Ascesa e caduta di Saddam Hussein

Quando Saddam faceva l'americano

Per decenni l'ex dittatore difese la frontiera di Washington nel Medio Oriente

In questi giorni le biografie del perfido dittatore di Bagdad si susseguono a ritmi martellanti. Tuttavia, la maggior parte delle cronologie ufficiali contiene numerose e significative omissioni riguardo all'importante ruolo rivestito da Saddam Hussein nella strategia di Washington per il Medio Oriente. Un ruolo che ha moltiplicato i suoi rapporti con gli uomini di varie amministrazioni statunitensi e cementato quelli con la Cia.

Un anti-comunista fidato

Saddam nasce, com'è noto, nel 1937 in un villaggio vicino alla città di Tikrit. A vent'anni entra nel partito Baath e nel 1958 finisce in prigione per avere ucciso il cognato comunista, dove sconta sei mesi. La sua prima collaborazione con la Cia risale al '59, quando partecipa al tentato omicidio del presidente Abdel Karim Kassem, viene ferito e fugge in Siria. La Cia, intenzionata a liberarsi al più presto possibile di Kassem che aveva avuto l'ardire di nazionalizzare la britannica Iraq Petroleum, ci riprova l'anno dopo inviando a Kassem un fazzoletto avvelenato. Il complotto, però fallisce. La Casa Bianca, comunque, non demorde e continua a spingere in modo lecito e illecito verso un cambio di regime. Finalmente, nel febbraio 1963, il colpo di stato viene portato a compimento dal Baath, e Kassem viene ucciso. Stavolta, invece di agire per conto proprio, la Cia aveva scelto come strumento questo piccolo partito di provata fede anti-comunista con un vasto seguito nelle forze armate. E secondo Hani Fkaiki, un ex leader del Baath, fra il ‘62 e il '63 è stato proprio Saddam "l'ufficiale di collegamento" con la Cia all'interno del partito. Roger Morris, ex funzionario del National Security Council, racconta che «il colpo di stato del 1963 fu seguito da un bagno di sangue» nel quale la Cia ebbe un ruolo importante. Secondo una prassi consolidata «la Cia fornì ai baathisti le liste dei comunisti e di altri simpatizzanti di sinistra che furono sistematicamente massacrati. E' noto che Saddam partecipò agli omicidi di circa cinquemila fra dottori, insegnanti, tecnici avvocati, militari e attivisti politici».

Nel 1968 un secondo colpo di stato mise fine alla guerra fra le fazioni e rafforzò definitivamente il Baath. Il mandante era lo stesso, secondo quanto scritto da Morris: «Durante la mia permanenza al National Security Council sotto Lyndon Johnson e Richard Nixon, sentii spesso parlare i funzionari della Cia delle loro strette relazioni con il partito baathista. Lo elogiava in particolare Archibald Roosvelt, nipote del presidente Theodore Roosevelt e agente esperto dell'area medioorientale». Nel 1968, quando l'autorità passò al Comando del consiglio rivoluzionario di Ahmed Hassan al-Bakr, a Saddam venne affidata la sicurezza interna.

Dal 1973 e il 1975 Henry Kissinger elargì un assaggio di lealtà statunitense ai curdi iracheni. Insieme all'Iran dello Scià e a Israele, la Casa Bianca appoggiava l'insurrezione nel nord del paese. Il realtà l'intento di Kissinger era di mantenere l'area instabile e non certo di realizzare il sogno nazionalistico dei curdi. Infatti quando, nel 1975, l'Iraq firmò un accordo con lo Scià per concedergli il controllo di alcuni pozzi petroliferi in cambio della chiusura della frontiera dove operava la guerriglia, Washington e Teheran tagliarono immediatamente gli aiuti ai curdi. E quando l'esercito iracheno massacrò i ribelli, gli Stati Uniti rifiutarono perfino di dare asilo ai profughi. In una sessione a porte chiuse di fronte alla Camera dei rappresentanti, che si tenne il 19 gennaio del '76, Kissinger giustificò questa decisione sostenendo che «un'azione coperta non deve essere confusa con il lavoro dei missionari». Nel 16 giugno del ‘79 Saddam Hussein sostituì al-Bakr alla presidenza e lanciò una massiccia purga all'interno del partito, che poi estese alle altre forze d'opposizione. Washington dette la propria benedizione attraverso le parole del consigliere alla Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski - uno dei teorici della supremazia statunitense - che, nell'aprile del '80, dichiarò ufficialmente: «Non vediamo alcuna incompatibilità fondamentale fra gli Stati Uniti e l'Iraq».

La guerra contro l'Iran

Il 22 settembre del 1980 Saddam scatenò la guerra contro l'Iran, colpevole di avere scacciato lo Scià con una rivoluzione popolare. Le Nazioni Unite aspettarono ben otto giorni prima di riunire il Consiglio di sicurezza e, quando lo fecero, approvarono la risoluzione 479 nella quale si esortava genericamente a mettere fine ai combattimenti senza nemmeno nominare l'atto di aggressione. Eppure era difficile ignorare le aperte violazioni del diritto internazionale. Oltre ad avere dato inizio alle ostilità con l'invasione del territorio iraniano, l'Iraq era stato il primo a bombardare le città e a utilizzare armi chimiche proibite dalla Convenzione internazionale. Eppure gli otto anni di guerra furono proprio quelli di maggiore idillio con la Casa Bianca. Nel 1982 l'Iraq venne cancellato dalla lista degli stati terroristi e, nel 1983 e nel 1984, mentre centinaia di migliaia di soldati iraniani venivano gasati nelle trincee, Donald Rumsfeld fu spedito a Bagdad come inviato ufficiale di Reagan. Da discutere con l'amico Saddam c'era la cooperazione economica, il massiccio piano di prestiti e sussidi più l'enorme mole di informazioni provenienti dal Pentagono, comprese le foto satellitari degli obiettivi dei bombardamenti di Bagdad.

Nel frattempo Washington inondava Saddam di ogni sorta di armamenti e faceva pressione sui propri alleati perché facessero altrettanto. Il fatto che, contemporaneamente, venissero vendute armi anche all'altra parte - vedi lo scandalo Iran-Contras - non cambia il fatto che gli americani sostennero e finanziarono una delle guerre più sanguinose del Novecento per "arginare il contagio islamico", come si diceva allora.

La strage dei curdi

Il 28 marzo ‘88 ci fu il crimine più orrendo: circa cinquemila civili vennero gasati nella città curda di Halabja spargendo veleno dagli elicotteri Made in Usa. Come reagì l'amico amerikano? In realtà, fin dalle prime denuncie sull'impiego di armi chimiche, che risalgono al 1983, gli Stati Uniti avevano continuato a fare finta di niente. Halabja rese la condanna inevitabile ma Washington la espresse nel più delicato dei modi, rendendo subito chiaro che non avrebbe avuto effetto sulle relazioni diplomatiche e commerciali. Quando l'Iran chiese al Consiglio di sicurezza dell'Onu di condannare decisamente l'utilizzo di armi chimiche da parte di Bagdad il delegato statunitense alle Nazioni Unite fece di tutto per prevenire il voto di una risoluzione contro l'Iraq. E dal Consiglio non uscì mai niente più di una generica condanna per l'impiego di questo tipo di armi. Di fronte alla passività dell'Onu e alla complicità di Washington, che pretese soltanto un formale impegno prima di concedere i nuovi prestiti dell'Export Import Bank, Saddam si sentì pienamente autorizzato a procedere. Fra il 1987 e il 1989 lanciò la sua campaegna più feroce che portò allo sterminio di 50 mila curdi - ma secondo alcune fonti sono almeno il doppio. Bush padre rispose raddoppiando i prestiti all'Iraq - facendone il secondo paese al mondo per accesso ai programmi di credito - e aumentando l'acquisto di petrolio iracheno fino ad assorbirne un quarto della produzione.

Anche il fatale episodio che fece perdere i favori di Washington è zeppo di omissioni. Secondo molti esperti, nell'invadere il Kuwait - che era stata davvero una provincia irachena fino al Novecento - Saddam si infilò in una gigantesca trappola. Ci sono decine di libri che analizzano la complessa dinamica degli eventi che portò alla prima guerra del Golfo. Basti qui dire che le annose dispute territoriali relative ad alcuni pozzi di petrolio stavano per essere risolte quando il governo del Kuwait ricevette l'ordine di far saltare le trattative. Saddam, dal canto suo, prima di intraprendere l'invasione chiese l'autorizzazione al potente alleato, autorizzazione che venne prontamente concessa, come risulta da numerosi documenti ufficiali (per saperne di più basta consultare quelli raccolti da Nefeez Mosaddeq Ahmed in Dominio, Fazi Editore). Ma papà Bush aveva bisogno della guerra per bloccare i pesanti tagli sul bilancio militare in arrivo dopo la caduta del muro, e aveva uno spasmodico bisogno di un nuovo satana. Ovvero il Saddam che tutti conosciamo.

Sabina Morandi
Roma, 17 dicembre 2003
da "Liberazione"