulla base). Nell'aprile '89, 4.500 litri di G.P.8. (carburante per aerei) si riversarono sul suolo interno alla base inquinando le falde acquifere del paese distante pochi chilometri a Sud, Roveredo in Piano. Non si sa se questo incidente si sia verificato altre volte prima del '89, né se potrà verificarsi ancora.

Inoltre, il combustibile non diventa parte integrante solo del sottosuolo, ma anche dell'aria: per la propria sicurezza, gli aerei da caccia svuotano in volo i serbatoi, così da poter compiere le manovre di rientro senza temere incendi o esplosioni. Grazie a loro si adagia sui prodotti agricoli (e non solo su quelli) una patina non gradevole di combustibile mentre un odore acre penetra nelle case.

- Inquinamento da rumore: il frastuono degli aerei che durante tutto il giorno (circa 100/150 voli giornalieri, ma possono arrivare anche a 300) sorvolano a bassa quota le case, si avverte fino a diversi chilometri di distanza dall'aereoporto. Il rumore prodotto di passaggio in particolare degli F18 e F16 (ma non molto dissimili sono gli altri aerei) oscilla tra i 110 e i 130 decibel all'aperto, e tra i 90 e i 100 decibel in una abitazione con finestre chiuse. Questo significa che ad ogni volo i cittadini sono costretti ad interrompere la conversazione, gli attimi di riposo (notturno o pomeridiano), l'ascolto di radio o televisione; ma gli aerei sorvolano indistintamente anche ospedali e scuole, dove il rispetto per chi ha bisogno di silenzio dovrebbe limitare il rumore a non oltre i 47 decibel (limite imposto per legge).Le proteste non sono mancate - è stato chiesto di limitare i voli durante il giorno e di sospendere quelli notturni dalle 22.00 alle 7.00 - ma la soluzione adottata, quella di cambiare le rotte di decollo e atterraggio, non ha fatto altro che spostare il problema altrove.

- Disagi e preoccupazioni: ai disagi acustici si sommano le vibrazioni provocate dal continuo transito degli aerei che provocano la formazione di crepe sui muri delle case e lo slittamento delle tegole dei tetti, disagi che richiedono una continua manutenzione di tutti gli edifici della zona.

Inoltre, sapere che nella base di Aviano ci sono state (e vi sono tuttora) armi nucleari non ci fa certo rilassare, soprattutto se queste armi sono tenute nascoste all'opinione pubblica dal segreto militare che impedisce di sapere precisamente quante sono e se sono mai state utilizzate. Della presenza delle armi nucleari siamo venuti a conoscenza dal Dipartimento della difesa degli Stati Uniti che "involontariamente" ha reso pubblico un elenco di 20 basi aeree in Europa dove si trovano aerei militari USA dotati di armi nucleari; fra queste basi quelle di Aviano, Ghedi (Brescia) e Rimini in Italia.

Problemi connessi alla presenza dei militari e dei loro familiari sul territorio di Aviano.

I militari americani attualmente sono 4.500 (quasi 9.000 con i familiari), gli abitanti di Aviano sono 8.350.Gli oneri che direttamente o indirettamente gravano sul comune di Aviano e sui suoi abitanti sono:

- Strade: le strade principali (in particolare quelle che raggiungono la base) sono sottoposte ad un intenso traffico che ne provoca il rapido deterioramento e produce un sensibile inquinamento da gas di scarico; ovviamente le strade erano previste per una popolazione numericamente inferiore.

- Rifiuti: i rifiuti, sia urbani che speciali (tossico-nocivi) della base vengono smaltiti da ditte italiane a spese degli statunitensi, ma rimangono comunque a carico del nostro ambiente. Inoltre, non figurando come residenti, gli americani dell'AIR FORCE si trovano a pagare la tassa sui rifiuti non in base al loro quantitativo ma alla superficie delle abitazioni; la differenza di costi viene addebitata sulle tasse della popolazione residente nei pressi di Aviano ma che con la base non c'entra.

- Abitazioni: l'aumento della popolazione abitante ad Aviano e dintorni ha prodotto un aumento vertiginoso degli affitti insostenibile per molte famiglie della zona che si vedono costrette ad emigrare verso altri comuni dove le case sono meno costose. Questo provoca uno spopolamento delle famiglie friulane avianesi e delle attività commerciali e artigiane; la provincia subisce di conseguenza una perdita d'identità locale diventando un territorio sottomesso alla funzione bellica.

Stesso discorso vale per lo stravolgimento della tipologia edilizia che, soprattutto negli anni '70, ha visto la diffusione delle villette con giardino, tipiche di una cultura nordamericana ma così lontana dal paesaggio friulano.

Abbiamo accennato solo ad alcuni dei problemi più rilevanti che la presenza della base militare provoca, ma ciò è sufficiente per poter considerare gli effetti che l'ampliamento della base comporterà. Innanzitutto il numero delle truppe aumenterà dalle attuali 4.500 unità alle future 9.000, senza tenere conto dei relativi familiari (cifra che supererà di gran lunga il numero della popolazione civile).Questo aumenterà i problemi di viabilità sulle strade, la quantità di rifiuti e il problema delle abitazioni, che andrebbero risolti invece che esasperati. Inoltre risulterà ancora più grave il problema dell'inquinamento, che ha già raggiunto livelli allarmanti.

Tutto ciò per trasformare la base di Aviano nella base più importante dell'Europa.

Il progetto "Aviano 2000" prevede l'ampliamento della base e il potenziamento delle strutture di supporto già esistenti in modo da rendere la base una vera e propria cittadella autosufficiente e svincolata dall'economia locale; questo danneggerà il piccolo commercio locale, che è stato fino ad ora sostenuto proprio dalla presenza degli statunitensi.

L'IMPATTO AMBIENTALE NEL MARE ADRIATICO

L'impatto ambientale dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavija non ha risparmiato il Mare Adriatico, sorvolato un'infinità di volte dai cacciabombardieri ancora carichi di bombe, poi rilasciate in acqua, in quantità ingenti ma ancora imprecisate, per evitare il rischio di un atterraggio "a pieno carico". Questa "procedura di sicurezza" ha trasformato l'Adriatico in una pattumiera.

I danni provocati, e quelli a venire, sono gravi, sia per quanto riguarda la flora e la fauna, sia per chi del mare vive e con il mare lavora, come i pescatori e gli addetti al turismo: l'aspetto sociale di questa vicenda ha segnato nel 1999 diverse pagine nere.

È un "segreto di Pulcinella" rilevare la presenza di vari ordigni su questi fondali marini; ma le varie notizie che sono state raccolte in questo lavoro di ricerca hanno messo in evidenza la perseverante contraddizione tra le dichiarazioni ufficiali del governo italiano e della NATO e i dispacci di alcune capitanerie di porto, riportanti fatti inconfutabili: il ritrovamento di alcuni ordigni e gli effetti che sembrano già in atto, come ad esempio la scomparsa di alcune specie di pesci nel basso Adriatico dopo lo scoppio della guerra.

Sul numero di bombe rilasciate, sulla loro natura, sull'individuazione delle zone consentite e poi moltiplicatesi, sulla presenza di uranio, fosforo e TNT, sulla bufala delle bonifiche, fin dall'inizio sembra essersi creato un sistema di occultamento e di minimizzazione che non ha mai fatto trapelare chiarezza e verità.

Rispondendo ad un'interrogazione parlamentare alla Camera, il sottosegretario all'ambiente Valerio Calzolaio confermò ufficialmente che in Adriatico c'è il rischio della presenza di residui esplosivi, lo stesso che incombe sulle aree bombardate. Questa notizia preoccupante è anche l'ultima dichiarazione ufficiale del governo; poi, il silenzio.

Dalle attività di bonifica svolte dalla marina militare italiana risultano essere tuttora presenti sui fondali gli ordigni scaricati dalla NATO; sul numero di bombe rilasciate, sulla dispersione dei metalli pesanti e delle sostanze tossiche, le contraddizioni nella versione ufficiale dei fatti sono numerose.

A questo si è aggiunto il dato emerso da un monitoraggio effettuato dall'ICRAM (Istituto Centrale di Ricerca Applicata al Mare) sulla base delle informazioni fornite da 240 pescatori pugliesi, coinvolti loro malgrado nel recupero di diversi ordigni. Questo progetto denominato "ACHAB" ha rilevato la presenza di circa ventimila bombe chimiche, scaricate dopo l'ultimo conflitto mondiale nella fase di smobilitazione postbellica.

Molti di questi ordigni sono corrosi e mettono a rischio le acque ed i loro abitanti; i risultati delle analisi hanno indicato la sussistenza di danni e rischi per l'ecosistema marino. Questo "allarme bombe" in Adriatico ha origini lontane, ma sembra molto simile a quello che il governo stesso ha indicato relativamente alle bombe NATO. Ci sia dunque concesso il beneficio del dubbio (e un drammatico presentimento) sulla natura delle bombe lasciate "riposare" in fondo al mare dalla NATO.

Le bombe rilasciate dagli aerei NATO in difficoltà sono prevalentemente dei tipi "cluster bomb" - le micidiali bombe "a grappolo", o "a frammentazione"-, bombe a guida laser GBU-28 e missili Tomahawk (missili terra-aria).

Una "cluster bomb" equivale ad una mina antiuomo; questi ordigni possono rimanere inattivi finché restano all'interno del cilindro che le contiene (il "cluster") ed in caso di sgancio in mare il contenitore viene disattivato elettronicamente. Tuttavia, il contatto con gli attrezzi da pesca può squarciarlo, liberando le singole bombe, che possono poi esplodere, come già accaduto, provocando feriti.

Inoltre, i dati sembrano sostenere la tesi che sia già in atto il rilascio di sostanze tossiche come fosforo, TNT, metalli pesanti (tra cui l'uranio). Gli effetti di queste sostanze sull'ambiente e sulla salute sono discussi nella parte 5 di questo documento.

La cronistoria delle vicende legate alle conseguenze della guerra in Adriatico è costellata di gravi fatti e contraddizioni.

Il 10 maggio al largo di Chioggia una bomba rimasta imbrigliata nelle reti esplode, ferendo tre persone; il 17 maggio il portavoce della NATO Jamie Shea precisa che gli ordigni sono stati effettivamente sganciati tra Chioggia e Otranto. La NATO spiega che sono sei i tratti di mare interessati, come le disposizioni dell'alleanza prevedono; desta però sospetto il fatto che nessuna autorità civile sia mai stata informata prima di allora. In contrasto con la versione ufficiale, la capitaneria di porto di Molfetta documenta che soltanto dinanzi alle coste pugliesi sono otto i punti dove sono state rilasciate le bombe.

Il 20 maggio D'Alema rassicura che le bombe sono state sganciate ad una distanza minima di trenta miglia dalla costa. Lo stesso giorno però un motopeschereccio recupera a due miglia dalla foce del Tagliamento l'ennesimo ordigno, mentre il 16 maggio una motonave aveva recuperato una bomba a diciassette miglia al largo di Cervia. Gli avvisi diramati da alcuni dipartimenti navali (come quelli di Taranto ed Ancona) sono chiari: le bombe sono state deposte a 38 miglia Est-Nord-Est dalla testa del Gargano ed a 16 miglia Est-Sud-Est della stessa.

I cacciamine iniziano la loro operazione di bonifica, ma i conti non tornano: quante bombe mancano? I numeri, nei dispacci delle agenzie di stampa e nelle dichiarazioni della marina militare, aumentano continuamente. Inoltre, il recupero delle bombe a grappolo è estremamente complicato, poiché a causa delle ridotte dimensioni esse sfuggono ai sistemi di rilevamento. Dunque, gli ordigni più pericolosi sono probabilmente destinati a non essere eliminati.

La conclusione possibile è una sola: il Mare adriatico è un mare di bombe, ma è sicuramente anche gonfio di bugie.

 

Parte V: IMPATTO AMBIENTALE DEI BOMBARDAMENTI IN Jugoslavija

Il carico di morte trasportato dai caccia della NATO attraverso l'Adriatico ha prodotto conseguenze non ancora quantificabili sull'intero territorio yugoslavo. Per ammissione dello stesso Segretario Generale dell'Alleanza Atlantica almeno 31.000 proiettili all'uranio 238, detto uranio impoverito (DU-depleted uranium), sono stati sparati in Kosovo, mentre sulla Serbia vige ancora uno stretto riserbo sull'argomento. Ciò sta a significare che sono stati riversati sulla provincia kosovara non meno di 10 tonnellate di uranio, cifra che in ambito scientifico sembra alquanto sottostimata. Il grande utilizzo di questo materiale nella fabbricazione di armamenti, ma non solo, è dovuta innanzitutto alla estrema necessità di smaltire l'enorme quantità di materiale di scarto derivante dalla preparazione del combustibile per le centrali nucleari. In secondo luogo il DU possiede un costo e delle caratteristiche chimico - fisiche tali da renderlo preferibile ad altri materiali per numerose applicazioni civili e militari. Ad esempio ne viene fatto un largo uso in medicina (schermi per le radiazioni) ed in aviazione (contrappesi e zavorre), ma è soprattutto in campo militare che esso trova la sua massima espressione. Infatti il

DU è particolarmente efficace come corazza o blindatura, ed inoltre garantisce una maggiore penetrazione dei proiettili nelle corazze degli stessi mezzi blindati. Il primo uso massiccio di armi all'uranio 238 si è avuto con la Guerra del Golfo, per poi ripetere l'esperimento nel conflitto in Bosnia. L'International Action Center sostiene che i residui di uranio impoverito rimasti in Iraq sono responsabili di numerosi casi di aborto, malformazioni in neonati, leucemie ed altri tumori. Inoltre lo IAC ha pure ipotizzato che l'uso di proiettili radioattivi abbia provocato la cosiddetta Sindrome della Guerra del

Golfo, una patologia ancora non del tutto chiara che si ritiene abbia colpito 100.000 reduci inglesi ed americani della guerra in Kuwait ed Iraq del 1991. L'aspetto terribile dei proiettili contenenti uranio impoverito sta nel fatto che, nel momento in cui l'obiettivo viene colpito, l'uranio dopo aver brucia ad altissima temperatura e si trasforma in finissime particelle di ossido: radioattivo e tossico. Queste particelle si spargono tutto intorno al punto d'esplosione, ricadono al suolo e vi restano per sempre, a meno che il vento o l'acqua non li trasportino anche a decine di chilometri di distanza. Il rischio maggiore per la popolazione è l'inalazione o l'ingestione delle particelle che sembra possano provocare la comparsa di cancro, leucemia, malattie genetiche e deficit immunitari anche mortali. Si può presumere che nel lungo periodo l'uranio possa penetrare nelle falde acquifere e nel ciclo biologico che sta alla base dell'alimentazione umana. Infine c'è da sottolineare a questo proposito quanto sia complesso effettuare delle misure attendibili di DU, soprattutto per il fatto che per rivelarlo occorrono speciali apparecchiature che non tutti possono acquistare e mantenere.In Jugoslavija comunque il maggiore impatto ecologico - ambientale a breve termine è stato sicuramente provocato dalla distruzione sistematica di ponti, scuole, industrie, centrali elettriche e via dicendo.

Per quanto riguarda la Serbia le zone più profondamente colpite sono state: Pancevo, Novi Sad (capitale della Vojvodina), Kragujevac, Belgrado.

La città industriale per eccellenza della Serbia è Pancevo, una cittadina di oltre 100.000 abitanti a 15 Km da Belgrado. Essa era sede di una raffineria, di un impianto petrolchimico e dell'industria di fertilizzanti "Azotora". In barba a tutte le convenzioni internazionali, che vietano espressamente l'attacco a qualsiasi impianto industriale in piena fase lavorativa, gli attacchi agli stabilimenti si sono fatti sempre più frequenti, finché il 18 Aprile 1999 i tre siti sono stati colpiti in modo molto massiccio da un attacco missilistico facendo fuoriuscire tante e tali sostanze da provocare delle conseguenze inimmaginabili sulla popolazione e sul territorio: sono state distrutte 80.000 tonnellate di derivati del petrolio, di cui circa 20.000 tonnellate si sono riversate nel Danubio, mentre i serbatoi hanno continuato a bruciare per 14 giorni. Gli attacchi sono comunque continuati nel periodo successivo. L'impianto dell'Azotara ha rilasciato nell'ambiente delle quantità enormi di ammoniaca che si sono mescolate alle innumerevoli sostanze chimiche fuoriuscite dal petrolchimico, tra cui si possono citare:

In una delle peggiori notti di bombardamenti è stata misurata una concentrazione di CVM che era 8.600 volte maggiore del limite massimo consentito per legge. Fortunatamente nel periodo degli attacchi più intensi il vento soffiava nella direzione opposta alla città così è stato possibile evitare il peggio. Nonostante ciò ci sono state diverse vittime e centinaia di intossicati a causa delle inalazioni. Infatti anche piccole quantità inspirate delle sostanze sopra citate possono provocare problemi respiratori, nausea, diarrea, vertigini ed infiammazioni cutanee.

La fuliggine degli incendi ha prodotto per le strade di Pancevo e nei territori circostanti uno strato oleoso nero di qualche centimetro che ha ricoperto ogni cosa. Ci sono anche delle prove che dimostrano che i fumi prodotti dagli incendi sono giunti fino in Finlandia ed hanno prodotto piogge acide in mezza Europa,,. Dal punto di vista monetario la sola zona industriale di Pancevo ha riportato danni materiali per oltre 60 milioni di dollari.

La seconda raffineria della Serbia era situata a Novi Sad, in Vojvodina, e possedeva una capacità produttiva di 2 milioni di tonnellate di carburante. Inoltre rappresentava anche il terminale dell'oleodotto che trasportava il petrolio fino alle coste dalmate e da lì fino a Trieste, in Italia, capolinea del corridoio 10. Il sistema è ora distrutto nei suoi punti nevralgici grazie ai bombardamenti a tappeto operati anche dai famigerati B52.

Il Ministro dell'Ambiente della Vojvodina ha dichiarato in un'intervista che il territorio avente come capitale Novi Sad è ricchissimo di risorse naturali e di parchi, che secondo le convenzioni internazionali non avrebbero mai dovuto essere bombardate. Tuttavia il parco nazionale di Fruska Gora è stato oggetto quotidiano di bombardamenti a tappeto e di attacchi missilistici. La stessa sorte è toccata ad altre aree naturali popolate da animali e piante di diversa specie. Non è possibile valutare esattamente le conseguenze delle azioni militari sugli ecosistemi e la bio diversità, ma senza ombra di dubbio è aumentato vertiginosamente il rischio di estinzione di molte specie. Secondo diverse stime una bomba di 240 Kg produce in media un cratere di 4 metri di profondità ed 8 metri di diametro. Il terreno all'interno del cratere e nelle sue vicinanze diventa praticamente inutilizzabile per centinaia se non migliaia di anni: è questo infatti il tempo necessario a far ricrescere uno strato di humus di circa 20 cm, fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo di flora e fauna. Nel parco nazionale di Fruska Gora i crateri sono più di 1.000.

Poco lontana da Novi Sad anche la centrale di trasformazione dell'elettricità è stata gravemente colpita: gran parte del sistema di distribuzione dell'energia elettrica della Vojvodina e della Serbia del Nord è stato compromesso. Le stazioni di trasformazione e distribuzione sono state colpite anche dalle cosiddette bombe alla grafite, ma che in realtà contengono una specie di lana formata da alluminio e silicio, con l'aggiunta di metalli vari per aumentare la conducibilità elettrica. Al momento dell'impatto l'ordigno libera dei lunghissimi e finissimi filamenti che depositandosi sui collegamenti elettrici li mandano in corto circuito. Dato che i tecnici yugoslavi riuscivano a ripristinare in poco tempo le linee eliminando le fibre, la NATO ha pensato bene di servirsi dei soliti missili Cruise per bloccare definitivamente la centrale elettrica. Ciò ha portato ad un'ulteriore problema causato dal combustile solido incombusto di questi missili che contiene una serie incredibile di sostanze tossiche e cancerogene. Non bisogna inoltre dimenticare che una significativa percentuale degli ordigni bellici utilizzati nel conflitto non esplode nell'impatto con l'obiettivo prefissato. A causa di ciò il territorio dell'intera Jugoslavija è disseminato di armi inesplose (missili, munizioni, bombe a grafite ed a grappolo, mine) nonché di veicoli ed equipaggiamento militare danneggiato. Questo comporta degli altissimi rischi per la popolazione, soprattutto nel caso dei bambini, che spesso giocano inconsapevoli nelle zone teatro di guerra.

Tutta la regione della Vojvodina è bagnata da una rete di corsi d'acqua senza pari: 980 chilometri di canali, in parte navigabili. Un fenomeno strano, apparso dopo l'inizio dei bombardamenti, è stata la crescita di livello delle acque sotterranee che affiorano ed inondano intere aree normalmente emerse, con il risultato che il frumento marcisce ed i prodotti agricoli crescono in modo strano ed irregolare. L'agricoltura e la pesca, oltre a aver subito le conseguenze del cruento conflitto, sono state enormemente danneggiate dai recenti disastri accaduti in alcune miniere in Romania. Dalla zona di Baia Mare si sono riversate nel fiume Tibisco, affluente del Danubio, 100.000 metri cubi di cianuro e migliaia di metri cubi di acqua mista a metalli pesanti come piombo, rame e zinco. Le scene che si sono presentate agli occhi dei pescatori del Tibisco sono state apocalittiche: 10-15 tonnellate di pesce ucciso dal veleno in poche ore. Invece i metalli pesanti operano silenziosamente, entrando ad esempio nell'organismo dei pesci, e poi colpendo attraverso la catena alimentare qualsiasi specie se ne cibi. Se non viene effettuata una bonifica questi materiali si possono depositare sul fondo e sulle rive dei corsi d'acqua, per poi tornare a colpire in presenza di condizioni climatiche particolari, creando una spirale di morte di difficile soluzione,.

Un'altra zona particolarmente colpita che poi è diventata il simbolo della ricostruzione è Kragujevac, dove è situata la fabbrica della Zastava. Purtroppo attualmente le strutture possono dare impiego solamente a 4.000 operai su un totale di 36.000, ma un sistema a rotazione permette a tutti la possibilità di lavorare e di ottenere lo stesso stipendio. Il danno ambientale maggiore è stato causato dalla fuoriuscita di piralene da 2 trasformatori elettrici colpiti presso il reparto adibito al rifornimento energetico. Questo composto, come del resto i PCB, viene utilizzato come refrigerante poiché è una molecola ad altissima persistenza e difficile da distruggere. Grazie a queste caratteristiche le 3 tonnellate di sostanza fuoriuscita resteranno nel terreno per decenni, se non per secoli, minacciando l'esistenza degli organismi viventi ed infiltrandosi fino alle falde acquifere.

Accanto ad i danni definiti ambientali non bisogna però scordare i problemi psicologici e medico sanitari che 78 giorni di bombardamenti hanno lasciato in eredità alla popolazione serba e kosovara. A tutto ciò si deve anche associare il subdolo embargo con cui la Serbia è stata costretta a convivere nel corso degli ultimi anni. Nel corso della guerra, e purtroppo sino a tutt'oggi, si è riscontrata infatti una notevole carenza di attrezzature mediche di ogni tipo (chirurgiche, per dialisi, per esami radiologici) ed inoltre la mancanza di medicine per diabetici, farmaci per l'oncologia, garze, anestetici, antibiotici, etc. La lista potrebbe continuare per pagine intere.

Tra i profughi si è riscontrato in genere un grosso aumento delle malattie ed in particolare un incremento del numero di morti per cancro. Questo fatto è un sintomo evidente del peggioramento delle condizioni di vita e dell'indebolimento delle difese immunitarie, che portano alla facile diffusione di gravi patologie, difficilmente affrontabili a causa della carenza di cure. La debilitazione delle persone ed i profondi traumi psicologici sono problemi gravissimi, che riguardano tutto il territorio: dalla Vojvodina ai confini con l'Albania. Naturalmente chi ne soffre maggiormente sono i soggetti più deboli, come ad esempio anziani e bambini, ma chiunque potrebbe entrare in un tragico circolo vizioso in cui psiche e sistema immunitario intaccano senza rimedio la resistenza anche alle malattie più comuni.

autunno 1999


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