Iraq: realtà di un genocidio

I LUOGHI COMUNI SULLE SANZIONI ALL'IRAQ

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Le sanzioni sono una forma di guerra insidiosa che ha ucciso sinora oltre un milione di civili innocenti. Secondo le stime delle agenzie dell'Onu sono 250 al giorno le morti in Iraq dovute all'embargo.
L'Unicef, in particolare, ha calcolato in 4500 ogni mese il numero dei bambini sotto i cinque anni che muoiono per mancanza di cibo e medicinali. Il suo rapporto sulla mortalità infantile in Iraq (agosto 1999) riferisce che negli ultimi dieci anni la mortalità infantile è raddoppiata. Questi dati coincidono con quelli di ricercatori indipendenti. Le sanzioni sono una inaccettabile punizione collettiva, che colpisce gli strati più deboli della popolazione: i bambini, gli anziani, le donne.
Le sanzioni sono una violazione sistematica dei diritti umani, e in particolare del diritto alla vita, di tutta la popolazione civile irachena.

Vediamo alcuni di questi luoghi comuni

L'Iraq possiede e cerca di costruire armi di distruzione di massa. Lasciato senza controlli e senza sanzioni economiche potrebbe minacciare i paesi vicini.

Secondo l'ex-ispettore capo dell'Unscom, Scott Ritter, l'Iraq da un punto di vista qualitativo è stato disarmato, e non possiede più alcuna capacità nel campo delle armi chimiche, biologiche o nucleari.
Inoltre, mentre il paragrafo 14 della risoluzione 687(1991) chiede che in Medio Oriente venga creata una zona libera da armi di distruzione di massa, l'Iraq è circondato da paesi armati fino ai denti, alcuni dei quali sono suoi nemici.
Questi paesi sono clienti degli Stati Uniti, i quali, mentre impongono sanzioni genocide che sono in sé un'arma di distruzione di massa, e affermano di volere pacificare il Medio Oriente contenendo gli arsenali (??) iracheni, continuano ad armare a ritmo sostenuto i vicini dell'Iraq.
Gli Usa forniscono armi e tecnologie a Israele, Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Iran, e vendono armi per miliardi di dollari ai paesi del Golfo.
Sono americane anche l'87% delle armi usate dai militari indonesiani nella repressione a Timor Est.
E' poi doveroso ricordare che gli Usa e altri paesi europei (ad esempio, la Germania) sono stati i maggiori fornitori di armi chimiche e biologiche all'Iraq negli anni Ottanta, durante la guerra Iran-Iraq, quando gli Stati Uniti in particolare vendevano armamenti ad entrambe le parti in conflitto.
Un rapporto del Senato Usa (Committee on Banking, Housing and Urban Affairs) ha scoperto che 9 su 10 dei materiali biologici usati nei componenti delle armi irachene sono stati acquistati da ditte americane.
Il Los Angeles Times(19/2/98) ha riferito che gli Usa hanno fornito informazioni di tipo satellitare agli iracheni quando questi fecero uso di armi chimiche contro l'Iran nel 1988.
Infine, solo due giorni prima dell'invasione del Kuwait l'allora presidente Usa George Bush aveva approvato e firmato una consegna di forniture militari per l'Iraq.

L'Iraq ha violato delle risoluzioni delle Nazioni Unite. E' necessario far rispettare la legalità internazionale.

Per quanto attiene alle risoluzioni dell'Onu e al diritto internazionale, gli Stati Uniti hanno applicato costantemente due pesi e due misure.
Israele possiede più di 200 armi termonucleari e ha violato 69 risoluzioni delle Nazioni Unite, ma gli Usa adoperano il loro potere di veto all'interno del Consiglio di Sicurezza per bloccare qualunque pronunciamento dell'Onu contro questo paese.
Gli Stati Uniti sono i primi a non rispettare la legalità internazionale: stanno violando tecnicamente un trattato globale sullo smantellamento delle armi chimiche e si rifiutano di ratificare il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari.
Una legge approvata dal Senato nel 1997 permette al presidente di rifiutare ispezioni internazionali a siti militari americani, in base a considerazioni di "sicurezza nazionale".

Il governo iracheno usa denaro destinato a scopi umanitari per costruire palazzi e arricchirsi.

I mass-media parlano spesso dell'opulenza dei palazzi del presidente iracheno Saddam Hussein, ma si dimenticano di precisare che l'Iraq costruisce palazzi da 7000 anni e che una qualche attività edilizia dà lavoro agli iracheni in presenza di una disoccupazione crescente.
Per costruire palazzi, moschee e altri edifici vengono impiegati materiali locali, non occorre importare materiali sofisticati per infrastrutture (come quelli necessari a costruire scuole e ospedali), e le opere sono in gran parte finanziate con dinari iracheni che non hanno valore fuori dall'Iraq.
Molto prima che venisse introdotta la Oil for Food è stato proprio il governo iracheno a farsi carico della distribuzione di cibo alla popolazione introducendo il sistema delle razioni governative, ed evitando così una catastrofe di massa.
Un sistema di razionamento che ha ricevuto gli elogi della Fao, che nel suo rapporto del 1995 sull'Iraq lo definisce "un sussidio assai notevole al reddito delle famiglie irachene.
" Oggi i fondi che provengono dalla vendita della quantità di petrolio autorizzata dalla ris. 986(1995) non sono a disposizione della leadership irachena, ma vengono versati in un conto delle Nazioni Unite presso la Banque Nationale de Parisa New York.
Pertanto, affermare che Saddam Hussein storna fondi destinati a scopi umanitari per uso personale è impossibile, a meno che il Dipartimento di Stato non abbia le prove di un coinvolgimento dell'Onu in questo storno.
Le Nazioni Unite hanno la lista dettagliata di tutte le spese, che mostra chiaramente come (e dove) viene speso ogni centesimo delle vendite del petrolio iracheno, da parte della Banque de Paris, non di Saddam Hussein.

Il governo iracheno sta intenzionalmente trattenendo e accumulando cibo e medicinali per aggravare le sofferenze della popolazione al fine di ottenere sostegno politico e attirare l'attenzione sulla necessità di togliere le sanzioni.

Sono illazioni diffuse con intenti malevoli in un rapportodel Dipartimento di Stato del settembre 1999 (Saddam Hussein's Iraq), che è stato definito dall'ex coordinatore umanitario dell'Onu, Hans von Sponeck, "il migliore esempio di informazione distorta ... in cui ogni cifra o non viene spiegata, e dà quindi una impressione sbagliata, o è errata." Lo stoccaggio dei generi umanitari che arrivano in Iraq attraverso il programma Oil for Food viene accuratamente monitorato dall'Onu.
I suoi funzionari locali, e in primo luogo von Sponeck, hanno più volte spiegato che l'accumulo delle merci è dovuto ai problemi logistici derivanti da dieci anni di sanzioni uniti ai danni provocati dalla guerra del Golfo.
La situazione della distribuzione dei generi umanitari in Iraq viene documentata in rapporti mensili fatti dalle Nazioni Unite sulla base delle verifiche dei 158 osservatori presenti nel paese.
Da tali rapporti risulta chiaramente che ogni mese il 90% degli alimenti, medicinali e altri generi di prima necessità viene distribuito (Cfr. Hans von Sponeck, The Guardian, 4-1-2001) I rapporti dell'Onu elencano anche i numerosi problemi tecnici che complicano la distribuzione in un paese di 22 milioni di abitanti.
Per i medicinali, in particolare, sono ostacoli a una distribuzione efficiente: i bassi salari dei lavoratori dei depositi, la carenza di trasporti, le cattive condizioni dei depositi nelle provincie, la mancanza di camion frigoriferi necessari al trasporto (il Comitato sanzioni blocca i contratti per l'acquisto considerandoli merci con potenziale "dual use"), e le frequenti interruzioni di energia elettrica che provocano il deterioramento di una parte dei farmaci impedendone la distribuzione.
C'è poi un ulteriore problema: la "non complementarietà".
In molti casi le merci, acquistate dall'Iraq tramite contratti con ditte di diversi paesi, arrivano per così dire "a rate": ad esempio arrivano le poltrone da dentista ma i compressori devono essere ordinati a un'altra ditta, oppure arrivano le siringhe ma non gli aghi.
Questo significa che ciò che arriva deve essere tenuto a Baghdad in attesa che vengano completate le forniture.
Hans von Sponeck ha spiegato che questo succede per circa metà degli ordini: i medicinali in deposito, dunque, non vengono trattenuti intenzionalmente, ma non possono essere distribuiti.
A questo si aggiunge il fatto che il comitato per le sanzioni impiega più tempo per approvare alcuni ordini che altri, costringendo così l'Iraq a tenere i farmaci in deposito fino all'approvazione dei "complementi".
I funzionari del World Food Programme (Programma Alimentare Mondiale) e lo stesso von Sponeck hanno chiesto ripetutamente di "spoliticizzare" la distribuzione, sostenendo che ogni accumulo è da attribuirsi al degrado delle infrastrutture irachene, piuttosto che ad una volontà precisa del governo.

Le agenzie dell'Onu (in particolare l'Unicef) hanno verificato che nel Nord dell'Iraq la situazione è migliore di quella nel Sud. Questo dimostra che il governo di Baghdad è responsabile della sofferenza del suo popolo.

Non è possibile paragonare la situazione del Nord e del Sud dell'Iraq senza comprenderne le differenze.
Esistono diversi motivi che spiegano perché le condizioni nel Nord sono migliori di quelle nel Sud, anche se rimangono comunque peggiori di prima delle sanzioni.

  1. Il Nord dell'Iraq, pur avendo solo il 15% della popolazione, riceve dal programma Oil for Foo dil 22% in più procapite rispetto al Sud, e circa il 10% degli aiuti controllati dall'Onu in valuta, mentre il resto del paese riceve solo merci.
    Pertanto, la quota pro capite che va al centro-sud, è assai inferiore, malgrado questo sia più popolato, e il governo iracheno deve trovare i soldi per pagare personale e trasporti per la distribuzione, mentre il Nord può coprire tali costi con la valuta.
    L'importanza di questo ultimo aspetto (la disponibilità della cosiddetta cash component) per l'efficacia del programma umanitario è stata recentemente sottolineata anche dal Segretario Generale dell'Onu, Kofi Annan ("L'assenza di una cash component adeguata ha ostacolato in modo crescente l'attuazione del programma.
    Una cash component è essenziale per tutti i suoi settori".
    Rapporto del 29 novembre 2000).
  2. Le merci destinate al Nord vengono approvate dall'Onu più velocemente di quelle per il centro-Sud.
    Lo dimostrano inconfutabilmente proprio i dati delle Nazioni Unite: al 31 marzo 2001 erano solo 5 i contratti bloccati dal Comitato Sanzioni per il nord, per un valore di 500.000 dollari. (Fonte: Office of the Iraq Programme, Basic Figures)
  3. Il centro e il Sud dell'Iraq ricevono molto meno aiuti internazionali del Nord.
    Essi, pur avendo l'85% della popolazione, beneficiano dell'aiuto di solo 11 Ong, mentre quelle operanti nel Nord sono 34.
    Nel Sud, inoltre, a causa dell'intensità delle azioni belliche, le distruzioni delle infrastrutture civili (rete elettrica, idrica e fognaria in primo luogo) sono più gravi.
    Il Nord dell'Iraq ha poi più terra fertile per l'agricoltura (quasi il 50% della terra coltivabile di tutto il paese, secondo i dati della Fao).
    Infine, i suoi confini sono più "permeabili", il che significa più contrabbando, e quindi commercio, che nel resto del paese.

Le sanzioni aiuteranno a rovesciare Saddam Hussein e a portare l'Iraq verso la democrazia.

E' vero esattamente il contrario. Le sanzioni non aiutano lo sviluppo della democrazia e il rispetto dei diritti umani.
Le sanzioni hanno rafforzato il potere di Saddam Hussein.
Le sanzioni indeboliscono la società civile, allontanando la possibilità di un cambiamento nel paese.
Che fare allora? Separare le sanzioni economiche da quelle militari potrebbe essere il primo passo per porre fine alla crisi umanitaria, e istituire un embargo mondiale sugli armamenti all'Iraq che non colpisca civili innocenti.

CAMPAGNA PER LA DISSOCIAZIONE UNILATERALE DALLE SANZIONI CONOMICHE ALL'IRAQ SISTEMA INFORMATIVO A SCHEDE a cura di PROMOSSA DAUN PONTE PER... Via della Guglia 69/a, 00186 Roma ­ Tel. 06/6780808, Fax 06/6793968 COMITATO GOLFOVia Mario Pichi 1, 20143 Milano Tel. 02/89422081, Fax 02/89425770 E-Mail: rompere-l'embargo@libero.it Per restare informati: rompere-lembargo-sbscribe@egroups.com Per sottoscrivere: Ccp 59927004 - intestato a: "Un Ponte per" - Causale: "rompere l'embargo".
Ornella Sangiovanni e Marinella Correggia
di "Un Ponte per ..."
Roma, 18 marzo 2002
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