Parla l'ex ministro della Giustizia Usa che si batte per abolire gli ordigni radioattivi
«Un'arma da criminali»
Ramsey Clark: «Le armi all'uranio impoverito sono da vietare, come gli embarghi. La Sindrome del Golfo? E' emersa solo dopo anni di ricerche, mentre le autorità negavano»

«Di quello che sta accadendo in Europa, dei sette soldati italiani morti per leucemia e di tutto il resto, negli Usa non è che si sappia poi tanto. Io ho letto, ma non mi stupisce nemmeno che qui non ne parlino. Spero che almeno la vicenda, che in Europa è molto più sentita anche per un fatto geografico, esorti i paesi della zona a battersi per un divieto vero e definitivo degli ordigni all'uranio impoverito, che sono armi criminali per azioni criminali».

Dall'altra parte del cavo, nel suo studio di New York, Ramsey Clark si schiarisce la voce prima di pronunciare il vocabolo criminal, così che il suono diventa più forte e secco. Clark, figlio di un lobbysta texano e passato alla storia per essersi dimesso dalla carica di Attorney General (ministro della Giustizia) del presidente Lyndon Johnson per protestare contro la guerra in Vietnam, è all'oggi uno degli attivisti americani più impegnati nella lotta all'uranio impoverito.

Sempre a fianco della gente di Cuba e dell'Iraq, in visita a Teheran durante la crisi degli ostaggi della presidenza Carter, a fianco dei libici durante le bombe di Bush, Ramsey Clark è una voce fuori dal coro, un simbolo della lotta di pochi e coraggiosi americani che alla fine hanno fatto emergere la verità sulla ”Sindrome del Golfo“ e sugli ordigni all'uranio impoverito.

Quando è venuta fuori la questione dell'uranio e della “Sindrome del Golfo” negli Stati Uniti?

Dunque, i primi sospetti risalgono ad un periodo antecedente l'operazione “Desert Storm”, direi verso la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90. Nelle zone adiacenti ai poligoni di tiro militari, in particolare quelli del New Mexico, si registrava un alto livello di inquinamento e radioattività, tanto che in determinate aree le autorità furono costrette a far smobilitare centinaia di persone. Tuttavia, seppure la vicinanza con i poligoni faceva pensare agli effetti nocivi di qualche ordigno, la questione non fu mai approfondita e men che mai vennero studiati eventuali danni per la salute della popolazione.

Le armi all'uranio impoverito vennero però usate per la prima volta durante la guerra del Golfo quando gli aerei occidentali scaricarono un volume gigantesco di questo tipo di ordigni sull'Iraq e sul deserto del Kuwait.

Armi che hanno poi lasciato sul terreno centinaia di tonnettale di uranio impoverito, con una stima che va dalle 300 alle 800 tonnellate di sostanze radioattive.

Ma anche alllora gli effetti reali di queste armi non erano noti, e le prime misurazioni sull'inqiuinamento ambientale e sulla radioattività del territorio iracheno le abbiamo compiute ad un anno dalla fine della guerra, nel '91.

Con che risultato?

Nonostante la difficoltà e la lentezza necessaria ad un monitoraggio che doveva fornire informazioni credibili, era già chiaro che eravamo in presenza di una sostanza altamente rischiosa.

Nessuno ci dava credito, ma in Iraq anche le rocce avrebbero capito che era avvenuto un mutamento grave nell'ambiente, qualcosa che avrebbe resistito per anni.

Poi, nel febbraio '91, sono stato di nuovo in Iraq, stavolta a Bassora dove gli ospedali iniziavano a fare i primi bilanci sugli effetti della guerra. Tutti i medici riportavano un aumento incredibile delle morti di bambini per leucemia e tumori. La peculiarità che confermava i nostri sospetti era che i casi di tumori e leucemie erano una percentuale altissima soprattutto tra i profughi giunti a Bassora dal deserto ad ovest, proprio nella zona dove si erano concentrati gli attacchi aerei contro obiettivi militari iracheni.

Passato un altro anno, e siamo nel '92, sono tornato in Iraq, stavolta a Baghdad, e ricordo che proprio in quei giorni partiva una campagna per cercare di affrontare e arginare il problema dell'inquinamento radioattivo.

Tuttavia si era ad un livello conoscitivo basso, soggettivo, l'unica certezza era una grande preoccupazione. Si diceva “ok, abbiamo così tanti casi di queste malattie, ma che succede? ”. Nel '93 la paura era già diventata un vero e proprio allarme generale, anche se il modo con cui affrontarla o stabilirne le cause era impossibile dato l'isolamento del paese e la difficoltà a procurarsi i macchinari e la tecnologia necessaria. Direi che è stato nel 1995, quando ho iniziato a scrivere il libro “il metallo del disonore”, che il concetto di “Sindrome del Golfo” è diventato chiaro.

Il moltiplicarsi delle malattie tra migliaia e migliaia di americani, personale militare che era stato in Iraq tra il '90 e il '94, ha costretto le autorità alle prime ammissioni. Le patologie erano le più differenti, dai casi estremi di lesioni mentali e dai molti figli di veterani che nascevano con gravi disfunzioni e malformazioni, fino ai tumori e alla leucemia. Storie che sarebbero state ampiamente sufficienti per un divieto sull'uso di ordigni all'uranio impoverito.

Come ha reagito l'opinione pubblica Usa?

In modo contenuto, anestetizzato. Si può dire quasi che il problema è venuto a galla, ma non è mai esploso. Anche perché la questione ha molte facce e non riguarda solo l'uso di ordigni all'uranio impoverito. E' vero, si moltiplicavano i casi di malattie rare, di circostanze inusuali, che includevano probabilmente l'uranio impoverito ma che potevano anche avere origine con altri fattori. Pensa ad esempio alla distruzione e agli incendi dei pozzi di petrolio, oppure ai bombardamenti di quelli che, secondo i militari occidentali, erano arsenali e che contenevano sostanze chimiche. Nel frattempo le autorità continuavano a sostenere che l'uranio impoverito non era un serio problema medico, anche se la nostra esperienza e l'evidenza ci dicevamno il contrario. Ora l'evidenza è di fronte a tutti.

Il procuratore svizzero Carla Del Ponte, di fronte alle accuse di “crimini di guerra” mosse contro la Nato proprio dai giuristi del tribunale Clark in relazione alla guerra in Kosovo, ha deciso per il “non luogo a procedere” sostenendo che non ci sono leggi internazionali che regolano, ad esempio, l'uso delle armi all'uranio impoverito.

Ovviamente penso che ha sbagliato, che è stata una decisione politica. Tra l'altro lei è il prosecutor (il magistrato) non il giudice, e scegliendo di non prendere nemmeno in considerazione il caso è evidente che ha preso una decisione politica. Ha detto che non c'erano leggi internazionali che vietavano l'uranio, il che non è vero. Ma le leggi internazionali vietano eccome gli attacchi contro installazioni civili, eppure nemmeno questo è stato preso in considerazione. E poi anche nella prima guerra mondiale l'uso dei gas non era stato esplicitamente vietato, eppure ora non esiteremmo a processare come criminali quelli che l'hanno usata.

Tre giorni fa Clinton aveva esortato gli Usa, quindi il Congresso e il Senato, ad aderire al Tribunale penale internazionale, che secondo molti esperti è l'unica vera Corte in grado di diventare l'istituzione giuridica internazionale. Bush ha annunciato ieri che gli Usa non parteciperanno...

Non è ancora un decisione, visto che Bush non è ancora il presidente. E' un'opinione, ma anche una possibilità. Ma la realtà è che neanche Clinton sarebbe mai riuscito a farla approvare. 22 paesi l'hanno ratificata, 160 l'hanno firmata ma non ratificata, e probabilmente entro l'anno prossimo i paesi aderenti saranno circa 60. Non credo che gli Stati Uniti vogliano davvero farne parte visto che, così com'è, il quadro istituzionale internazionale gli va benissimo. Forse prima o poi saremo costretti ad entrare, ma del resto basta guardare nei libri di storia: quando non siamo stati noi a proporre gli accordi siamo sempre stati gli ultimi a ratificarli.

Su iniziativa Usa l'Onu ha vagliato alcune sanzioni economiche contro l'Afghanistan, e sta pensando di renderle ancora più dure. Hai seguito dieci anni di embargo all'Iraq, a che cosa è servito?

Penso che l'embrago o le sanzioni economiche hanno un impatto diretto sulle popolazioni, e andrebbero vietate dalle leggi internazionali. In Iraq probabilmente abbiamo commesso uno dei più grandi crimini del 20° secolo ed è ancora in atto così come a Cuba. Ora si pensa all'Afghanistan, e salta fuori il super terrorista. Osama bin Laden non è altro che è l'ultimo simbolo, ma prima era uno dei nostri come potrebbe confermare Reagan. Ora che il pericolo rosso non c'è più bin Laden non serve più, e anzi si prepara l'opinione pubblica al nuovo nemico.

L'embargo non ha effetti militari: se vuoi che una società diventi debole e insignificante per un perido lungo può servire. In Vietnam gli Usa hanno fatto più danni durante gli anni dell'embargo che durante la guerra.

Per quanto riguarda l'Iraq, ci sono stato nel gennaio scorso e ho visto negli occhi della gente una speranza vera: che l'embrago stia per finire.

Le sofferenze però continuano, e ancora per molto tempo dopo l'embargo continueranno, ma per quella gente sarebbe come riprendere a respirare.

Ivan Bonfanti
Roma, 4 gennaio 2001
articolo da "Liberazione", 4 gennaio 2001