I non alleati, i non allineati, gli insubordinati, i non arruolati, l'Onu, la "vecchia" Europa ...

Lode degli sconfitti

Vorrebbero vedere ammainate le bandiere arcobaleno, sciolti i cortei della pace, licenziati i dilemmi e le obiezioni. Vorrebbero infine dichiarare morto e sepolto il pacifismo, come un ferrovecchio del Novecento incautamente ruzzolato tra i piedi di un nuovo millennio imperiale. Nel bollettino della vittoria americana si fa il conto degli sconfitti: non quello dei cadaveri e dei feriti, civili e soldati, vecchi e bambini. Fuori dall'Occidente gli assassinati non hanno volto, sono un'aritmetica distratta e variabile, un prezzo necessario del progresso, un effetto collaterale. La strage fa parte del gioco.
Gli sconfitti sono altri: i non alleati, i non allineati, gli insubordinati, i non arruolati. Innanzitutto è sconfitta l'Onu, degradata al rango di infermeria e foresteria per i poveri, conclave dell'impotenza dei popoli e dell'onnipotenza dei ricchi.
Poi è sconfitta la "vecchia" Europa, già spellata viva dagli eurocrati della moneta, oggi trattata come un brontosauro destinato all'estinzione, l'in-continente dei lumi di Voltaire e della "vecchia talpa" di Karl Marx: a cui al massimo si offre un futuro di eutanasia culturale e di partnership levantina nell'evo della "guerra infinita". Poi è sconfitto - anche se gli si risparmia l'intimazione della resa - il papa Giovanni Paolo II, questo vecchio bizzarro e malato alla cui voce è consentito di volare nell'alto dei cieli senza mai planare nel basso della terra.

Gli sconfitti siamo noi

Ma gli sconfitti per antonomasia siamo noi. Moltitudini del dissenso politico e della ribellione morale, noi pacifisti, noi che invochiamo la diserzione rispetto ad una guerra che è un "sistema di governo" della globalizzazione liberista. Ci hanno buttato addosso come olio bollente le scene della liberazione di Baghdad e ci hanno sventolato sotto gli occhi la bandiera a stelle e strisce: guai ai vinti! Naturalmente non gli interessava la sconfitta di quella "loro" creatura che è Saddam Hussein, gli interessava vincere lo scettro del comando mondiale. Non hanno invaso l'Iraq per sottrargli quell'arma fatale (chimica e batteriologica) che pure non hanno trovato: e che, come è noto, si compra e si vende nei bazar occidentali. Non hanno vendicato, con molti anni di ritardo, quell'antica persecuzione anti-kurda che va tanto di moda anche nell'amica Turchia. Hanno esibito sul campo le loro prerogative di conquistatori e di "civilizzatori", di padroni e custodi di un ordine costruito col disordine. Hanno dato il battesimo di sangue alla loro "rivoluzione reazionaria", stracciando il diritto internazionale e facendo deflagrare tutte le promesse del secolo appena spirato.

La civiltà non si esporta coi carri armati

La civiltà non si esporta con i carriarmati, ma con lo spirito di tolleranza, gli scambi culturali e il primato del diritto. La libertà non vola sulle ali dei B52, ma è il frutto dei percorsi di giustizia, germoglia quando viene seminata: se non avessimo armato Saddam quando combatteva per noi contro l'Iran, se non avessimo strozzato il popolo iracheno con l'embargo consegnandolo mani e piedi al suo rais, se non avessimo trattato il medio oriente come una mappa di pozzi petroliferi, se non avessimo consegnato i palestinesi dei territori occupati alla mattanza di Sharon, se non avessimo trattato gli arabi e l'Islam come incarnazioni delle fobie della signora Oriana Fallaci, se non avessimo recintato i nostri fondi monetari e le nostre banche mondiali con il filo spinato del liberismo: allora quanti semi di libertà e di democrazia avremmo consegnato al grembo di un mappamondo spaccato dalla ferocia dell'ingiustizia sociale? Forse avremmo visto cacciare Saddam molto tempo prima e non da armate straniere. Libertà non è sinonimo di conquista: questo può crederlo Vittorio Feltri, questo è il cuore pulsante di un berlusconismo che ci offre oggi un'icona davvero inedita della boria dei servi. Intanto l'Iraq si avvita su se stesso, in questa transizione di razzie e vendette. Noi continuiamo a disperarci per quel dolore, sia pure purgato, che schizza dai teleschermi. Vorremmo contare tutti i morti, uno ad uno, ciascuno consegnarlo al proprio volto singolare e alla nostra memoria collettiva. Chi perde la vita, gli affetti, la trama della propria storia: ecco chi è sconfitto. Nel nome di questi sconfitti vale anche la pena di essere pure noi sconfitti: eppure non lo siamo. Ditelo a Giuliano Ferrara, sudato e trionfale, e ditelo alla di lui moglie, la caporalesca Anselma: noi non siamo sconfitti, siamo vinti dai vostri eserciti e dai vostri mass-media. Ma non firmeremo la resa alla vostra libertà formato Mc Donald's, alla vostra democrazia ad uranio impoverito, al vostro benessere per pochi intimi.

Vincere e convincere, non è la stessa cosa

Avete solo vinto, ma non avete convinto. Ora c'è il dopoguerra iracheno e le prossime guerre preventive. Noi cammineremo ancora per la pace e voi non riuscirete a intruppare e disciplinare la coscienza del mondo. Questa coscienza riluttante e pensosa, questa folla planetaria di passioni irriducibili, è l'unico esercito che non riuscirete mai a piegare.

Nichi Vendola
Roma, 12 aprile 2003
da "Liberazione"