Il risultato delle elezioni francesi non e' sorprendente: l'astensionismo ha raggiunto il livello record del 28,5% ed e' la prima causa della sconfitta dell'ambigua sinistra di Jospin e del dinosauro "comunista" Hue.
Contrariamente a quanto dice un altro dinosauro, Armando Cossutta, che accusa la sinistra rivoluzionaria di divisione (cioe' le rimprovera di esistere e di godere di un consenso crescente da parte dell'elettorato deluso dal governo), se non ci fossero state queste liste di alternativa rivoluzionaria l'astensionismo sarebbe cresciuto ulteriormente.
Vedremo poi che parte di quella che viene presentata come sinistra
"assurdamente dispersa" rifletteva scelte e interessi diversi, non certo
rivoluzionari.
Ad esempio Jean Pierre Cheve'nement si era staccato dal PS a
cui apparteneva sperando di fare in tempo a catalizzare il malcontento
crescente,ma non ha certo una posizione limpida: era uscito dal governo
anche al tempo della guerra del golfo, ma la sua protesta era legata
soprattutto ai suoi legami con l'Iraq di Saddam Hussein; ora si era di nuovo
differenziato da Jospin rifiutando una modesta concessione all'autonomia
della Corsica.
Poi analizzeremo quella che i giornali borghesi presentano in blocco come
sinistra trotskista, spiegando perche' non era possibile in questa fase una
sua presentazione unitaria.
Chi poi, come Cossutta, voleva farla suicidare
insieme a Jospin, pensi a se' stesso e ai danni provocati dal governo
guerrafondaio di D'Alema, a cui si e' legato mani e piedi a costo di una
scissione (ma non dice che bisogna essere sempre unitari?).
Jospin ha una enorme responsabilita' in questo crollo della sinistra.
In
realta' c'era stato un crollo anche piu' grave nel 1969.
Il candidato
socialista Gaston Defferre, era sceso addirittura al 6%! Era la conseguenza
degli anni in cui i socialisti dal governo avevano portato avanti la feroce
repressione nei confronti degli algerini in lotta per l'indipendenza, e
avevano condiviso col PCF l'ostilita' al movimento del "maggio francese" del
1968.
Ma la lezione non era servita!
Nel PRC oggi occorre una riflessione su questi risultati, dato che il
giudizio sulla "gauche plurielle" era stato in genere fin troppo benevolo,
anche mitizzando la legge sulle 35 ore, accompagnata da tali concessioni al
padronato su flessibilita' dell'orario da ridurne notevolmente l'efficacia
sul terreno dell'occupazione, mentre non era entusiasmante per gli occupati,
di cui intensificava lo sfruttamento.
In sostanza c'era piu' fumo che
arrosto.
Tra l'altro, quelli che nel PRC esaltavano ogni partito che si diceva "comunista" prescindendo dalla sua concreta politica, e rimproveravano a Bertinotti di non seguire la loro stessa impostazione di ostilita' preconcetta verso la sinistra rivoluzionaria, devono riflettere sul risultato catastrofico del PCF, che ha preso meno voti dalla LCR che presentava un giovanissimo e fino a pochi mesi fa sconosciuto postino, e circa la meta' di quelli di Arlette Laguiller, l'impiegata ben sperimentata come candidata del gruppo trotskista Lutte Ouvrie're in molte elezioni.
Il successo del Fronte Nazionale di Le Pen ha molte spiegazioni: prima di
tutto bisogna ricordare i legami che la destra moderata di Chirac ha
mantenuto da anni con questo gruppo razzista infame, contrattandone i voti
sottobanco nelle elezioni locali.
Poi ci sono state le concessioni fatte
tanto da Chirac che da Jospin alla campagna sulla "sicurezza" (che sarebbe
ovviamente "minacciata "dagli immigrati, dai nordafricani che da decenni
vivono nelle periferie come eredita' della dominazione coloniale, ecc.).
Naturalmente chi ha beneficiato di piu' di questa campagna isterica e' stato Le Pen, che queste tematiche le porta avanti da sempre, e appare piu' credibile di chi le tira fuori in campagna elettorale per venire incontro agli umori delle masse piu' rozze e arretrate.
Le Pen comunque ha vinto anche perche' non si e' fatto mai condizionare dal
pessimo meccanismo elettorale francese, che e' di gran lungo peggiore del
maggioritario introdotto in Italia (per bloccare o condizionare il PRC) da
una coalizione di reazionari di vario genere, da Mariotto Segni a Pannella,
ma con un ruolo determinante del PDS.
Le Pen per anni non ha avuto un solo
deputato, ma ha continuato a crescere utilizzando le campagne elettorali per
organizzare la sua temibile banda razzista.
Analogamente a quanto fece Bossi
durante la sua ascesa, non si e' preoccupato troppo delle scissioni
provocate dall'esterno nel suo movimento (Me'gret appoggiato contro di lui
dalla destra moderata e' finito a un misero 2,4%, mentre i tanti consiglieri
regionali o deputati staccatisi da Bossi per le lusinghe del centrosinistra,
del centro o di altre forze della destra sono spariti senza lasciare
traccia).
A chi pensava che fosse fuori gioco perche' non aveva deputati o
amministratori locali, Le Pen ha dimostrato che, anche se per anni non si
hanno eletti a causa delle leggi elettorali, si puo' fare politica lo stesso
contando gli elettori e organizzandoli.
A volte conquistare qualche posto in
parlamento attraverso accordi ambigui impedisce di consolidare la propria
immagine e di preparare una vittoria futura.
E Le Pen, anche se quasi
sicuramente non vincera' il ballottaggio, una bella vittoria la ha avuta,
dando una bella lezione a chi crede che la cosa piu' intelligente sia
mimetizzarsi al punto che destra e sinistra appaiano indistinguibili.
Di fronte a questo bel risultato, Jospin ha dichiarato che si ritirera' dalla politica: sarebbe stato meglio che lo avesse fatto prima di far tanti danni, ma almeno ha avuto la decenza di annunciarlo, mentre D'Alema e soci, che in Italia hanno portato alla catastrofe il centrosinistra, continuano a cercare un capro espiatorio in Bertinotti o in Di Pietro, anziche' riflettere sul fallimento della loro politica.
Anche se nel quadro dell'inquietante vittoria delle destre e del
ballottaggio Chirac-Le Pen, uno dei dati piu' interessanti e' il risultato
della Ligue communiste re'volutionnaire (LCR), che ha ottenuto un risultato
eccezionale: Olivier Besancenot, a cui i sondaggi all'inizio della campagna
elettorale davano uno 0,5%, ha preso il 4,8% dei voti, recuperando
moltissimo su Arlette Laguiller (LO), a cui i pronostici attribuivano il 10%
e che ha ottenuto invece un dignitoso 6% (aveva avuto il 5,3% nel 1995,
quando il PCF aveva ancora l'8,4%).
Besancenot, uno dei tanti militanti
operai della LCR, bravissimo ma sconosciuto a livello nazionale, ha superato
nettamente il segretario generale del PCF Robert Hue, sceso al 3,5% !!!
La stessa sera in cui si venivano a conoscere i risultati elettorali,
Besancenot alla televisione ha fatto appello alla resistenza sociale e
democratica contro il fascismo e il razzismo, e la LCR ha subito manifestato
sotto la sede di Le Pen...
LCR e LO hanno realizzato una sola volta un accordo elettorale nazionale
(per le europee) e qualche volta in elezioni locali.
In questo caso non e'
stato possibile.
Cosa li divide? La prima divergenza riguarda la valutazione
della sinistra moderata: la LCR non e' meno severa di LO nel criticarne l'
opportunismo, ma rifiuta di considerarla uguale alla destra, mentre LO ha
sempre rifiutato di far convergere i propri voti su un candidato socialista
o comunista nei ballottaggi.
Per questo l'accordo e' stato possibile solo
nelle elezioni europee che hanno un turno unico e non alle presidenziali.
Gli accordi in altri casi hanno preso la forma della desistenza, ma con
risultati non eccezionali per la differenza fortissima nelle concezioni
della politica.
Lutte Ouvrie're ad esempio non partecipa al "movimento dei movimenti", da
cui si differenzia sdegnosamente sottolineandone le ingenuita' o gli
"errori".
Sulle questioni internazionali, LO si apparenta di piu' all'altro
gruppo trotskista, quello "lambertista", un tempo molto forte e che oggi si
e' presentato settariamente ottenendo lo 0,5%.
Questa corrente "trotskista"
dogmatica esamina con un lapis rosso e blu tutti i processi rivoluzionari
dell'ultima meta' del ventesimo secolo, dalla Cina al Vietnam, da Cuba al
Nicaragua.
Ma le difficolta' maggiori per i rapporti tra LCR e LO dipendono soprattutto
dalla singolare concezione del partito di quest'ultima, che ha reso vani
tutti i tentativi della LCR (consapevole degli inconvenienti di una
separazione non facilmente comprensibile alle masse) di avviare un processo
di possibile unificazione partendo dalle analisi teoriche condivise per
discutere poi le divergenze: LO non ha sedi, e' quasi invisibile (tranne che
nei momenti elettorali) e ha un buon radicamento nelle lotte ma con una
pratica sindacale che alla LCR appare sostanzialmente opportunista e che
quindi rende poco comunicanti le due aree di militanza anche a livello
operaio.
Anche le campagne elettorali di LO sono efficaci ma a un livello
piuttosto elementare e schematico, di fatto adattate al livello di scarsa
politicizzazione delle masse, mentre la LCR punta a utilizzare le campagne
elettorali non solo per ottenere voti, ma per far crescere il livello
politico di chi entra in contatto con essa in tale occasione.
Nella stessa domenica in cui si votava in Francia, un test importante per la
socialdemocrazia europea e' stato il voto nel land tedesco orientale della
Sassonia-Anhalt, amministrato finora dalla SPD con una giunta di minoranza
che si reggeva sull'astensione benevola della PDS (il partito costruito con
qualche analogia con il PRC dagli esponenti critici e "rifondatori" del
vecchio partito comunista tedesco orientale (SED), con la partecipazione di
esponenti di altre correnti storiche, trotskisti inclusi.
Si trattava di una
prova generale prima delle elezioni politiche del 22 settembre ed e' stata
gravissima per la socialdemocrazia, passata dal 35,9% di quattro anni fa al
19,5% e viene superata dalla PDS.
I verdi, alleati della socialdemocrazia a
livello nazionale, scendono ancora molto al di sotto del quorum e quindi non
entrano nel parlamento di Magdeburgo.
Chi guadagna e' la CDU, che passa dal 22 al 37,3%, e i liberali, possibili
alleati dalla CDU, che guadagnano ben 9 punti arrivando al 13,2%.
Falliscono
invece le due liste di destra, quella apertamente neonazista e quella del
"giudice Rambo" amburghese Ronald Schill.
Magra consolazione, tuttavia per
la SPD, che vede sempre piu' ridursi le sue speranze di restare al governo
dopo le elezioni di autunno.
Invece in Ungheria c'e' stato un capovolgimento della situazione e la destra di Viktor Orban ha perso le elezioni, nonostante il forte appoggio ricevuto da Berlusconi in persona e dai suoi esperti, nonche' da altri esponenti della destra europea come Aznar, Stoiber e Khol.
Sono tornati al potere i socialisti (ex comunisti) di Peter Medgyessy.
Qualcuno qui da noi esultera' dicendo che si tratta di una "vittoria del
comunismo", ma purtroppo non lo e'.
In primo luogo perche' la politica
economica dei socialisti e' gia' stata sperimentata come non troppo diversa
da quella della destra, e aveva portato appunto alla vittoria delle destre
nelle penultime elezioni.
L'Ungheria e' un paese civile e colto, in cui l'
alternanza si realizza senza drammi: dal 1989 a oggi ad ogni elezione chi
aveva governato se ne e' dovuto andare, mandato via da un elettorato deluso,
ma lo stesso avveniva quattro anni dopo al partito rivale.
E' la conferma di
un'inadeguatezza complessiva dei nuovi partiti, incapaci di garantire un
assetto soddisfacente al paese del "socialismo reale" che e' uscito
relativamente meno disastrato dal "crollo", ma pur sempre con grossi
problemi e un arretramento complessivo delle condizioni di sicurezza
sociale, ecc.
Comunque queste elezioni sono importanti perche', istigato da Berlusconi, il
premier Orban aveva indurito i toni e aveva tentato di dividere il paese tra
"forze dell'amore" (raccolte intorno a lui) e "forze dell'odio" (i terribili
comunisti).
Ha tentato di insinuare di aver perso le elezioni per i brogli d
ei suoi avversari, e potrebbe riservare qualche brutta sorpresa, ma intanto
ha perso.
Meglio di niente, come premio di consolazione nel quadro delle
catastrofi provocate dalla sinistra al governo.
Antonio Moscato