Intervista a Fausto Bertinotti.
«Nel centrosinistra si sta producendo un terremoto:
una crisi che viene da lontano»

Il Prc, il movimento, la «terza sinistra»

«Il nuovo movimento del Palasport - insomma, Cofferati - dice no alla guerra, vuole un diverso rapporto con l’Ulivo, critica i leader attuali, chiede un’opposizione più radicale..
Due questioni ci dividono: l’unità dei no global, la strategia politica»

A sinistra, accadono fatti rilevanti, discussioni intense, polemiche nervose.
Sulla crisi del centrosinistra, sulla nascita di una “terza sinistra” (Cofferati), sul ruolo e le posizioni di Rifondazione, anche e soprattutto in rapporto alla crescita del Movimento, Fausto Bertinotti ci parla delle opportunità aperte in questa fase.
Ma anche delle priorità che tali restano. Ecco l’intervista.

Insomma, che cosa sta succedendo nelle sinistre italiane?

In realtà, è un vero e proprio terremoto quello che oggi investe il centrosinistra: era in incubazione da tempo, come avevamo ben visto, ed ora tende ad esplodere.
Di che si tratta, alla fin fine? Di una crisi nella quale convergono sia l’onda lunga della sconfitta elettorale del 2001 sia, soprattutto, l’ingresso sulla scena politica - in forme finora impreviste ma comunque forti - del movimento.
E’ il soggetto, quest’ultimo, che con la sua iniziativa e la sua autonomia ha mutato la fisionomia del conflitto, quello sociale e quello politico.
Se non vediamo questa sequenza, che non è solo cronologica ma, appunto, sociale e politica, non capiamo quasi nulla di quello che è successo in Italia: la protesta No Global ha innescato, se così si può dire, una voglia di partecipazione diffusa, protagonistica, alla politica (cfr. i “girotondi”) e ha inciso sulla ripresa stessa del conflitto del lavoro.
Attraverso vari passaggi, tutto questo ha prodotto, in un’area che possiamo schematicamente definire «la sinistra del centrosinistra», una rinascita, un nuovo vigore, un riposizionamento.
Un fenomeno che (passando anche attraverso l’ultimo congresso dei ds), si manifesta oggi come una delle possibili forme di un nuovo movimento politico.

Ti riferisci a quel processo che è culminato nell’assemblea ultima del Palasport,e nella nuova leadership “sul campo” di Sergio Cofferati?

Sì, mi riferisco a questo processo, del quale è difficile prevedere l’esito, ma del quale risultano chiari almeno tre elementi.
Il primo - di merito - è il netto rifiuto della guerra e la disponibilità a costruire un’attiva opposizione pacifista.
Il secondo è l’esigenza di un rapporto diverso tra Ulivo e movimenti, anche sulla base di una critica alla leadership attuale.
Il terzo è una maggiore radicalità nell’opposizione al governo Berlusconi.
Fin qui, non possiamo che guardare con interesse a questo nuovo movimento, che rende evidente la crisi del centrosinistra e promuove un nuovo protagonismo di massa.
Detto tutto questo, non possiamo né essere acritici, nei suoi confronti, né buttare alle ortiche o sospendere - per opportunismo politico o subalternità culturale - il nostro progetto politico.

A questo proposito, c’è, a sinistra, una posizione che ci sollecita ad investire le nostre energie - e magari la la nostra stessa “ragione sociale”- su questa concreta ipotesi di spostamento a sinistra dell’asse dell’Ulivo. E qualcuno ci accusa, nientemeno,che di anteporre a tutto le nostre logiche di sopravvivenza di partito.Davvero in questa fase la priorità potrebbe, o dovrebbe essere, quella di incalzare da sinistra il centrosinistra, per posizionarlo su una linea diversa?

Vorrei risponderti senza che ci sia il rischio di fraintendimenti: io credo che l’idea dello spostamento a sinistra dell’asse dell’Ulivo sia una pura illusione, rincorrendo la quale, di sicuro, si corrompe ciò che c’è di radicale e di alternativo nel tessuto della sinistra.
Il vero oggetto della discussione è se si debba o no entrare all’interno dell’Ulivo, diventando parte integrante dell’“operazione Cofferati” e temporaneamente archiviando la nostra specificità. Io rispondo di no: il centrosinistra non si lascia modificare nelle sue opzioni di fondo, è un’alleanza interclassista che rifiuta ogni rottura sistematica non solo e non tanto con pezzi della borghesia ma con l’organizzazione politica di Confindustria.

E’ un problema, insomma, di «costituzione materiale»...

E’ così vero, questo riferimento, che lo vedi anche sul terreno della guerra. I Ds, ora, hanno scelto di collocarsi risolutamente contro l’aggressione all’Iraq (hanno aderito proprio ieri alla manifestazione del 15 febbraio,ndr.).
Ma nel centrosinistra ci sono forze non certo irrilevanti che tengono aperto un canale forte con gli Stati uniti, il governo Bush e il governo di Tony Blair - del resto, non è forse vero che una parte della socialdemocrazia europea sta, o alla fine starà, con gli Usa?

Ma se, nel prossimo dibattito parlamentare, la Quercia confermasse la sua collocazione pacifista e votasse contro la partecipazione italiana, non sarebbe questa una prova dell’utilità della battaglia “interna-esterna”?

Sarebbe la prova di quello che non ci stanchiamo di ribadire da un pezzo: che l’autonomia del movimento - del movimento che parla di “un altro mondo possibile”, che è sceso in piazza contro la guerra fin dal 10 novembre 2001 e che ha schierato, l’anno scorso, a Firenze, un milione di persone per la pace - investe con forza anche la sinistra moderata, la induce a rivedere i propri schemi, la influenza nelle proprie scelte.
Di questo non abbiamo mai dubitato: l’allargamento dello schieramento pacifista, la sua capacità di coinvolgere il più vasto numero di forze e di soggetti possibili non è forse un obiettivo essenziale della nostra lotta? E che Rifondazione comunista, insieme alla gran parte del movimento, si sia battuta contro la guerra senza se e senza ma e contro l’aberrazione dell’idea di guerra preventiva, non ha forse concorso a spostare con forza il terreno e le posizioni di tutti? Ricordo - solo perché sia chiaro il senso di questo ragionamento, non per polemica - che la posizione prevalente, nel centrosinistra, all’inizio è stata tutt’altra, tanto che in Parlamento l’Ulivo, come tale, non si è schierato contro la guerra: lo hanno fatto invece 131 parlamentari, in autonomia “trasversale” rispetto alla coalizione e ai suoi gruppi.

Per riassumere...

Il punto essenziale mi pare questo: l’asse strategico dell’Ulivo non è stato modificato nè dall’interno nè dall’esterno.
Nè dall’area di sinistra nè dal movimento.
Ove ci fosse questa modificazione, che a me non pare nell’ordine delle cose possibili, l’idea stessa dell’Ulivo - la sua “gabbia” - andrebbe in pezzi.
Insomma, un conto è l’efficacia della politica, un conto le discriminanti di lungo periodo.
Non ripropongo qui la classica distinzione tra tattica e strategia: ripropongo invece, il tema dell’autonomia necessaria dei soggetti - tutti i soggetti, dal Prc ai movimenti - che compongono il campo della sinistra di alternativa.

Tutto questo significa che con il movimento politico di Cofferati - dico così per schematizzare - Rifondazione comunista può avere o no un dialogo concreto, un’interlocuzione positiva?

Noi non abbiamo alcuna avversione pregiudiziale a un rapporto positivo con questo movimento.
Abbiamo, anzi, interesse e attenzione.
Allo stesso tempo, però, ci sono due questioni che ci dividono...

Quali?

La prima concerne, appunto, ll movimento e le sue sorti: la poniamo con forza proprio perché non riguarda direttamente il nostro partito, ed anche perché può avere una precipitazione nel breve periodo.
Il movimento è da tempo sottoposto ad una pressione che lo spinge a riorganizzarsi su basi diverse da quelle attuali, come del resto accade in altri paesi europei.
Io credo che qui sia in pericolo proprio l’originalità del movimento italiano, che finora ha gelosamente custodito la propria unità interna (tutti a pari titolo nella determinazione delle scadenze), la propria capacità di sintesi (che aliena, quando raggiunta, le singole sovranità), la “compatibilità” e il reciproco riconoscimento delle diverse posizioni, quando una sintesi comune non sia stata raggiunta.
Insomma, sto parlando di quello straordinario risultato - la coppia unità-radicalità - sancito nelle giornate del Social Forum di Firenze: essa può essere sostituita da un’idea di unità fondata sulla mediazione delle organizzazioni.
Il rischio, mi pare, è quello di introdurre divisioni tra presenze moderate e presenze radicali.
Sull’assemblea del Palasport ho espresso esattamente questa preoccupazione, di fronte ad alcuni inviti e ad alcuni “non inviti”.
Quel che ritengo essenziale, alla fin fine, è che il rapporto tra forze politiche, soggetti politici, partiti e Movimento si mantenga fedele ad un criterio di interlocuzione generalizzata, da parte di tutti.
Noi, come Rifondazione, come forza che da sempre ha scelto di essere anche parte integrante del movimento e della sua costruzione, abbiamo sempre tenuto questa linea di condotta: e come tale il movimento stesso la riconosce.
Non è un caso, credo, che anche al prossimo appuntamento di Porto Alegre il Prc sarà tra gli invitati ufficiali.

L’altra questione attiene, penso, alla politica.

E’ un’obiezione che attiene, in effetti, al lungo periodo: noi e il movimento politico che fa capo a Cofferati abbiamo due diverse strategie politiche.
La sua, è quella di un diverso rapporto di riqualificazione dell’Ulivo, la nostra è la costruzione della sinistra di alternativa.
Torniamo, insomma, al punto iniziale: davvero la sinistra italiana non ha altro orizzonte al di fuori del centrosinistra? Noi pensiamo di no.
Sulla base di questa chiarezza, fatta salva l’“intangibilità” del Movimento e della sua unità, reso evidente che le prospettive del centrosinistra e dell’alternativa hanno, quantomeno, “pari dignità”, si tratta, certo, di costruire convergenze e occasioni di incontro.
Sulla guerra, come abbiamo già detto.
Su scadenze prossime di grande importanza: come i referendum, in particolare sull’articolo 18 che estende i diritti del lavoro.
E sulla Fiat, che è questione capitale del Paese: la nostra ipotesi di nazionalizzazione, o di consistente intervento pubblico, è sul tappeto.
Che cosa ne pensa, Cofferati?

Rina Gagliardi
Roma, 15 gennaio 2003
da "Liberazione"