Intervista al professor Daniel Amit, fisico israeliano e "militante per la pace"

Dalla parte degli "infedeli"

Daniel Amit è professore di fisica teoretica all'università "La Sapienza" di Roma e all'Università di Gerusalemme. Cittadino israeliano, preferisce definirsi «combattente per la pace, perché pacifista ha anche questo senso: che non si alza il braccio per colpire nessuno; che non si calpesta una mosca. Io non sono di questi. Non penso che la lotta palestinese sia una lotta illegittima».

Membro dell'associazione "Scienziati e Scienziate Contro la Guerra", Amit ha partecipato ieri mattina alla conferenza-assemblea davanti alla delegazione dell'Onu, a Roma, assieme all'ex patriarca di Gerusalemme ed arcivescovo di Cesarea in Palestina, monsignor Hilarion Capucci, all'ambasciatore palestinese a Roma Nemer Hamad, al segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti e ai parlamentari del Prc Giovanni Russo Spena e Paolo Cento dei Verdi, appena rientrati da Ramallah.

Professor Amit, il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha dichiarato che «Israele è in guerra». Il mondo ha l'impressione che si sia alla "soluzione finale" e che non ci sia più spazio né volontà per parole come trattativa, processo di pace, speranza. Lei però ieri ha pronunciato ancora queste parole. C'è un'anima che si oppone alla guerra, in questo momento in Israele?

Sì. Penso che la maggioranza degli israeliani è contro la guerra. Quello che dice ora Sharon era ovvio dal momento in cui è stato eletto, perché lui, secondo me, è stata la persona che si è opposta nel modo più sistematico a ogni trattativa di pace nella storia del paese, da quando si è messo in politica. Appena eletto è stato palese che avrebbe operato questa scelta durante il suo mandato. La sua elezione è dovuta al fatto che da 10 o 15 anni la politica israeliana è ostaggio dei coloni, sia in modo diretto che per effetto della pressione delle comunità ebraiche all'estero. La "soluzione finale" è una espressione un po' carica, che non ha distrutto il popolo ebreo e secondo me non distruggerà il popolo palestinese.

Ma quello che sta avvenendo...

Quello che è in corso è un bagno di sangue che implica tanti crimini di guerra, tante violazioni di ogni tipo di diritto. E questo è il risultato del comportamento della comunità internazionale, che ai diritti non bada più ma mette in atto ricatti e compromessi. La soluzione non ci sarà, ma la politica di Sharon produrrà più terrorismo, come si può dire anche per la politica americana globale. Entrambe si rinforzano a vicenda, sulla stessa base "morale".

Cosa può fare la comunità internazionale?

Da un lato ci sono indicazioni che la comunità internazionale si sta svegliando, e dall'altro lato c'è l'attività pacifista contro la guerra in Israele che sta assumendo proporzioni più vaste e forti. Lì penso che ci sia un raggio di luce, ma solo per capire che senza una soluzione degna per il problema palestinese non c'è neppure una vita normale, una vita democratica per Israele. E per capire che l'occupazione dei territori è l'antitesi della democrazia, l'occupazione è proprio la negazione della democrazia.

Il giornale di Tel Aviv Ha'Aretz scrive che si intensifica la protesta da parte del mondo arabo. Ma i fermi e le espulsioni di pacifisti italiani, francesi ed europei dicono che non è solo il mondo arabo ma tutto il mondo civile a protestare contro la politica aggressiva di Sharon, cominciata con la sciagurata provocazione sulla Spianata delle Moschee. Lei che ne pensa? Israele non teme che il conflitto si allarghi e che si aggravi il suo isolamento?

Molta gente lo pensa e proprio per questo si oppone all'idea di un'espansione del conflitto. Penso che l'intervento dei gruppi pacifisti europei e americani non è tanto legato a questo ma è l'espressione della solidarietà, contro l'ingiustizia che si sta compiendo nei confronti del popolo palestinese. Sono molto legato e in contatto con i gruppi pacifisti israeliani, che sono molto attivi. Ci sono donne che si legano a quelle europee e attraverso questo si crea un ambiente di colloquio tra i gruppi israeliani e palestinesi. Anche i parlamentari che sono tornati dalla Palestina, di Rifondazione e dei Verdi, svolgono un ruolo preziosissimo, per costruire una strada per iniziare a fare qualcosa.

E i paesi arabi?

Personalmente non spero troppo nelle reazioni dei paesi arabi. Quello che hanno fatto finora è di sopprimere qualsiasi reazione popolare sia in Giordania che in Egitto. Ed è un'altra tragedia in sé. Penso che sia più significativo vedere i segni di isolamento di Israele da parte della comunità europea, perché sono violati tutti i diritti umani. Vuol dire che tutti gli accordi di cooperazione tra la Comunità europea e Israele sono a priori invalidi, ed è questo che la comunità dovrebbe esprimere in modo chiaro.

L'Europa può fare di più?

Penso che se veramente tutti i livelli della società civile si mobilitassero - come ad esempio i sindacati, che finora non sono intervenuti su quello che sta succedendo, ma che dovrebbero mettere in quarantena i sindacati israeliani - questo produrrebbe una pressione dal basso sulla politica israeliana che, secondo me, potrebbe avere un ruolo molto forte. Abbiamo avuto l'esperienza durante la prima Intifada, quando parecchi accordi di finanziamento scientifico sono stati bloccati dall'Europa. La cosa ha avuto un effetto molto forte.

Abbastanza da far cambiare la politica di Sharon?

Per modificare Sharon bisognerebbe fare una mutazione genetica, ma potrebbe bastare per cominciare il processo di decomposizione del suo potere, che non è così forte dal punto di vista parlamentare. E poi potrebbe servire una pressione sui laburisti, per lasciare questo governo, perché si sentirebbero sotto pressione e potrebbero cominciare a ripensare al senso della loro collaborazione. Un altro fronte potrebbe essere l'internazionale socialista. A questo punto bisogna smettere di corteggiare i laburisti israeliani, che stanno veramente collaborando a questo massacro.

Anche Shimon Peres?

Negli ambienti della socialdemocrazia europea e internazionale lo accolgono come un uomo di pace e invece non lo è. Anche la figlia di Rabin è il vice ministro della difesa. E' necessario che le organizzazioni internazionali intervengano su di loro. Su queste cose si può agire costringendoli a ripensare alla loro posizione di sostengo a Sharon.

Quanto pesa la presenza dei pacifisti in questi giorni?

Sono cose che danno molto coraggio alla gente di buona volontà nella regione. Quello che fa questa gente è grandioso, ma non credo che possa bloccare la spirale di violenza. Ci vuole un tempo più lungo e Israele dovrà soffrire ancora. La cosa stravolgente - una cosa che è chiara - è che più aumenta la repressione più i civili di Israele pagano un prezzo più alto. E invece questo ancora non basta per far capire a Sharon e ai coloni che questa non è la strada che si può continuare a percorrere.

Ma Sharon dice che è colpa del terrorismo...

Tutto questo terrorismo dei kamikaze è un figlio diretto e voluto dalla politica israeliana. E' una cosa molto dolente da dire, ma è voluta. Fa parte della dinamica "necessaria", nel senso che non è che se i palestinesi si comportassero bene ci sarebbe una proposta decente per la soluzione del conflitto. Anzi l'unica cosa che succederebbe è l'espansione delle colonie in modo tranquillo. Non è che uno dice: smettete e noi riconosciamo le frontiere del '67 e smantelliamo le colonie. No, c'è una strumentalizzazione del terrorismo, per continuare a distruggere le istituzioni leggittime palestinesi.

Pensa che Arafat rischi la vita? Che ne facciano un martire?

Penso che non faranno fuori Arafat. Secondo me non è nel disegno politico di Sharon eliminare Arafat, perché altrimenti rimarrebbe a mani vuote, come Bush con Saddam Hussein. Questo punto dimostra la grande falsità del ragionamento che dice: Arafat è responsabile di tutto. Tutto continuerà come prima solo fintanto e perché il popolo palestinese è oppresso. Bisogna smettere con la guerra, con i carri armati, e smettere con l'occupazione dei territori e finirà anche il terrorismo. Ecco la risposta.

Gemma Contin
Roma, 2 aprile 2002
da "Liberazione"