Ad un anno dai bombardamenti NATO sulla Jugoslavija.
Quella sporca guerra contro i lavoratori.
Il prossimo 24 marzo sarà l'anniversario dello scoppio della guerra contro la Jugoslavia. Non c'è nulla di rituale in questo, anche perché le ragioni della nostra posizione e della nostra critica sono tuttora valide. Si manifestano chiaramente nelle tante iniziative realizzate dal partito e ci vedono ancora (unica forza politica) in prima linea nella critica alle politiche di colonizzazione territoriale, egemonia economica e condizionamento politico che l'occidente persegue tuttora verso l'area dei Balcani.

La questione dell'uranio impoverito (ed oggi del plutonio), la denuncia delle gravi condizioni di inquinamento ambientale causato dall'altrettanto criminale bombardamento di molte fabbriche petrolchimiche, sono oggi all'ordine del giorno dell'opinione pubblica, riaprendo tutta la discussione sulla strumentalità di un assurdo intervento militare, unitamente a una più generale riflessione sulle responsabilità, sia della Nato che dei singoli governi, che questa guerra hanno deciso e condotto in spregio al diritto internazionale e alle Costituzioni nazionali. Oggi - grazie anche alla denuncia da parte del nostro partito e all'impegno su più fronti di moltissimi suoi militanti - si riapre, più forte di prima, una riflessione sull'arroganza e sull'odiosità con cui è stata condotta questa guerra che si dimostra oggi in tutta la sua crudeltà non come "guerra umanitaria", ma come "crimine contro l'umanità". Un crimine soprattutto verso la popolazione civile, vero obiettivo dei raid della Nato, colpita ed offesa ingiustamente prima da annidi embargo economico e poi dal bombardamenti e dalle loro nefaste conseguenze sulle condizioni di vita e di salute.

Bombe sulle fabbriche

Tra i più colpiti sono stati sicuramente i lavoratori della Jugoslavia. Sono almeno 400 le fabbriche bombardate e distrutte. Ad oggi sono almeno 600 mila i lavoratori rimasti senza lavoro e senza reddito a causa della guerra, colpiti inoltre anche da una verticale caduta della copertura sanitaria, assistenziale e previdenziale. Sono almeno 90 i lavoratori morti sotto le bombe e moltissimi i feriti, colpiti mentre lavoravano o mentre tentavano, come scudi umani, di evitare che la Nato bombardasse le loro fabbriche. Al Petrolchimico di Pancevo le bombe hanno colpito di notte, senza preavviso, uccidendo 10 lavoratori impegnati nel turno di notte. Alla Zastava di Kragujevac le bombe hanno ferito 125 lavoratori dei circa 400 che da giorni occupavano la fabbrica di notte sperando che così facendo la Nato non li avrebbe bombardati. Invece, in una sola notte, a Kragujevac sono stati lanciati 45 missili Cruise che hanno distrutto tutto lasciando senza lavoro 36 mila lavoratori. Il sindacato italiano ha sostenuto questa guerra accettando la formula della "contingente necessità", ma, in aperta polemica col sindacato, anche grazie all'impegno di moltissimi nostri militanti, da tante Rsu di fabbrica è partita immediatamente una forte iniziativa contro questa guerra, insieme a un'importante iniziativa di solidarietà (tuttora attiva) a favore dei lavoratori jugoslavi colpiti dai bombardamenti. Un fatto importante anche nel suo aspetto simbolico e di progetto. La solidarietà tra i lavoratori italiani e i lavoratori della Jugoslavia è oggi, trai tanti, un fatto concreto che, solo nel suo esistere e svilupparsi, rappresenta di per sé un elemento di pressante e denuncia contro le responsabilità del sindacato e del governo italiano.

Ad oggi sono 1.400 i lavoratoriita-liani che hanno avviato una iniziativa di adozione a distanza, a favore delle famiglie di altrettanti lavoratori della Jugoslavia, ed il progetto continua. Una iniziativa che ha coinvolto i lavoratori della Om di Brescia, della Iveco di Torino, e di tanti altri luoghi di lavoro in tante città, come Brescia, Milano, Roma, Bologna, Lodi, Napoli, Bari, Padova, Lecco. Una solidarietà capillare e diffusa che ha portato, fino ad oggi, ad inviare alle famiglie dei lavoratori della Zastava di Kragujevac ben 700 milioni di lire. Una solidarietà che, grazie anche al coinvolgimento di alcune strutture sindacali (come la Cgil Lombardia, le Cgil di Brescia, Lecco, Trieste e Massa Carrara) è riuscita, dal luglio '99, e nonostante l'embargo, a portare ai lavoratori della Zastava ben 4 tir di medicinali (soprattutto antibiotici e salvavita per le patologie vascolari e cardiologiche) apparecchiature mediche (come un mammografo, due impianti di radiologia, apparecchiature per l'analisi del sangue ecc.) ed almeno altri tre tir di generi di conforto (tra i quali, ad esempio, detersivi e dentifrici dalle Rsu del gruppo Unilever, quaderni e materiale di cancelleria per i figli dei lavoratori dai delegati Rsu di Tonno)

Solidarietà fra lavoratori

Parliamo ovviamente di aiuti ancora modestissimi se confrontati con le necessità di questi lavoratori che, ad un anno dai bombardamenti, stanno ancora lottando con la mancanza di reddito e di lavoro, ma soprattutto con l'assenza di prospettive per il futuro.

Il cambio del quadro politico in Jugoslavia (tanto acclamato dall'occidente) non sembra infatti poter dare alcun conforto ai lavoratori della Jugoslavia. Infatti:

Le condizioni dei lavoratori Jugoslavi sono oggettivamente peggiorate. La stessa azione sindacale è inesistente. Il  sindacato, indebolito dalle forti divisioni politiche al suo interno, non riesce a proporre Iniziative vertenziali a tutela dei lavoratori. Una parte del sindacato è inoltre fortemente dipendente dal nuovi partiti al governo. Alcuni sindacati (come il sindacato indipendente) sono addirittura nel governo. L'unica debole risposta a questa situazione, e non senza difficoltà ed intimidazioni, viene dal luoghi di lavoro e dalle loro rappresentanze sindacali locali.

Un esempio in questo senso viene dalla Zastava di Kragujevac. Immediatamente dopo le elezioni, la componente sindacale che fa riferimento ai partiti del Dos chiede le dimissioni degli esponenti sindacali all'interno della fabbrica. Di questi alcuni si rifiutano, altri, costretti dalle pesanti intimidazioni, firmano le dimissioni. La componente sindacale che fa riferimento al Dos, non contenta, occupa i locali del sindacato aziendale e ne impedisce l'attività normale, rivendicando le dimissioni di tutti i rappresentanti sindacali. La loro teoria è semplice. Affermano infatti che, avendo vinto le elezioni presidenziali, spetta loro di diritto anche la rappresentatività sindacale. I delegati sindacali in carica non ci stanno e convocano le elezioni nei reparti per verificare e rieleggere la rappresentanza sindacale aziendale. Alla presentazione delle liste è evidente che i delegati in carica hanno ancora la maggioranza dei consensi, quindi le elezioni vengono boicottate (col sostegno di partiti, giornali e televisioni).

Successivamente il tribunale decreta l'illegittimità dell'occupazione degli uffici sindacali della fabbrica e il sindacato nazionale dei metalmeccanici interviene decidendo la convocazione delle elezioni nei reparti. Nel frattempo la situazione in Zastava rimane congelata, restano cioè in carica sia i vecchi rappresentanti sindacali sia i nuovi, che si sono autonominati senza elezione nei reparti.

Bloccata la produzione

In realtà lo scontro è tra chi sostiene la politica governativa di privatizzazione (liquidazione) della Zastava e chi vuol continuare a lottare per la ripresa degli investimenti e della produzione. Lo scontro è sul grado di autonomia che il sindacato deve avere dai partiti, dal governo e dalla direzione aziendale.

Non è un caso che l'attuale nuova direzione dello stabilimento (di nomina governativa) abbia intanto sospeso anche la poca produzione che i lavoratori, tra mille difficoltà, erano riusciti a riavviare.

E' stato infatti un lavoro immane. Lo sgombero delle macerie dopo i bombardamenti, il recupero dei pezzi non completamente rovinati delle linee di montaggio distrutte (mettendoli assieme erano riusciti a riavviare prima una e poi due linee di produzione), la ripresa del lavoro (a rotazione per permettere a tutti i lavoratori di non perdere il contatto con la fabbrica) con una piccola, ma simbolicamente importante, ripresa della produzione.

La nuova direzione, sancendo la chiusura anche di questa piccola produzione, decide quindi la fine della fabbrica e delle speranze per una ripresa futura dei lavoro per tutti. Inoltre la direzione non ha risposto alle sollecitazioni dei delegati per una informazione e confronto sulle linee aziendali future, sui progetti industriali e di investimento. Di certo si sa solo che non è stato programmato nulla riguardo al reperimento delle materie prime (necessarie se si vuoi riprendere la produzione) e che non sono state rinnovate le commesse.

Appare quindi evidente come unica prospettiva la cessione del mercato e del marchio della rete di vendita Zastava a qualche multinazionale che potrà così importare auto usate dall'occidente e venderle. Lo stesso governo ha operato in questo senso, eliminando dalla legislazione fino ad ora vigente ogni limite e ogni vincolo all'importazione di auto usate (sull'esempio del Montenegro e dell'Albania, quindi, anche col rischio di incrementare il mercato delle auto rubate). Oggi si possono importare in Jugoslavia auto usate di 6 anni (prima il limite era di 3), e sono già oltre 10 mila le auto usate importate nel giro di un mese, saturando così una quota di mercato che poteva essere coperto da una ripresa della produzione alla Zastava.

A questo i lavoratori della Zastava stanno opponendosi, come si vede, non senza difficoltà. La solidarietà nei confronti di questi lavoratori e a quelli di tutta la Jugoslavia, ha quindi anche un forte carattere di scelta di parte. I tanti lavoratori italiani già impegnati nei progetti di solidarietà lo sanno. Se i lavoratori della Zastava dovranno lottare per la difesa del loro lavoro e del loro salario i lavoratori italiani sosterranno questa lotta.

Se la solidarietà dimostrata nei mesi scorsi ha aiutato questi lavoratori a non abbandonare la fabbrica, ora può servire per aiutarli a sostenere questa lotta, contro la liquidazione della loro fabbrica. Una fabbrica che hanno rimesso in piedi loro, lavorando senza retribuzione, in tanti mesi di sacrifici e di fatica per rimettere in piedi due linee di montaggio.

La lotta di questi lavoratori è una "lotta di resistenza sindacale" che rappresenta un aspetto importante, tra gli altri, della storia di questa guerra e delle sue conseguenze. Una lotta che possiamo aiutare anche con il sostegno delle iniziative di solidarietà rivolte a questi lavoratori.

Claudio Grassi
Roma, 4 febbraio 2001