Per la rifondazione del socialismo europeo

«Socialisti di tutta Europa unitevi»

appello di tre ex ministri socialisti

Il mondo si apre: viviamo in tempi di globalizzazione e di interdipendenza di tutto e di tutti, ove l'economico, il culturale e il tecnologico s'intrecciano e si scontrano.

Riconosciamo che finora noi socialisti francesi non avevamo valutato appieno la portata di questo nuovo corso. Nelle nostre proposte e strategie, restavamo troppo spesso prigionieri dei nostri ambiti nazionali, e il coordinamento delle nostre modalità di riflessione e d'azione è stato insufficiente. In questi ultimi 5 anni - a eccezione dell'euro - sono state poche le iniziative comuni, anche quando le responsabilità erano nelle nostre mani. Per esempio non abbiamo saputo esprimerci con forza sulla globalizzazione, che è presente dovunque nelle menti e troppo poco nei nostri progetti.

Il socialismo in un solo paese non ha senso

Guardiamoci intorno: in un clima con sempre meno regole, a fronte dell'internazionalizzazione del terrorismo, della delocalizzazione del capitale e di una precarietà sempre più estesa, il socialismo in un solo paese non ha evidentemente più senso.

Se vogliamo agire con efficacia e pesare realmente sugli sviluppi in atto, dobbiamo oramai concepire le regole da creare e le politiche da attuare su scala continentale e mondiale. E' questa la nuova frontiera della socialdemocrazia.

Nel XXI secolo, essere socialista vuol dire vedere il mondo come il nostro villaggio, non pensare che il villaggio sia il nostro mondo. La repubblica assume il suo pieno significato soltanto in un orizzonte che la oltrepassa.

Oggi più che mai, davanti all'evidenza di tutti i guasti dell'ultra-liberismo, dobbiamo guardarci da ogni ripiegamento. Dopo il riflusso dell'intervento pubblico, il risveglio è doloroso per gli apostoli del dio mercato. Che non ha mai fatto grandi miracoli, e ora sta mostrando i suoi molteplici e gravi difetti: mancanza di trasparenza d'un sistema finanziario che obbedisce solo a se stesso, inasprimento delle disuguaglianze tra le nazioni e al loro interno, precarietà dello sviluppo a fronte delle minacce che gravano sul futuro del pianeta, critiche crescenti nei riguardi delle istituzioni finanziarie internazionali. Non si tornerà al tutto stato, che è fallito. Ma è ormai evidente che i mercati, lungi dall'autoregolarsi, hanno bisogno di limiti e contro-poteri.

Nei nostri sistemi complessi occorre dunque inventare combinazioni dinamiche tra vari partner - cioè tra il mercato, lo Stato e la società civile - piuttosto che cercare d'assicurare a uno di essi l'egemonia su tutti gli altri. La socialdemocrazia si definisce nella ricerca d'un triplice compromesso tra il capitale e il lavoro, il mercato e lo Stato, la competizione e la solidarietà. Con la globalizzazione, è sempre il primo termine di questi tre binomi che si rafforza a discapito dell'altro.

Per tutelare il lavoro contro le eccessive ingerenze del capitale è necessario integrare meglio nel lavoro i giovani, gli immigrati, i lavoratori non qualificati.

Per salvaguardare la capacità d'intervento dello Stato dobbiamo definire internazionalmente i beni pubblici, e conferire a poteri pubblici internazionali i mezzi per tutelarli.

Per mantenere la solidarietà, la redistribuzione deve essere praticata oramai su scala mondiale, sia dalle istituzioni che da nuovi meccanismi internazionali.

Aggiornare la socialdemocrazia

Occorre dunque aggiornare i tre compromessi della socialdemocrazia, riformare e internazionalizzare i nostri metodi. La creazione d'un Consiglio di sicurezza economica e sociale, l'applicazione del protocollo di Kyoto sull'emissione dei gas serra, il progetto d'una tassazione internazionale per aumentare gli aiuti allo sviluppo non hanno altro scopo che quello di modernizzare e rendere più efficace il compromesso socialdemocratico.

Va inoltre evitato ogni ripiegamento su noi stessi, per correggere l'attuale squilibrio che ha conferito agli Usa un ruolo ultradominante nel sistema internazionale. In assenza d'una potenza alla sua misura, convinta com'è del suo buon diritto, l'amministrazione americana tenta d'imporre la propria visione al resto del mondo.

Dopo gli attentati dell'11 settembre, ci s'aspettava che gli Stati Uniti, nella tradizione di presidenti quali Wilson, Roosevelt, Kennedy e Clinton, s'impegnassero in favore d'una migliore governance mondiale. Ma al contrario, il governo Bush si lascia andare a parole d'ordine semplici, se non semplicistiche, facendosi arbitro del bene e del male. Ciò che per lui è il bene deve esserlo per il resto del mondo.

Questa politica, che suscita accese discussioni in America e reazioni di rigetto ancora più vive nell'opinione pubblica mondiale, incoraggia il disordine e le tensioni dove c'è invece bisogno di regole e di dialogo. I paesi del Sud si ribellano, e il fossato tra le due sponde dell'Atlantico sembra allargarsi sempre più.

La rifondazione della socialdemocrazia

La rifondazione della socialdemocrazia passerà innanzitutto per l'Europa. Qui ha preso vita la forma moderna del nostro vecchio internazionalismo, un socialismo per la società di oggi: una società solidale nell'economia di mercato.

Su scala europea non c'è la vocazione a dare una risposta a tutti i problemi, ma a fronte delle sfide che si porranno a una governance internazionale - pace e sicurezza, regole per il capitalismo, aiuti allo sviluppo, tutela dell'ambiente e dei beni pubblici mondiali - l'Europa costituisce il giusto livello di intervento e di rappresentanza.

Si può constatarlo nell'ambito degli scambi commerciali, così come in quello della politica e della concorrenza. Quando avanza unita, quando s'attribuisce i mezzi per parlare con una sola voce, l'Europa ha un peso. Quando il commissario europeo competente parla con l'Omc a nome dell'Europa unita, riesce a imporre agli Stati Uniti un nuovo ciclo commerciale di sviluppo. E quando blocca, sotto il controllo dei tribunali, la fusione tra General Electric e Honeywell, l'Europa è ascoltata. Se sul conflitto iracheno emergesse una posizione comune europea, potrebbe essere di stimolo per incitare gli Usa a evolvere.

Noi pensiamo che l'Europa rafforzata, dal suo prossimo allargamento, potrà diventare domani - se saprà dotarsi dei mezzi necessari - l'avvocato, credibile e ascoltato, d'una nuova governance mondiale.

Certo, sull'altra sponda dell'Atlantico si cerca a volte di screditare un modello del genere. Secondo alcuni, se l'Europa difende un modello internazionale di relazioni e di redistribuzione meno discrezionale di quello preconizzato dagli Usa, è solo perché ormai è una potenza stanca; il nostro multilateralismo non sarebbe altro che la strategia dei deboli.

Di fatto, anche allargata a 25 o 27 membri, l'Europa non ha la vocazione di diventare un impero. Tanto meglio, dato che tutti gli imperi finiscono per perire.

L'Europa, una potenza debole? Al contrario, vediamo fin d'ora quali sono le sue risorse nella sfera economica. Una potenza soft, come direbbero gli anglosassoni? In un mondo sottoposto a regole e contratti, negoziare è già molto. Ma l'Europa è ben altra cosa. E il multilateralismo è una scommessa su ciò che il mondo potrebbe essere tra venti o trent'anni.

Un mondo che sarà strutturato intorno a quattro o cinque grandi sistemi regionali, tra cui l'Ue. Un mondo in cui le opinioni pubbliche otterranno maggior ascolto, e solo i valori rispondenti a criteri di giustizia e all'interesse dei più saranno veramente legittimi.

In quel mondo, il diritto avrà bisogno della forza per farsi rispettare, ma la forza senza il diritto sarà votata al fallimento: questa è la nostra visione.

Ed è in questo senso che la socialdemocrazia deve far leva sull'Europa. Agli uomini e alle donne di sinistra diciamo che i nostri valori sono improntati a questo modello di civiltà.

La destra europea

La destra europea si trova in una situazione ben diversa. Dopo aver rotto con la democrazia cristiana, ridotta ormai all'ombra di se stessa, la destra in effetti è percorsa da due tendenze che l'allontanano da un ideale di cooperazione europea: il localismo e il populismo, su uno sfondo di scelte conservatrici, con la volontà di passare dall'economia di mercato alla società di mercato.

In Italia, tutto ciò ha dato vita a una formula che è un misto tra localismo e populismo. Da noi c'è invece un cocktail liberal-autoritario, i cui costi sociali - aumento della disoccupazione, inasprimento delle disuguaglianze - rischiano di farsi sentire pesantemente nei mesi a venire.

In questo contesto, i socialisti europei devono pesare sull'attuale Convenzione e sul futuro dell'Europa. Come socialisti, prima che come francesi, tedeschi, spagnoli o danesi, dobbiamo far ascoltare la nostra voce su temi urgenti: le condizioni sociali per una nuova tappa della costruzione europea, la garanzia dei servizi pubblici ("servizi d'interesse generale"), la riforma della politica agricola comune, il chiarimento istituzionale.

E al di là di questo, dobbiamo preparare insieme il prossimo, grande appuntamento politico dei cittadini dell'Ue: le elezioni europee del 2004. In quest'occasione, dovremo definire il manifesto comune che preciserà il ruolo dell'Europa nella globalizzazione, in materia di aiuti allo sviluppo, di difesa, di tutela dell'ambiente, di promozione dei diritti sociali, di definizione dei beni comuni e dei servizi pubblici. Questa piattaforma dovrà assegnare alla nostra Unione alcuni obiettivi semplici e improntati al realismo, suscettibili di aggregare una maggioranza di europei.

Gli obiettivi e le tappe per raggiungerli

Dovremo precisare le nuove tappe da percorrere per raggiungere i seguenti obiettivi: un'unica rappresentanza europea nelle istituzioni finanziarie internazionali; maggiori facilitazioni commerciali per i paesi più poveri; investimenti comuni europei nel campo della difesa; la progressiva europeizzazione delle politiche sull'immigrazione e gli aiuti allo sviluppo; nuove istanze internazionali per assicurare l'equilibrio planetario, sull'esempio dell'Organizzazione mondiale del'ambiente, che dovremo prendere l'iniziativa di lanciare.

Per l'elaborazione di questo manifesto dovremo intensificare i contatti e gli scambi tra socialisti europei. Il partito dei socialisti europei ha organizzato recentemente un primo incontro a Copenaghen. E' questa la strada giusta. Seguiranno altri appuntamenti, a Varsavia e quindi in altre sedi. Dobbiamo dialogare con le forze vive del progresso e della democrazia: sindacati, associazioni, organizzazioni non governative, intellettuali, creativi, uomini e donne di cultura.

Manca solo un anno e mezzo alle elezioni europee: un appuntamento importante per il futuro della socialdemocrazia e dell'Europa.

Fuggendo le divisioni, i riflessi di ripiegamento e di corsa al ribasso, troppo frequenti all'indomani delle sconfitte, i socialisti francesi devono riprendere appieno il loro posto, mantenendo il proprio ruolo di catalizzatori, superando le difficoltà e le dispute di parrocchia per volgere lo sguardo verso un orizzonte comune.

Poiché siamo profondamente europei e profondamente socialisti, è questo il senso dell'appello che oggi lanciamo insieme: «Socialisti di tutt'Europa, unitevi!».

Laurent Fabius, Pierre Mauroy, Michel Rocard
Parigi, 1 novembre 2002
da "La Repubblica"