Volete davvero la Realpolitik?

Ritiriamoci subito dall'Iraq

Occorre la scelta decisa e non procrastinabile della pace e del ripudio della guerra

Come si fa a parlar d'altro? Certo, va bene che il centro sinistra prenda tutti i seggi in palio nelle suppletive cominci a dire che ci vuole un programma: ma né Prodi né altri mette avanti a tutto la pace e la proposta di una politica estera che nettamente si stacchi dalle pratiche del governo in carica.

Eppure il tempo che sta avanti a noi per sconfiggere la destra, deve prima di tutto essere usato per cancellare autocriticare correggere gli errori non lievi del centrosinistra e le sue derive moderate e "realistiche". E nel realismo non c'è la decisa e non discutibile né procrastinabile scelta della pace e il ripudio della guerra? Niente di meglio di una pressione per far tornare le truppe dall'Iraq e imboccare il cammino di una politica di pace è segno di mutamento e di futuro.

Il fatto è che la guerra è anche terribilmente monotona e induce alla ripetizione: la sua influenza reazionaria nasce dalla sua orribile monotonia, che immette nella cultura politica un atteggiamento ripetitivo e non di mutamento. Per questo bisogna partire da una precisa netta dichiarata presa di posizione a proposito di guerra, di ripristino della costituzione e di no al trattato costituzionale europeo: le tre cose si tengono.

Le prove di una diffusa coscienza di allarme e distacco dalla maggioranza sono numerose e segnalano una ormai visibile autonomia della cittadinanza nel valutare e decidere: la coscienza diffusa è davvero di sostegno e speranza di pace.

Le bandiere iridate sono impallidite dai balconi e vento e sole le hanno malridotte, ma esse tenacemente ricompaiono sempre, per festeggiare le Simone, per compiangere le due sorelle uccise durante una vacanza, per accompagnare la partita dei deputati italiani e russi devoluta a favore dei bambini della scuola in Ossezia. Sono un linguaggio diffuso e comunicativo, alimentano un simbolico che non attribuisce più alla bandiera un significato bellico.

Facciamo dunque qualche breve ragionamento: che la guerra sia solo orrore crimine danno inutilità è di comune esperienza e convinzione. Sorprende che il testo appena pubblicato come compendio della dottrina sociale della chiesa la definisca ancora "extrema ratio", legittimandola dopo che il concilio vaticano II l'aveva definita "alienum a ratione". E' uno dei segni che la Curia nei suoi componenti più tradizionali e integristi ormai conta più del papa. Ma per fortuna i compendi non li legge nessuno e invece si iscrive nelle coscienze il messaggio di un rigetto ripudio schifo della guerra anche per gli enormi sprechi e distruzioni che produce senza alcun vantaggio.

Sto per dire che persino quelli che fanno affari da veri pescecani (come venivano chiamati i profittatori durante la prima guerra mondiale) non producono alcun beneficio, dato che le rovine e le morti non hanno possibile risarcimento.

L'ultimo "argomento" messo avanti da quelli che cominciarono a dire che fare la guerra per buttare giù un dittatore insomma forse è accettabile, poi che per ritirarsi dall'occupazione bisogna rimanere lì per rendere possibili libere elezioni: si rendono conto che la permanenza delle truppe di occupazione produce solo progressiva crescente barbarie, allontana la pacificazione e persino fornisce alla resistenza l'alimento che le serve, come depositi di armi e di munizioni, mentre non lascia spazio al formarsi di una resistenza civile e non violenta della quale persino in Iraq si colgono deboli parvenze minacciate dalla guerra?

Dato che per i vari guerrieri e le volontarie, le persone che cercano di lavorare per la pace sono di gran lunga più insopportabili che altri guerrieri: la guerra è mimetica, non può dare segni di originalità innovazione mutamento. Credo si debba stringere il nesso politico tra ritiro delle truppe, difesa della nostra costituzione, no al trattato costituzionale europeo che non contiene nè il ripudio della guerra nè il superamento di una egoistica gestione della politica, concertata tra governi di stati nazionali sovrani.

Per qualsiasi mutamento la guerra è un ostacolo: bisogna davvero farla finita. Senza se e senza ma. E rivolgere anche con forza al parlamento un discorso per dire: non volere che la guerra finisca al più presto e comunque non uscirne subito significa non riuscire ad allargare gli orizzonti della politica, restare prigionieri e intristiti in una mera e impossibile gestione furba dell'esistente: oggi è da scriteriati e da irresponsabili. 

Lidia Menapace
Roma, 27 ottobre 2004
da "Liberazione"