Con il nuovo attacco all'Iraq, l'amministrazione Usa riafferma la sua egemonia mondiale, cercando di rimediare all'incipiente crisi economica.
Cominciando dal valore del dollaro.

La forza della spada.

Le cronache raccontano che l'ordine di bombardare Baghdad sia partito quarant'ottobre prima della sua esecuzione, prima cioè che Bush partisse per il suo debutto all'estero, il viaggio in Messico, la dove i generali del Pentagono lo hanno informato dell'esito dei bombardamenti. Un attacco lucido e determinato quindi, altro che risposta alle provocazioni di Saddam Hussein, altro che «operazione umanitaria» come ancora ieri vagheggiava Tony Blair. Ma attacco in che direzione, con quali scopi, con quale strategia?

E' logico che di fronte al "glorioso" curriculum guerrafondaio degli Stati uniti, la tentazione di interpretare gli avvenimenti in chiave di perfetta continuità con le amministrazioni precedenti sia forte e anche giustificata. Anche Bill Clinton infatti si presentò al mondo allo stesso modo: due bombette sugli iracheni e via. Ed è altrettanto vero che la politica estera statunitense più di tanto non può cambiare: ci sono interessi vivi da difendere, uno status internazionale, una mole di profitti investiti in ogni parte del mondo da tutelare. Eppure la mossa di Bush ha un sapore diverso e allude ad un rilancio della classica strategia americana, il dominio più ampio e assoluto possibile sul pianeta. Certo ci sono ragioni contingenti: l'isolamento all'Iraq che si incrina, la politica delle sanzioni messa continuamente in discussione, una situazione d'instabilità in Medio Oriente che esige una maggiore disciplina. Ma nonostante questi fattori, la mossa di Bush parla d'altro e guarda un po' più in là.

La fine dell'era Clinton

La politica dell'amministrazione Clinton, infatti, pur improntata alla strenue difesa degli interessi americani, in Medio Oriente, nei Balcani, nel Pacifico o in America latina, ha in realtà cercato di coinvolgere in questa strategia gli altri due poli capitalisti del pianeta, Europa e Giappone. Clinton ha cercato di costruire una leadership mondiale "plurale", soprattutto in direzione del Vecchio continente, provando a coinvolgere i dirigenti politici europei nelle grandi scelte, anche in virtù della loro appartenenza alla socialdemocrazia internazionale. Il progetto dell'Ulivo mondiale, che ha affascinato non solo Tony Blair ma anche i Prodi, i Veltroni e i D'Alema italiani, ha rappresentato la formula con cui questa intenzione, certamente velleitaria, ma reale, si è presentata al mondo. Di fronte al progetto dell'unificazione europea, sempre avversato negli Usa, il tentativo di Clinton è stato quello di mantenere con l'Ue una competizione cordiale, privilegiano la collaborazione, in nome della condivisione di valori generali comuni: la guerra umanitaria, il progresso civile, lo sviluppo tecnologico, la nuova economia. Insomma, il celebre manifesto della cosiddetta Terza via, ideato a Washington e non a Londra, non è stato solo un modo di modificare il profilo politico della socialdemocrazia, ma un vero e proprio progetto di riassetto degli equilibri geopolitici mondiali in epoca di globalizzazione dei capitali e dei mercati.

La svolta di Bush

con la nuova amministrazione repubblicana questo schema cambia radicalmente. E non tanto in virtù della riscoperta dell'isolazionismo americano, quanto per l'accentuazione di un'altra impostazione politica. A Washington pensano in sostanza che la riacutizzazione della competizione internazionale vada affrontata con una riaffermazione degli interessi statunitensi, sia sul piano economico che politico e militare. Potrebbe non essere del tutto causale la coincidenza tra l'attacco all'Iraq e l'incipiente crisi dell'economia statunitense - e la contestuale ripresa europea che già fa sentire i primi effetti sul dollaro. Anzi, proprio l'andamento della moneta statunitense, salita alle stelle durante il secondo mandato di Clinton e precipitato dall'inizio dell'anno, potrebbe ripiegare modalità e tempistica delle operazioni militari. Il dollaro debole - che rappresenta la sanzione della crisi economicaechesignificherebbeperditadicapitalidall,esteroeindebolimentodel ruolo egemonico complessivo - richiede una politica militare più forte, qualcosa che aiuti a far capire chi comanda. Dove risiede il centro decisionale. E' stato già così in passato e lo sarà ancora di più in futuro

Europa divisa e muta

L'Europa non può non sentirsi coinvolta e colpita da questa offensiva. E infatti si ridivide in maniera netta: da una parte l'Inghilterra che, nonostante gli sforzi di Prodi, si allontana sempre più dall'adesione all'euro, dall'altra la Francia che ha assunto immediatamente una posizione di rottura rimarcando la sua vicinanza alla Russia e proponendosi come contraltare dello strapotere americano. Imposizione più defilata la Germania - il cui rapporto con Mosca cresce ogni giorno che passa, ma che ancora mantiene vincoli importanti con gli Usa - mentre l'Italia si distingue sempre per il suo complice, silenzio.

Insomma negli Usa si prepara una nuova griglia di relazioni internazionali che vedono Washington di nuovo stabilmente al centro. Lo stesso viaggio in Messico, il tentativo di velocizzare l'area di libero scambio delle Americhe - una grande unificazione di mercato con tanto di moneta unica, il dollaro -dimostrano la ferma intenzione di Washington di tutelare il proprio cortile di casa, spostando la sfida per l'egemonia mondiale oltre i confini: in Medio oriente innanzitutto, deposito energetico insostituibile, ma anche nei Balcani, nuovo avamposto orientale nella strategia di contenimento della Russia. Un quadro di nuova e più pericolosa instabilità, distante anni luce da quella promessa di nuovo ordine mondiale" che Bush padre proclamò all'inizio degli anni 90 e che Bush figlio si incarica di smentire alle soglie del nuovo secolo.

Salvatore Cannavò
Roma, 18 febbraio 2001
articolo da "Liberazione"