Ramon Mantovani, responsabile esteri di Rifondazione comunista non ha dubbi su quanto sta avvenendo in queste ore al di là dell'Adriatico, così come non ha problemi a esplicitare il suo giudizio sul ruolo storico e politico di Milosevic.
Un giudizio maturato già prima della guerra voluta dalla Nato e a cui l'allora governo D'Alema partecipò con entusiasmo e confermato dagli avvenimenti attuali.
«Al di là del nostro giudizio su Milosevic e sul suo regime, quello che sta avvenendo a Belgrado e nei Balcani in generale è la dimostrazione di quanto abbiamo detto più volte: gli Stati Uniti lavorano per una situazione permenente di instabilità politica in tutta la regione. Con l'arresto dell'ex presidente jugoslavo si è voluto continuare su questa strada».
La stampa occidentale è come inebriata dall'arresto di Milosevic, come se questo dovesse avviare una nuova fase di prosperità in tutti i Balcani. La vicenda macedone, l'approssimarsi della decisione del Montenegro di lasciare la Federazione, parlano invece d'altro...
L'arresto di Milosevic è una scelta grave, per lo meno da due punti di
vista.
Innanzitutto per il fatto di esprimere un diktat, l'ennesimo, degli Stati
Uniti, che puntano da tempo a un chiaro predominio di quell'area.
Il secondo motivo di gravità è che si afferma il principio dei due pesi e
delle due misure.
Non c'è leader di uno qualsiasi dei tanti stati balcanici che non possa
essere accusato.
Basti pensare al caso Tudjman (l'ex presidente croato, protagonista della
secessione dalla Jugoslavia e poi delle guerre per la spartizione della
Bosnia, ndr.). Solo che ai crimini di alcuni si è tributato un riconoscimento
storico, a quelli di altri si è riservato il tribunale internazionale.
Quello che dici potrebbe far pensare a un giudizio assolutorio su Slobodan Milosevic e sulla sua lunga stagione di potere.
Milosevic ha gestito fasi diverse della vicenda jugoslava.
E' stato innanzitutto un acceso nazionalista, in particolare quando ha
appoggiato i serbo-bosniaci nel progetto di spartizione della Bosnia o quando
nell'89, ha soppresso i diritti albanesi in Kosovo, riconosciuti dalla
costituzione titina del 1974.
Sono stati proprio questi “meriti” a valergli l'appoggio degli Stati
uniti che lo hanno riconosciuto come interlocutore privilegiato, accettando di
siglare con lui a Dayton, dopo i bombardamenti Nato, una pace che ha sancito
la spartizione etnica della Bosnia.
Non a caso, è proprio dopo Dayton che Milosevic accelera i processi di
privatizzazione e tenta di integrare la Jugoslavia nei circuiti dell'economia
globalizzata.
Allo stesso tempo tenta di accreditarsi come leader di un partito socialista
internazionale. Sono tra l'altro i tempi del famigerato accordo sulla
Telekom serba che hanno visto implicato il ministro italiano Dini.
Quelli che lo definiranno il tiranno e il dittatore dei Balcani, nel frattempo siglano affari con lui...
Esatto, anche se io non ho mai condiviso espressioni come “tiranno” o
simili. Parlerei piuttosto di regime e di un gruppo di potere che ha gestito
la cosa pubblica nel solo interesse di un elite corrotta e affaristica.
Ed è questo che probabilmente fa perdere a Milosevic le elezioni municipali
del 1996, un crisi di credibilità interna che lo spinge a gettare benzina sul
fuoco della vicenda kosovara.
Nel '97-'98 si verifica una convergenza oggettiva tra il governo di
Belgrado, l'Uck e gli Stati Uniti dove tutti hanno interesse a provocare un'escalation
militare in Kosovo. Per Milosevic questo significa poter rafforzare il proprio
potere, forte di una coalizione che comprende anche coloro che fino a poco
tempo prima gli si erano opposti.
Per la Nato, la guerra rappresenta il rilancio dell'Alleanza atlantica e il
rafforzamento dell'egemonia Usa in Europa. Certamente non serve a risolvere
problemi “umanitari”, né a pacificare la regione. La contropulizia etnica
contro i serbi del Kosovo e la guerra in Macedonia lo dimostrano.
C'è però un elemento della propaganda occidentale continuamente reiterato. E' solo grazie alla guerra della Nato, viene detto, se Milosevic è stato battuto alle scorse elezioni politiche.
A indebolirlo, più che le bombe, sono stati l'embargo economico e il
ricatto finanziario, lo stesso che ha collocato nelle urne l'alternativa tra
la miseria e un nuovo governo.
La scelta era scontata. La vicenda elettorale, piuttosto, ha dimostrato che
Milosevic era a capo di un regime che infatti si è dissolto alla prima
spallata.
Solo che una cosa è accusarlo di reati connessi alla corruzione - e questa è
una vicenda che riguarda solo la magistratura jugoslava - un'altra eseguire
catture in tempi e modi dettati dagli Stati Uniti che non hanno nessuna
autorità morale, visto che si sono sempre opposti all'istituzione di un
Tribunale Penale Internazionale, ben sapendo che in quanto a crimini contro l'umanità
essi stessi avrebbero molto da rispondere.
La cattura di Milosevic sembra essere stata una priorità soprattutto per l'attuale governo serbo, nelle mani di Djindjic, uomo degli americani. Il presidente Kostunica ha invece mantenuto un atteggiamento più sobrio, anche se ha dato il via libera all'arresto. Sembra che a Belgrado si stia per aprire un nuovo scontro interno e comunque in tutta l'area la situazione è incerta. Tu stesso ha ricordato la Macedonia, ma fra qualche giorno anche il Montenegro potrebbe lasciare la Federazione. A quel punto l'autorità di quest'ultima, e del suo presidente, sarà ampiamente ridotta e risalterà il ruolo della repubblica serba di Djindjic. Qual è il tuo giudizio?
Il nuovo governo di Kostunica gode senza dubbio di un naturale appoggio
popolare, anche se rimane fortemente segnato dal modo nel quale è nato.
Al di là delle vicende interne alla Jugoslavia, difficili da prevedere e da
interpretare, quello che appare chiaro è che nessuna stabilità interna è
garantita, sia per le turbolenze in Montenegro e Kosovo, sia per le
conseguenze sociali di una ricostruzione che sembra modellata più sugli
interessi delle multinazionali e del capitale internazionale che sulle
esigenze della popolazione.
In realtà i Balcani devono rimanere instabili nel lungo periodo. E' questo
l'obiettivo degli Usa e anche se l'Europa dovrebbe avere un altro
interesse, i suoi comportamenti non fanno che incoraggiare questa strategia.
Quale potrebbe essere invece una strategia alternativa?
Innanzitutto l'Europa dovrebbe ottenere la sostituzione delle truppe Nato
presenti in Bosnia e Kosovo, con truppe Onu con un mandato diverso da quello
dell'Alleanza atlantica.
In secondo luogo, bisognerebbe convocare una Conferenza internazionale sotto
egida Onu e Osce (l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
europea, ndr.) capace di affrontare tutti i problemi aperti con il metodo
della trattativa e nel rispetto delle sovranità attuali.
Infine, l'Unione europea dovrebbe progettare un piano di aiuti tesi a
ricostruire tutte le devastazioni della guerra e soprattutto a promuovere uno
sviluppo socialmente equo e ambientalmente compatibile. Purtroppo, come si
può vedere, sia la Nato, sia Romano Prodi, sia i singoli governi europei
procedono in direzione opposta.
A proposito di governi europei, quello italiano ha avuto un ruolo non secondario in tutta la vicenda. L'appoggio incondizionato alla guerra, la cinica tutela di affari a volte poco chiari, una delega costante alla Nato nelle scelte decisive. Non male per un governo di centrosinistra.
Per l'Italia sarebbe stato prioritario svolgere una funzione attiva nella
vicenda kosovara.
L'Italia avrebbe potuto chiedere la fine dell'embargo e chiedere a
Belgrado di ripristinare per il Kosovo lo status che gli era garantito nella
costituzione di Tito.
Forse questo avrebbe evitato la pulizia etnica dell'una e dell'altra parte
e avrebbe conferito maggior prestigio al nostro paese. Il governo D'Alema
invece ha scelto cinicamente di sacrificare evidenti interessi nazionali per
poter partecipare da protagonista alla costruzione del goveno unipolare del
mondo.
Proprio per questo non è mai stato vero che l'esecutivo abbia tentato una
strada autonoma per frenare i bombardamenti.
I viaggi di Cossutta e Manisco a Belgrado, le lamentele dei Verdi servivano
solo a giustificare di fronte al movimento pacifista e a gran parte degli
elettori del centrosinistra ciò che invece si stava facendo concretamente, la
guerra.