Berlusconi trascina in guerra l'Italia

Tutto okay, mister Bush

Silvio Berlusconi è tra i primi a essersi arruolato tra i fedelissimi di Washington nella crociata contro l'Iraq. In questi giorni sarà là, primo tra i primi, a prendere gli ordini. Il ministro della Difesa, Antonio Martino, lo segue a ruota, zelante esecutore nel nostro Paese di tutti gli input che vengono dal Pentagono.

Gli Usa hanno bisogno di sorvolare il nostro territorio, volteggiando verso Baghdad? Non c'è problema, naturalmente: tutto okay, mister Bush.

Le armate yankees hanno bisogno delle basi in territorio italiano per rifornimenti e altre cosette del genere? Nessun problema, generale, siamo a vostra completa disposizione.

Il premier della Casa delle Libertà, nelle sue esternazioni di politica estera e di appoggio a Bush, appare patetico, al limite del ridicolo, se la cosa però non comportasse per il nostro Paese il coinvolgimento, ormai in gran parte già avvenuto, in una vicenda bellica densa di incognite, foriera di chissà quale sconquasso nelle relazioni internazionali e nei rapporti tra l'Occidente e una gran parte del mondo arabo.

I ministri Frattini e Martino, preposti alla guida di due dipartimenti chiave, gli fanno degna compagnia, entrambi affannati nella strategia dei piccoli passi, della micidiale tela di ragno della guerra che si dispiega, ma loro fanno finta che non sia così, che gli yes già pronunciati non costituiscano già pericolosissimi impegni di guerra.

E tutto questo perché il governo cerca di tener sotto controllo l'opinione pubblica italiana, particolarmente allarmata dai venti di guerra, e non può fare altro che ingannarla, dicendo che la guerra è evitabile ma assecondando chi la guerra non vuole proprio evitare. Anzi la vuole, perché le cose stanno ormai così, nel nuovo ordine mondiale targato Usa.

La guerra è già decisa

Il discorso sullo Stato dell'Unione pronunciato ieri dal presidente Bush ha definitivamente chiarito il quadro strategico e le intenzioni politiche entro cui si muove l'amministrazione statunitense.

La guerra contro l'Iraq è stata non soltanto già decisa e minuziosamente preparata sul piano militare ma il cerchio, dopo quel discorso, si chiude intorno al gigantesco imbroglio mediatico costruito nei mesi scorsi per giustificare l'aggressione e che nel discorso sullo Stato dell'Unione si è dispiegato in tutta la sua insopportabile arroganza. Non c'è altro che la parola di Bush per attestare che l'Iraq è uno "Stato canaglia", in combutta con il terrorismo internazionale e in procinto di mettere a rischio il mondo con le armi di distruzione di massa.

Qualunque capo di Stato dotato di senso di responsabilità e di conoscenza della situazione internazionale, anche se seriamente prevenuto nei confronti del regime irakeno, dovrebbe chiedersi e chiedere all'alleato statunitense se si può andare avanti verso una guerra così distruttiva soltanto sulla base di rapporti e informazioni così smaccatamente di parte.

La concessione dello spazio aereo è un atto di guerra

Il ministro della Difesa, con l'atto di concedere prima l'autorizzazione di sorvolare lo spazio aereo poi l'utilizzazione delle basi, ha compiuto un atto di adeguamento alla strategia statunitense della guerra preventiva, ha scelto di stare con la guerra, di appoggiare la guerra.

Bisogna essere assai chiari su questo punto, così come chiari bisogna essere sull'assoluta illegittimità di una simile decisione. Non si tratta di una scelta che il governo è legittimato a fare, sulla base dei trattati già esistenti. Questa è la tesi della maggioranza, sostenuta anche da esponenti dell'Ulivo, i quali sottolineano soltanto il fatto che sarebbe opportuno politicamente investire della questione il Parlamento.

Il complesso dei trattati e delle regole internazionali, a partire dalla stessa Nato, è completamente mutato, in gran parte deflagrato. Il contesto è dominato soltanto dall'illegale e arrogante pretesa del domino americano di imporre la propria legge su tutto il mondo.

Il governo non può che muoversi, come d'altra parte fa tra il goffo e il furbesco, in questo nuovo contesto di illegalità internazionale. Quindi non può decidere nulla senza una discussione in Parlamento.

Oppure deve dire: la fonte di autorizzazione della mia politica estera sta a Washington. Bisognerà vedere a questo punto dove si collocherà il Parlamento, quando finalmente il governo dovrà presentarsi in Parlamento.

Elettra Deiana
Roma, 30 gennaio 2003
da "Liberazione"