Monza: riunione del 10 febbraio 2003

COMITATO POLITICO FEDERALE DELLA FEDERAZIONE DELLA BRIANZA

Relazione della segretaria Giovanna Casati

Trattandosi della prima riunione dell’anno, del nostro Comitato Politico, dovremmo, al di là di talune urgenze poste all’ordine del giorno per questa sera, tendere anche a definire un nostro complessivo orientamento politico e di lavoro coinvolgendo successivamente ogni nostro circolo e affidarne a questo organismo le verifiche del suo avanzamento e dei risultati di volta in volta conseguiti.
Per questo è necessario una nostra franca e impegnata discussione, confronto di analisi, idee e proposte. Credo infine che debbano essere, con l’insieme della segreteria, le singole responsabilità a promuovere le necessarie iniziative, dando operatività alle nostre scelte.

1. CONTRO LA GUERRA.

Fatta questa indispensabile e fondamentale premessa, affronto subito la prima grande questione posta all’ordine del giorno di questo CPF. “ Le nostre iniziative contro la guerra”.
Vorrei iniziare richiamando ciò che dovrebbe essere l’obiettivo principale di tutti coloro che vi si oppongono: impedirla! Far si cioè che mai inizi. Lo dico ma credo che tutti quanti siamo coscienti che questa è una guerra che è già iniziata che si inasprirà nei prossimi giorni o settimane!
Occorre quindi fermarla! Per quanto riguarda il nostro impegno per questo, occorre costruire qui nel nostro Paese, regione e territorio il più ampio schieramento sociale e politico possibile. A tutti i livelli istituzionali e territoriali dove siamo presenti e solitamente agiamo e anche dove non ci siamo.
Questa guerra, come altre lasciate alle spalle e mai terminate, rappresenta, (con il loro carico di massacri compiuti e con quelli che si apprestano nuovamente a compiere), la fase costituente del nuovo ordine politico-economico e sociale che questa globalizzazione richiede per tentare di uscire dalla sua stessa crisi di credibilità e affermazione.
Per la maggior parte della popolazione del pianeta, il benessere e la pace per tutti che furono promessi con la caduta del muro di Berlino, arrivano a bordo dei B52 con il loro carico di bombe, di ingiustizia sociale, di espropriazione di diritti, di libertà e democrazia, lasciando dietro sempre più povertà.
Per questo oltre, che per ferma convinzione e scelta e nel rispetto della nostra costituzione, noi siamo contro questa guerra senza se e senza ma. ONU si, ONU no!
E a coloro che affermano che senza ONU no ma con L’ONU si può, occorre ricordare che questo nuovo attacco all’Iraq è comunque privo del presupposto previsto all’art.39, della carta costitutiva delle Nazioni Unite.
L’esistenza cioè di una minaccia alla pace o di una violazione della pace o di una aggressione in atto.
Sadamm Hussein è un dittatore ma oggi, non ha attaccato alcun Paese ne dichiarato guerra a chicchessia.
La sola minaccia che esiste attualmente alla pace e che meriterebbe di essere severamente censurata dal Consiglio di sicurezza, è quella posta in atto da Bush e Blair che da mesi bombardano quotidianamente le zone irachene di “non volo” e minacciano ora una guerra totale anche con l’uso dell’atomica.
Vi è poi un secondo e non meno grave aspetto di illegittimità di una eventuale dichiarazione di guerra da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Infatti ciò che questi può deliberare, secondo l’art. 47 della sua costituzione, non è certo la guerra ma, quale estrema misura ai fini di mantenere o ristabilire la pace, è l’ uso della forza in termini di una azione coercitiva internazionale.
Una differenza, fra le due cose che non può essere occultata con il gioco delle tre tavolette.
La differenza è abissale! La guerra, per natura, è un uso smisurato e incontrollato della forza diretto all’annientamento dell’avversario e destinato inevitabilmente a colpire anche la popolazione civile.
L’impiego della forza, quando e se deciso, è invece quello strettamente necessario per mantenere la pace e proprio per questo posto sotto la costante direzione del Consiglio di sicurezza.
Ciò che ad esempio, da tempo sta chiedendo Harafat a protezione dei territori palestinesi e per bloccare la dilagante e quotidiana violenza che investe sia la Palestina che Israele.
Ho citato ciò non perché pensi che la seconda ipotesi a diversità della prima possa essere oggi possibile e necessaria, (ripeto quanto già sopra detto: l’unica minaccia alla pace oggi viene dagli Stati Uniti che hanno deciso questa guerra da tempo, per altri fini e hanno poi costruito le “prove” delle minacce irachene”), ma per chiarezza rispetto alle posizioni presenti oltre che nella maggioranza parlamentare del nostro Paese, che ha già stabilito che a tale condizione la nostra adesione alla guerra sarà inevitabile e per coloro che nel centro sinistra sono con i se e i ma e per l’impegno e il lavoro che ci attende.
Noi dobbiamo partecipare ad ogni iniziativa e manifestazione contro la guerra.
A partire da quella di sabato a Roma, decisa dal Forum Sociale europeo in contemporanea con altre 52 città del mondo, ma occorre essere noi stessi promotori di convincimenti e iniziative per la costruzione del più ampio schieramento contrario possibile ad ogni livello, sconfiggendo titubanze, menzogne e alibi che si vogliono diffondere a fronte di una grande maggioranza nel paese contraria al conflitto.
Occorre quindi che ogni nostro circolo, sia mobilitato nel suo proprio territorio, che ogni nostro consigliere comunale sia attivato nel suo proprio consiglio comunale nella promozione di iniziative e confronti per la pace.
Già iniziative si sono svolte a Meda, Vimercate, Monza il 12 febbraio con Zanotelli, Agnolotto e il sindaco di Monza.
Ma se vogliamo che questo nostro impegno abbia il risultato che ci attendiamo, occorre che il confronto con gli altri sia efficace, argomentato, mai discriminante nei confronti di chicchessia, che non demorda e sappia legare gli effetti di questa guerra con i diritti dei lavoratori, dei cittadini.
Diritti quotidianamente sottoposti a manomissioni tendenti ad affermare un ordine mondiale basato non sul libero mercato ma sulla sua imposizione unidirezionale, il suo dominio militare, terroristico e golpes economici, quando questo viene ritardato o messo in discussione.
Questo nostro impegno è una necessità urgente ma non a termine. Si prospetta per tutti i suoi aspetti come un impegno e lavoro a lunga scadenza, parte determinante e discriminante per la nostra scelta strategica politica, di fondo e complessiva.
La contrarietà a questa guerra è la nostra ferma contrarietà alla guerra, qualsiasi guerra! Senza aggettivi giustificativi e ingannatori: umanitaria, santa, dolente necessità ecc. ed è impegno per la costruzione di un mondo diverso. Per questo e prima di tutto privo di conflitti.

2. SITUAZIONE POLITICA E REFERENDUM

La seconda grande questione che abbiamo posto all’ordine del giorno questa sera riguarda la situazione politica e l’avvio della campagna referendaria per l’estensione dell’art.18 anche alle aziende sotto i 15 dipendenti.
Con l’adesione di fatto e già decisa partecipazione alla guerra la maggioranza governativa, (che ha perfino rinunciato a un timido “ma” europeo), ha ormai manifestato la sua vera faccia riformativa.
Riformare totalmente la nostra carta costituzionale, per lasciare libero il mercato e l’arbitrio.
Dopo la riscrittura della sua seconda parte, si vuole oggi manometterne i suoi fondativi valori sociali, del lavoro, della democrazia, della giustizia e della pace.
E farlo, se non fosse ancora possibile il consociativismo del Centro Sinistra, a colpi di maggioranza o farlo con veri e propri “golpes”.
Non voglio qui ripercorrere i momenti di questo decisionismo/autoritario che ha contraddistinto e sta contraddistinguendo l’azione di questo governo: interventi per affari privati; attacchi ai diritti dei lavoratori e alla loro unità; l’occupazione prepotente di ogni spazio mediatico; l’attacco all’autonomia del potere giudiziario e ai diritti dei lavoratori; continuando viceversa a privare il nostro paese di volontà e capacità di programmazione economica per uno sviluppo equilibrato una occupazione sicura per milioni di lavoratori e le per la loro sicurezza sul lavoro.
Tutto ciò è fin “purtroppo” noto, attuale e ben presente, (qualcuno ha recentemente affermato che se fossimo stati un paese latino americano avremmo già parlato quanto meno di “golpe bianco”), ed è stato ed è da noi combattuto, a volte anche da soli.
Dobbiamo invece riflettere sulla grande resistenza sociale e democratica che viceversa si è messa in moto in particolare in questo anno che ci siamo lasciati alle spalle una resistenza tuttora in moto e crescente che per ciò che ci riguarda, è stata attraversata in modo inequivocabile da quel grande movimento mondiale che ha segnato le sue crescenti tappe in diversi luoghi del pianeta e del nostro Paese in particolare.
La sua contaminazione in campo politico, sociale e istituzionale è oggi confermata dalle nuove partecipazioni e attenzioni che esso riceve.
Ciò dimostra la sua capacità di sapere contrapporre veramente un altro modello di sviluppo e di poter dire che non solo un altro mondo è necessario ma anche “possibile”.
Un potenziale di lotte che occorreva saper sollecitare e cogliere, che va continuamente allargato e necessariamente unificato nelle sue varie espressioni e sensibilità civili, sociali e politiche, che vanno riconosciute e rispettate.
Infatti le priorità poste al centro di questo vasto movimento di giovani, di uomini, di donne, di lavoratori, di democratici, non paiono a me in contrapposizione, ma strettamente legate: diritti; lavoro; democrazia; giustizia; libertà; pace, rappresentano quel Mondo diverso, quell’Europa diversa, quel Paese diverso e anche una Regione diversa che vogliamo costruire.
E’ questa una mia considerazione o riflessione la cui genesi risale al momento della mia scelta di essere comunista per costruire un partito comunista di massa, quindi attento a sentimenti e passioni di massa, per costruire una reale e partecipata alternativa di sinistra nel Paese.
Una riflessione da me posta in modo centrale nel nostro dibattito congressuale e che avrebbe dovuto guidare il nostro agire rispetto agli obbiettivi di lotta e di cambiamento che ci siamo assieme proposti, anche se con accenti di attenzioni diverse.
L’esistenza cioè di un vasto potenziale e disponibilità di lotte, presenti nella nostra società, che doveva e poteva essere sollecitato, per uscire dalla sua latenza, tenendo quindi aperto il confronto e una battaglia a tutto campo, a partire dalla più grande organizzazione sindacale del nostro Paese, la CGIL, alla sinistra di alternativa e a quella moderata, ben conoscendone ed essendo coscienti delle diversità e dei cambiamenti che in questi ultimi dieci anni si sono prodotti.
Penso compagni e compagne alle lotte sociali e sindacali che hanno visto scendere in campo prima la FIOM poi tutta la CGIL, la loro continuità anche solitaria ma partecipata dalla stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro paese; alla prossima scadenza di lotta dell’industria per il 21 di questo mese; ciò senza sottovalutare come permane, a taluni livelli e in molti luoghi di lavoro, una perdente pratica concertativa che va superata nei fatti e per la quale occorre dare continuità alla nostra battaglia a partire dai luoghi di lavoro e nelle strutture dove siamo presenti, a volte anche con incarichi di direzione.
La prossima assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti, convocata Terni per il 22/23 febbraio, deve quindi sollecitare maggiore coordinamento fra i compagni e le compagne e maggiori interventi verso i luoghi di lavoro, con l’obiettivo di far crescere le rivendicazioni e la partecipazione dei lavoratori.
Penso infine alle centinaia di migliaia di cittadini scesi in piazza; alle migliaia di altri che si sono ritrovati dentro dei teatri.
Lo hanno fatto anche in modo diverso da noi e senza di noi, ma non hanno detto cose o hanno posto obiettivi che si scontrano con le necessità di cambiamento che abbiamo posto o che non possano incontrarsi ed essere parte del nostro obiettivo.
Certo a volte hanno espresso giudizi ingenerosi nei nostri confronti, ma come non riconoscere che la critica più forte da loro mossa è proprio nei confronti del centro sinistra e, dentro quello schieramento, nei confronti della dirigenza dei DS!
Da dove nasce e come si allarga sennò la loro crisi? Una crisi che abbiamo più volte sollecitato noi stessi?
E infine perché dovremmo di fatto accettare una sorta di rappresentanza ghettizzata dell’antagonismo, quale è disposta ad assegnarci la maggioranza dell’Ulivo, accontentandoci di una rendita di posizione e non uscire in campo aperto sfidando anche la sinistra moderata o riformista che dire si voglia, su un terreno più ampio. Quello dello sviluppo, della partecipazione, delle riforme, quelle vere che allargano i diritti e la giustizia sociale.
Come pensiamo, se ancora è il nostro obiettivo, di costruire un partito comunista di massa se non affrontiamo tutto ciò o peggio se lo guardiamo con sospetto, limitandoci ad etichettarlo di volta in volta.
Ma come pensiamo di costruire un paese, una regione, un territorio diverso?
Non c’è anche per noi un interrogativo che dobbiamo porci?
Quale è la ragione di una permanente diffidenza o scarsa attrattiva nei nostri confronti da parte di chi comunque lotta sugli stessi nostri obiettivi, e propone spesso gli stessi contenuti?
Guardate che non è una critica è una constatazione, che ci viene dai fatti, dai numeri delle nostre riunioni, dei nostri militanti, ed è una constatazione che pongo per superare la distanza enorme che ci separa dalle ragioni e dai meriti che molti ci riconoscono dal nostro crescere e dall’affermarsi delle nostre ragioni.
Io credo che ciò possa essere modificato, ma non è certo la sola speranza o attesa che può mutare queste distanze.
Occorre quindi una riflessione profonda, se si concorda con questa considerazione, una riflessione che deve investire il nostro agire, il confronto che dobbiamo aprire a tutto campo.
Con chi e come pensiamo di vincere la sfida referendaria da noi e da pochi altri lanciata?
Certo che è una sfida che si può vincere! L’abbiamo promossa per questo! Ma è una vittoria ancora tutta da costruire per la quale dobbiamo rivolgerci a tutti, in primo luogo alle oltre 5 milioni di firme raccolte dalla CGIL per l’allargamento dei diritti a tutti i lavoratori e oltre queste.
Vanno quindi formati i comitati per il si su tutto il nostro territorio, dove abbiamo i circoli ma anche dove non li abbiamo, rimettendo in moto le nostre zone, in raccordo con la Federazione, affinché predispongano le iniziative indispensabili a coprire i vuoti di presenza.
Penso anche alla possibilità di costituire un Comitato per il SI di tutta la Brianza, facendoci noi promotori con una lettera indirizzata alla FIOM, alla componente Lavoro e società della CGIL Brianza, ai Verdi, alle altre organizzazioni sindacali extraconfederali, a personalità ed associazioni che operano in Brianza, invito pertanto i compagni a segnalare alla Federazione i soggetti da invitare ad un incontro per dar vita al Comitato.
Ma in particolare dobbiamo aprirci al più ampio confronto possibile, per superare innanzi tutto zone nebulose, non necessariamente avversarie, che hanno perplessità e preoccupazioni legittime sull’obbiettivo posto, ma non colgono fino in fondo la posta in gioco e anche per sconfiggere le vere avversità intrise di menzogne.
Un lavoro che va approfittato anche per allargare e consolidare la nostra opposizione a questo governo regionale a partire dalla battaglia sui tickets sanitari.
Infine , compagne e compagni, permettetemi di affrontare un terzo tema che seppur non esplicitato nell’ordine del giorno è comunque strumento del nostro agire in ogni caso, in particolare anche per quanto detto in apertura circa gli orientamenti di lavoro complessivi che dobbiamo assumere per un anno che si presenta carico di incertezze e battaglie e per le verifiche che toccano a questo organismo, espressione di un congresso che abbiamo realizzato circa un anno fa, e chiuso con un documento votato all’unanimità che ci obbliga ed impegna tutti quanti.
Mi riferisco all’obbiettivo del rinnovamento per il quale ho messo a disposizione il mio incarico e la mia disponibilità ad una transizione che avviasse un processo molto più profondo di un semplice ricambio alla direzione della Federazione.
Peraltro già possibile allora ed anche oggi se si volesse.
Un processo che doveva investire i nostri circoli, rafforzare l’esperienza delle zone, il lavoro dei dipartimenti, il rapporto tra questi e la Federazione.
E’ mia opinione che tutto ciò sia stato nella stragrande maggioranza dei propositi fatti dimenticato, o andato in altre direzioni.
Si sono viceversa consolidate prassi di distacco, di scarso coordinamento territoriale, più che programmare con la federazione, come pure prevede il nostro statuto, si programma con altri luoghi maggiormente affini alle sensibilità politiche che ogni circolo ha espresso durante la fase congressuale.
La Federazione viene semmai informata...dopo.
Così come è investita solo quando e a fronte del delinearsi di crisi interne ai circoli o nei rapporti con il centro sinistra laddove siamo in alleanza al governo del comune, per assumere l’onere della mediazione.
Non credo di esagerare se parlo di una vita politica in questa Federazione più da separati in casa che non di una Federazione coesa nelle sue azioni e rapporti pur dentro sensibilità e attenzioni politiche diverse, ma mai contrapposte.
Fermo restando quindi la mia disponibilità a lasciare, entro l’autunno, l’incarico affidatomi da questo CPF, propongo che venga dato mandato alla segreteria per preparare e convocare una conferenza di organizzazione, con il compito di definire obiettivi e tappe di questo nostro rinnovamento per una nostra maggiore coesione, la nostra crescita organizzativa e radicamento nel territorio.
Chiudo pertanto con una considerazione di carattere generale rispetto alla necessità, citata all’inizio, di orientare il nostro agire da qui alla conferenza e oltre.
Credo, e ne sono convinta, che abbiamo un grosso potenziale di accoglienza e di azione, anche in questo nostro territorio.
A convincermi sono le molte ragioni che guidano le nostre scelte e azioni, i meriti che a volte ci vengono riconosciuti, la capacità di interlocuzione con associazioni, movimenti e forze politiche anche in questo territorio.
Siamo al governo di molti nostri comuni a partire dalla città di Monza, terza città della regione dove già si stanno sperimentando modi di governare e scelte diverse, di cambiamento e di valore.
Saranno chiamati al voto per le amministrative a maggio Seveso e forse anche Nova Milanese dove oggi governano le destre, lavoriamo perché in questi due comuni si determini un cambiamento politico, che oggi è possibile.
Stiamo, con altre organizzazioni e associazioni preparando per il secondo anno il Porto Alegre della Brianza, abbiamo una grossa e a volte determinante presenza nei luoghi di lavoro e nella CGIL brianzola.
Ma ragioni, meriti, presenze non sono sufficienti, sono indispensabili ma occorre tentare di più.
Si tratta di consolidare il potenziale di accoglienza acquisito ma non eterno, e di penetrare laddove ancora vi è sospetto, attesa.
Ciò sarà possibile se sapremo agire a tutto campo senza timori rispetto alla nostra autonomia. Essa è salva quando i contenuti della nostra azione non deflettono dai nostri obiettivi, non dall’interlocuzione con altri.
E se il nostro dibattito interno esce dalle solite ripetitive cerimonie e concorrenze inutili di parte, per affrontare con franchezza le difficoltà per cogliere quella parte ancora latente di questo potenziale e costruire un partito comunista di massa in quanto capace di interloquire ed agire nell’insieme della società, del nostro territorio, per la costruzione di tutte quelle diversità che questa globalizzazione e la sua guerra richiedono.
Riprendiamo il cammino tracciato un anno fa dal nostro congresso di Federazione.

Giovanna Casati (Segretaria del PRC - Brianza)
Monza, 10 febbraio 2003