Guerra contro l'Iraq

Un bilancio fallimentare per finanziare il conflitto

Parla l'economista Augusto Graziani

L' economia di guerra si avvicina. Suonano i tamburi di George Bush, li accompagnano i pifferi di Silvio Berlusconi, le immediate conseguenze "preventive" sono il balzo del petrolio a 40 dollari al barile, con le inevitabili ricadute su industrie, famiglie, benzina, beni di consumo, prezzi e tariffe. Sugli scenari economici che si vanno profilando "Liberazione" ha intervistato Augusto Graziani, docente di Economia politica all'Università "La Sapienza" di Roma.

Professore, la guerra bussa alle porte; chiede quattrini alle popolazioni e ai governi. Che prezzi dovremo pagare?

Vediamo le conseguenze immediate. Alcune industrie, quella degli armamenti e connesse, che sono presenti anche nel nostro Paese, probabilmente avranno nuovo sviluppo e fioritura. Altre, all'estremo opposto, come l'industria del turismo, rischiano di andare a terra e di rimanerci per un pezzo, con ripercussioni molto estese perché, soprattutto per il turismo, l'effetto si propaga in una serie di attività collaterali di cui neppure ci accorgiamo.

Un altro effetto, che si è sempre verificato con la guerra, è l'aumento dei prezzi, a cominciare dal petrolio che è già arrivato a 40 dollari al barile e non sappiamo quanto potrà ancora crescere. Tra l'altro si tratta di una merce "primaria" che si ripercuote sulla spesa energetica delle imprese e che quindi ha conseguenze sui prezzi di tutti gli altri settori.

Cioè la guerra produce inflazione?

Tutte le guerre sono state sempre state accompagnate, per ragioni precauzionali o per altri meccanismi difensivi di imprenditori e commercianti, da tornate di inflazione. C'è da prevedere una caduta dei redditi reali dei lavoratori, che sarà la prima conseguenza, non tanto lieve, degli ultimi aumenti di bollette e tariffe. Si tratterà poi di vedere quali altre industrie saranno gradualmente colpite.

Ci impoveriremo ancor di più?

Per tutti la guerra non rappresenta mai un periodo di prosperità. Produrrà invece un aumento repentino delle diseguaglianze. Fin dalla prima guerra mondiale erano emerse le grandi ricchezze di quelli che già allora si chiamavano "i pescecani", uomini d'affari che erano riusciti attraverso i traffici di guerra ad arricchirsi mentre le popolazioni si impoverivano.

L'Istat parla di un Pil italiano allo 0, 4%. Il Fondo monetario internazionale ha abbassato di mezzo punto la crescita del Prodotto mondiale. In America i consumi si contraggono perché "il sentimento" è quello di tirare i remi in barca e le imprese non investono perché le aspettative sono tutte negative. Con quali ripercussioni su Europa e Italia?

Ci saranno ripercussioni gravi. La caduta nella domanda mondiale si rovescia negativamente sulle esportazioni. Cosa faranno i consumatori italiani è difficile prevederlo ma anche loro saranno presi dal timore e penseranno di dover risparmiare. In vista di tempi bui tutti hanno paura della disoccupazione, così il consumatore è portato ad accantonare un po' di liquidità nel timore di crisi industriali che possono fargli perdere il lavoro.

Con una finanziaria in cui non ci sono risorse per il pubblico impiego, i contratti, la ricerca, e dove i margini sono resi ancor più esigui dal Patto di stabilità europeo, il governo dove troverà i soldi per soldati, aerei, carri armati, rifornimenti?

Auguriamoci che Berlusconi non entri in guerra mandando un esercito. Sarebbe una follia anche dal punto di vista economico. Se pensasse di fare un'operazione del genere ciò diventerebbe un problema europeo. Io penso che prima o poi tutti i parametri di Maastricht finiranno per saltare e che l'intervento finirà per coinvolgere anche gli altri paesi europei. Speriamo che Germania e Francia tengano duro e riescano a tenersi fuori, così Berlusconi anche volendo fare il fedele alleato di Bush lo dovrebbe fare in misura meno fanatica. In ogni caso sarà difficile conservare i parametri di Maastricht con un'ondata di spese belliche, e certamente tutte le spese sociali verranno ulteriormente ridotte.

Insomma, il costo finirà per scaricarsi sui redditi e sui servizi sociali? La guerra la pagherà la gente?

Purtroppo non si è mai vista una guerra con un bilancio dello Stato in pareggio. Se davvero il governo dovesse decidere una partecipazione dell'Italia alle azioni belliche dovrebbe dichiarare di non poter tenere il bilancio in pareggio. Non è mai avvenuto nella storia che un Paese in guerra non debba varare un bilancio di guerra.

Vuol dire un bilancio fallimentare? E poi? I soldi non bisogna trovarli da qualche altra parte?

Certo, bisogna trovarli da qualche parte. Si trovano con l'inflazione, con le solite cose dei tempi di guerra: quando si spende per gli armamenti il povero consumatore va al mercato e trova una quantità minore di beni, i prezzi salgono e c'è il cosiddetto risparmio forzato. Sul piano politico penso che Berlusconi non vorrà passare alla storia come il premier che ha riportato l'Italia, dopo 50 anni, a impegnarsi direttamente in azioni belliche. Questa non è una guerra che possa scatenare un sentimento nazionalista, che comunque non è mai stato un sentimento vivo nel nostro Paese. Fortunatamente.

Gemma Contin
Roma, 1 marzo 2003
da "Liberazione"