Roma - Manifestazione per la pace del 20 marzo 2004

Un paese irriducibile alla guerra

Roma invasa ancora dalla pace. In due milioni sfilano contro le truppe in Iraq

E' come un fiume di lava che si apre una voragine nel terreno, una crepa e la rende duratura. Da tre anni il movimento antiliberista, e poi per la pace, tiene la scena politica e la condiziona, fino ad arrivare ai palazzi del potere. Non smobilita, non torna a casa come invece chiede per i soldati italiani in Iraq. Ieri a Roma sono sfilate per cinque ore due milioni di persone, profondamente attaccate alla pace nonostante gli editoriali bellicisti dei grandi giornali, nonostante i servizi dei vari Tg di Stato, nonostante si provino in molti a raccontare loro la bugia della "guerra di civiltà" - come Fini che accusa le manifestazioni di scagliarsi, nientemeno che «contro l'occidente». La "civiltà della pace" è invece più forte della "guerra di civiltà" ed è questo che il fiume umano di ieri, srotolatosi come un tappeto di fiori per le vie di Roma, ha voluto dimostrare.

La marcia dei non organizzati

Il corteo è partito in anticipo ed è stato anticipato a sua volta da un fitto sciamare di bandiere arcobaleno e gonfaloni, striscioni fatti a mano e bandane colorate; di visi dipinti e di canti ritmati, di camion con il sound e di bande musicali. Sono venuti da tutte le parti d'Italia, da Milano e dalla Sardegna, dall'Alta Murgia e dal Piemonte. Sono venuti i cattolici, con i loro rappresentanti più noti, Zanotelli, don Ciotti, don Albino Bizzotto, ma anche con le Acli e con i gruppi scout; sono venuti i giovani più radicali, quelli dei Disobbedienti, dei Giovani comunisti, migliaia di studenti, medi e universitari; in mezzo a loro una distesa impossibile da descrivere, solo in parte composta dai partiti del centrosinistra - Verdi, Pdci, correntone Ds, Di Pietro e, soprattutto, Rifondazione - o dalle strutture più tradizionalmente organizzate come la Cgil e la Fiom oppure il sindacalismo di base di Cobas, Sin. Cobas e Cub. Una folla immensa di gente non organizzata ma nemmeno disorganizzata: coppie con il passeggino, piccoli gruppi locali, gruppi di amici, ognuno con un segno distintivo: una bandiera arcobaleno o di partito (impossibili da contare quelle del Prc), un foulard, una gonna, una sciarpa, un cappello colorato.

La testa del corteo - con lo striscione "Fuori le truppe, l'Iraq agli iracheni" - a un certo punto, in mezzo a tanta gente, perde terreno ed è costretta a tagliare per il rione Monti, a salire in Campidoglio e da lì riguadagnare la testa, alla Bocca della Verità. Gli altri due striscioni di inizio corteo - "No a la guerra y al terror" e "Vostre le guerre nostre le vittime" - rimangono indietro e passano dopo due ore dall'inizio. Il primo ingresso al Circo Massimo avverà attorno alle 15: da lì in poi, la grande spianata si riempie e si svuota in continuazione, il palco è molto distante e gli "irriducibili alla pace" inizieranno un po' alla volta a circondare il Palatino, a collegare il Colosseo allo stesso Circo Massimo, a invadere il centro di Roma.

La politica della pace

Non era scontata una simile partecipazione. Sotto il palco centrale i vari esponenti del comitato organizzatore si guardano ancora increduli, consapevoli che l'ennesima battaglia è stata vinta, che «ancora una volta ce l'abbiamo fatta» come mi dice euforica Raffaella Bolini dell'Arci, punto di sintesi di questa "gioiosa macchina di pace" e che, appunto, dal palco leggerà il documento unitario. Un'unità realizzata nonostante punti di partenza diversi, opinioni divaricanti, differenziazioni impercettibili ma che hanno reso faticosa e lunga l'attività del comitato Fermiamo la guerra. Eppure, ancora una volta, il risultato di aver tenuto insieme la Cgil e i sindacati di base, la Tavola della Pace e i pacifisti più radicali, le Acli e i Disobbedienti, Lilliput e Rifondazione, è stato raggiunto. Segno di una forza e una maturità che viene dal basso e che spinge a realizzare quello che sembra impossibile.

Certo, stavolta la politica ha pesato, e non poco. I fatti di Spagna hanno cambiato il segno e il ritmo della mobilitazione. La provocazione della manifestazione "unitaria" di giovedì scorso, insieme all'incredibile voto parlamentare escogitato dalla lista unica dell'Ulivo hanno costruito un'attesa, tutta politica appunto, sulla giornata di ieri di cui ha fatto le spese Fassino. Una piccola contestazione lo ha investito, tanto da far urlare alla «provocazione squadrista» il vertice dei Ds. In realtà è stato tutto il corteo a rappresentare, nei fatti, una pubblica smentita della politica di Fassino e Rutelli (anch'egli arrivato in piazza ma alla larga dalla gente e solo a uso e consumo delle telecamere).

Un palco internazionale

La maturità del movimento si evince anche dalla sua dimensione internazionale pienamente espressa dalla composizione del palco. Nell'ordine hanno parlato la rappresentante dell'associazione "Military Families", cioè i familiari dei militari contrari alla guerra, che ha voluto fotografare la piazza «per portare negli Stati Uniti la migliore immagine dell'Italia»; ma dagli Usa è intervenuta anche Phillis Bennis, di "United for peace and justice", l'organizzazione promotrice della giornata di ieri. E poi Milagros Hernandez, del Foro sociale di Madrid, Anat Matar, del "Forum genitori dei giovani israeliani che rifiutano la leva", intervenuta insieme a Muhammed Tanji, segretario del "Movimento palestinese per la cultura e lo sviluppo" di Tulkarem, ma anche Bernarda Alima, della Commissione giustizia e pace della Repubblica democratica del Congo. Un arco ampio di persone e di problemi rappresentati in cui ha avuto particolare rilievo il messaggio del vescovo di Bagadad letto dal palco.

Una «grande speranza»

Una moltitudine, dunque, una pluralità di popolo accomunata da una radicalità irriducibile e serena, che non ha capi, né simboli se non la bandiera arcobaleno e un vecchio e amato compagno. Come lo scorso anno, quando però era intervenuto insieme a Oscar Luigi Scalfaro, anche quest'anno Pietro Ingrao ha preso parte al corteo e poi, in motorino, ha raggiunto il palco al Circo Massimo. L'annuncio della sua presenza viene accolto con un calore e un battimani inusitato come se l'anziano leader rappresentasse, con il suo volto, la sua storia, le sue parole, un sentimento collettivo. A noi rilascia una breve dichiarazione, molto convinta: «Una manifestazione straordinaria, che ci lascia una grande speranza. Da questo slancio occorre costruire dei momenti di lotta legati l'uno all'altro per battere i signori della guerra, e da questa forza enorme può derivare la costruzione, giorno per giorno, di vie concrete che provino a incidere effettivamente sul potere». Un'allusione, lucida, al "che fare" a come dare seguito a tanta energia, a tanta determinazione. Se ne discuterà nei prossimi giorni - qualcuno avanza l'ipotesi di un raduno estivo del movimento che dia continuità alla sua lotta. Oggi però è primavera, e dopo la giornata di ieri è possibile guardare al domani con più fiducia.

Salvatore Cannavò
Roma, 21 marzo 2004
da "Liberazione"