L'attacco scatenato da Bush suscita un grande risentimento nel mondo arabo e musulmano

Sarà Bin Laden a vincere la guerra contro l'Iraq?

Il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, vede nell'invasione dell'Iraq un'estensione della sua "guerra al terrorismo", ma sono in molti in Medio Oriente a credere che Osama Bin Laden figurerà tra i vincitori imprevisti di questa guerra. Il terrorista islamico di origine saudita, tuttora latitante, tace da quando, due settimane fa, ha avuto inizio l'incursione statunitense volta a rovesciare Saddam Hussein, operazione ha suscitato grande risentimento contro gli Stati Uniti nel mondo arabo e musulmano.

L'immagine di Bin Laden è praticamente assente nelle proteste contro la guerra organizzate nel mondo arabo. Eppure, secondo molti politici ed analisti, lo sceicco saudita avrebbe solo di che guadagnare da questo scontro tra i potenti eserciti occidentali e un povero paese islamico, specialmente se la guerra dovesse trascinarsi nel tempo.

«Questa guerra è come un'enorme campagna di reclutamento per gli alfieri di Bin Laden», afferma Magnus Ranstorp, direttore del Centro Studi sul terrorismo e sulla violenza politica dell'Università di St Andrew in Scozia. Il Presidente egiziano Hosni Mubarak, un alleato chiave in Medio Oriente per gli Stati Uniti, nonché autore di un giro di vite sugli estremisti islamici, ha espresso le preoccupazioni dei governi della regione quando, questa settimana, ha sostenuto che la guerra potrebbe alimentare «un circolo vizioso terroristico». «Il terrorismo si aggraverà. Le organizzazioni terroristiche saranno unite. Anziché un Bin Laden, finiranno per esserci 100 Bin Laden. Nulla sarà più al sicuro», ha concluso Mubarak.

Ma anche alcuni leader occidentali hanno espresso analoghi timori. Il Presidente francese Jacques Chirac, dichiaratamente contrario alla guerra, ha detto che l'attacco all'Iraq indebolirà la coalizione contro il terrorismo creata dopo gli attentati subiti dagli Stati Uniti l'11 settembre 2001, e finirà per reclutare più persone tra le fila dei violenti. Gli Stati Uniti, dal canto loro, sostengono che le loro forze speciali e i loro alleati curdi avrebbero sgominato un'organizzazione estremista islamica del Kurdistan iracheno, Ansar al-Islam, accusata di collegamenti sia con l'organizzazione terroristica di Bin Laden, Al Qaeda, sia con lo stesso Saddam.

Bush aveva indicato, tra le ragioni della guerra, l'intento di impedire a Saddam di fornire presunte armi per la distruzione di massa ad organizzazioni di questo tipo. Tuttavia, secondo vari esperti, la combinazione di fattori quali l'azione militare occidentale contro un territorio arabo e musulmano, la depressione economica dovuta alle ripercussioni della guerra e la presenza di governi autocratici che lasciano scarso spazio all'opposizione, rappresenterebbe un terreno fertile per il proliferare del terrorismo. L'esodo dei volontari arabi intenzionati a combattere in Iraq è in crescita e l'Iraq sostiene che già 4.000 giovani siano giunti dall'Algeria, dalla Tunisia, dal Libano e dalla Siria. Alcuni di questi combattenti, una volta tornati in patria, potrebbero unirsi a gruppi terroristici, come fecero i volontari arabi che avevano combattuto contro l'Unione Sovietica in Afghanistan negli anni Ottanta, di ritorno in paesi tra cui l'Algeria, lo Yemen e, nel caso di Bin Laden, l'Arabia Saudita. Mohamed, 30 anni, un volontario intervistato dalla Reuters ad Algeri, afferma di non vedere l'ora di morire per la "Jihad" (la guerra santa) contro gli americani. «Sono convinto che gli americani siano in guerra contro l'Islam. L'hanno detto loro che stanno portando avanti una crociata contro l'Islam. Andare in Iraq per combatterli è la mia occasione per vendicare i musulmani», ha detto, nell'attesa di ottenere il visto dall'Ambasciata irachena.

La durata della guerra: un fattore-chiave

Secondo diversi esperti occidentali, la durata della guerra potrebbe rivelarsi fondamentale per la concretizzazione violenta di questi sentimenti di estremismo. «Ovviamente, questa situazione radicalizza le posizioni, ma non è detto che queste si traducano in azione», sostiene Ranstorp in un'intervista telefonica rilasciata alla Reuters. «Leggendo i siti Internet legati all'estremismo islamico, è evidente che questi gruppi sono intenzionati a sfruttare la situazione per fare propaganda contro gli stati che sostengono la guerra», ha aggiunto, segnalando inoltre la Giordania, l'Egitto e il Pakistan come paesi particolarmente a rischio di attentati ispirati allo stile di Al-Qaeda.

Abdel-Rahman al-Zamil, membro dell'assemblea consultiva saudita Shura, ha affermato che «il primo risultato ottenuto dalla guerra è il ritorno del concetto di jihad». «Il regime iracheno lo sta utilizzando e i movimenti islamici affermano di aver sempre avuto ragione, sostenendo che dobbiamo continuare a combattere», ha concluso.

Gli oppositori di governi come quello di Mubarak affermano inoltre che la mancanza di libertà politica avvicinerà qualche frangia radicale del movimento contro la guerra alle organizzazioni violente che operano nell'illegalità. «L'arroganza statunitense non è meglio del dispotismo arabo. Entrambi creano rabbia e frustrazione. Lui (Mubarak) dice la verità solo a metà, mentre l'altra parte della verità è che è anche colpa dei regimi come il suo se ci sono in giro dei Bin Laden», ha detto Saadeddin Ibrahim, attivista per i diritti civili, egiziano ma con passaporto americano, appena prosciolto in Egitto dall'accusa di aver diffamato lo stato. «Ed è ugualmente vero che il suo regime potrebbe produrre 100 Zawahiri», ha ribadito Saadeddin Ibrahim ai microfoni della Reuters, riferendosi al vice egiziano di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri. Una caratteristica centrale degli attentati dell'11 settembre e di altre azioni attribuite ad Al Qaeda e a Bin Laden è il tentativo di spingere le forze statunitensi allo scontro con il mondo musulmano, ha concluso.

«Un'iniezione di energie»

Bin Laden ha lanciato la sua battaglia dopo la guerra del Golfo del 1991, giurando di cacciare le forze statunitensi dalla nativa Arabia Saudita, sede dei principali luoghi santi dell'Islam, e di rovesciare la dinastia saudita. «La prima guerra del Golfo ha fatto nascere Al Qaeda e la seconda è destinata a darle un'iniezione di energie», ha detto Steven Simon, ex consigliere anti-terrorismo della Casa Bianca e ora analista della Rand Corporation. Secondo Simon, a Washington c'erano alcuni ottimisti convinti che la vittoria in Iraq e il rafforzamento della sicurezza interna degli Usa avrebbe convinto gli estremisti islamici a ritornare a lottare contro i loro nemici interni piuttosto che contro gli Stati Uniti. «L'esito più probabile è che questa guerra ecciti ulteriormente gli animi e, pur senza creare una nuova minaccia terroristica, estenda il bacino di reclutamento dei terroristi», ha concluso. Da quando le forze statunitensi si sono messe sulle tracce di Al Qaeda e dei suoi protettori talebani in Afghanistan, si ritiene che Bin Laden si possa nascondere in una zona di confine con il Pakistan. Ranstorp afferma che, secondo fonti di intelligence, uno degli effetti collaterali della crisi irachena sarebbe stato il ritorno in massa dei combattenti di Al Qaeda dal Pakistan in Afghanistan, approfittando della distrazione delle forze statunitensi.

Paul Taylor (Reuters)
Roma, 4 aprile 2003
da "Liberazione" (traduzione di Sabrina Fusari)