COMITATO POLITICO FEDERALE DEL PRC - BRIANZA

Relazione introduttiva della segretaria
GIOVANNA CASATI

Monza 5 maggio 2003

Credo che ogni riunione di questo nostro Comitato Politico, finora svolta, sia stata importante così come non sia mai mancata l’attenzione delle compagne e dei compagni e il loro impegno di analisi e proposte collocandosi sempre all’altezza dei compiti che ci spettano.

Certo ognuno di noi a cominciare dalla sottoscritta che ha quasi sempre svolto il compito di introdurre queste nostre riunioni, lo ha fatto con i propri limiti e capacità, ma senza tirarsi indietro.

Ma ora ci troviamo davvero in una fase nuova, inedita, come è stato detto al nostro CPN di sabato e domenica scorsi.

Una fase, grave di eventi negativi ma anche di grandi opportunità di cambiamento.

La sua gravità negativa, come la guerra, viene subita in quanto imposta da mezzi e strumenti di potere mille volte più potenti e arroganti della nostra e non solo nostra, volontà e capacita di opposizione, ma dall’altra per l’azione di coloro che non hanno rinunciato alla costruzione di alternative radicali, è questa una fase nella quale si sono anche create condizioni di possibile inversione della rotta come non mai.

Una fase dove cioè è davvero possibile che si vada verso la distruzione della civiltà, ma anche di grande opportunità per riprendere con più forza e consensi il cammino dello sviluppo, della giustizia sociale e dei diritti per tutti.

Questa sera ci è quindi richiesto, ed io lo chiedo a tutti voi, uno sforzo interpretativo prima di tutto e anche propositivo poi, come mai prima abbiamo cercato di fare e ciò rispetto a tutto quanto cercherò di porre alla discussione e a quanto potrò dimenticare, rispetto alla situazione generale di ordine politico e sociale nella quale siamo chiamati ad agire e a far avanzare i nostri obiettivi, come rispetto alla nostra federazione, che ha la necessità di affrontare e risolvere problemi di direzione, per rafforzarla e adeguarla agli obiettivi che ci siamo dati con il nostro congresso un anno fa, e agli obiettivi nuovi che ci sono richiesti dagli eventi che sono accaduti e in accadimento.

GUERRA PREVENTIVA E INFINITA

Con l’aggressione al popolo Irakeno e l’invasione del suo Paese, da parte delle truppe anglo/americane, non è affatto terminato quel conflitto motivato e definito, dal Presidente degli USA e dal primo ministro del Regno Unito, “preventivo”, ma si è dato avvio a ciò che oramai in molti, e tra questi noi, definisco “la guerra infinita”.

Nessuna delle motivazioni addotte da Bush e da Tony Blayr e sostenuta da taluni loro uscieri, fra i quali il nostro presidente del consiglio, è stata provata.

Tanto meno si è provato che si è liberato quel paese da una dittatura, quella di Saddam Hussein, (rispetto alla quale non vi è dubbio che tale fosse, ma altrettanto non possono esistere dubbi circa l’illegalità di un intervento armato esterno per questo, senza se e senza mai come abbiamo definito la nostra opposizione alla guerra!), restituendo al popolo irakeno la propria sovranità, autonomia, libertà e quindi la democrazia.

I rischi di deflagrazione, già apparsi,  non tarderanno a manifestarsi con tutto il loro carico esplosivo.

Ciò che può accadere non è più quindi uno scontro fra civiltà, ( aberrante e contro ogni principio di uguaglianza e tolleranza), ma la distruzione della civiltà per fare posto ad un mondo di barbarie, senza più sviluppo e ricchezza se non per pochissimi e senza più diritti e democrazia per nessuno.

Effetti questi già in atto, ma che ancora trovano, in particolare qui in Europa, una grande e crescente opposizione rispetto alla quale hanno solo un modo per affermarsi totalmente: la “guerra infinita”, guerreggiata e/ o minacciata a secondo dei casi.

Come lo diciamo da tempo, come lo ha denunciato il movimento di Porto Alegre e Firenze, come lo hanno detto quei milioni di pacifisti scesi in piazza in questi mesi in ogni capitale e non del mondo, questa guerra altro non è che lo strumento violento, il braccio armato di questa globalizzazione.

Dalla “qualità totale”, ultimo residuo del modello fordista si è passati alla “competitività totale”che ha coinvolto individui, imprese, popoli, e nazioni.

Come era stato previsto la competitività economica ha trascinato con se la guerra.

Non vi è dubbio infatti che oggi non solo sono meno liberi gli irakeni, ma è meno libero anche ogni altro popolo del pianeta a partire dallo stesso popolo nord americano.

Infatti non vi è stato di guerra che si dichiari che non implichi una restrizione di libertà, di democrazia e di diritti anche per coloro che sono trascinati in essa dal proprio governo.

E non vi è alcuna pace poi, veramente duratura, se questa non è accompagnata da giustizia sociale, diritti per tutti da uno sviluppo che sia rispettoso delle diversità dei popoli, della loro cultura e rispettoso del loro ambiente.

Continuare oggi la nostra ferma opposizione a questa “guerra infinita” significa innanzi tutto non cedere al “modello unico”, (per loro l’unico possibile), al suo strumento di imposizione che è questa globalizzazione che restringe, sovranità popolari, diritti universali, la divisione dei poteri, ovunque, rafforzando gli esecutivi in nome della governabilità del modello, cioè della sua imposizione pensando la sovranità dei popoli e la democrazia incompatibili con la sua efficienza e la rapidità con la quale deve essere imposto.

Significa pertanto coniugare il no alla violenza e alla guerra in ogni luogo, senza se e senza ma, con la battaglia per l’affermazione della giustizia sociale, lo sviluppo compatibile, i diritti per tutti e per un sostanziale sistema democratico fondato su di una vincolante rappresentanza politica elettorale e reale partecipazione sia per il governo del proprio paese come per gli organismi e/o istituzioni internazionali che sempre più vincolano il destino di tutti noi.

La democrazia non può essere infatti pensata ne come rappresentanza di soli governi, ne chi governa un paese con il 50 + 1 dei voti, può pesare di rappresentare il 99% di quel paese.Questo sarebbe più giusto chiamarlo democratura: il popolo è certo chiamato a votare ma chi governa può non tener conto delle maggioranze di dissenso che si esprimono, di volta in volta nel paese, oppure organismi di carattere internazionale, rappresentativi dei soli governi che li compongono, assumono decidono la sorte di interi popoli .

Abbiamo quindi bisogno di radicare le nostre battaglie fra i lavoratori e con i lavoratori, nel territorio e con il territorio, nei movimenti e con i movimenti, nel sindacato e con il sindacato, rendendo più presente ed efficace la nostra presenza e la nostra iniziativa.

Per quanto ci riguarda ciò significa guardare a questo territorio, la Brianza, alla sua realtà sociale, alle forze presenti che esprimono criticità allo stato delle cose siano esse il diritto allo studio, alla salute, al lavoro precario, alla alienazione dei servizi pubblici di assistenza e non ecc.

Non siamo privi di impegni e anche di successi, ci siamo mossi e ci stiamo muovendo:

  1. Dalle tanti iniziative sui temi della pace, alla positiva raccolta delle firme per la petizione contro i ticket di Formigoni, alle assemblee pubbliche unitamente al centro sinistra e/o da soli sui temi della sanità.
  2. L’11 maggio si apre il secondo forum sociale della Brianza, che vede coinvolte numerose associazioni, il nostro partito, i giovani comunisti la CGIL, Fiom, CISL,  DS, con il patrocinio di alcuni Comuni, con iniziative, dibattiti, una festa conclusiva il 1 giugno, il nostro Partito è promotore di due iniziative una sui temi della sanità il 16 maggio a Monza e una sui temi della mobilità Pedegronda il 24 maggio a Vimercate.
  3. Anche sul piano delle scadenze elettorali, dove siamo coinvolti, a Seveso e a Nova i nostri compagni e compagne hanno costruito programmi ed alleanze con il centro sinistra nel tentativo non solo di costituire un diverso governo locale ma anche per ridurre sempre più il cerchio del CD lombardo che governa la regione, la provincia, il nostro capoluogo, il 10 maggio a Nova comizio con il nostro segretario Bertinotti, il 22 maggio a Severo con la compagna Sentinelli.
  4. Abbiamo contribuito a costituire il Comitato per il SI Brianza sui referendum e voglio ricordare che venerdì 9 maggio assemblea pubblica alla presenza di Magni, Paolo Ferrero, prof. Fumagalli, altri comitati sono nati in alcune fabbriche come la Delchi, Beta, l’Enel a Monza, nei vari territori.

Ma siamo in una fase, come richiamavo all’inizio che ci richiede una marcia in più, di non lasciare nulla di intentato o a metà. Non possiamo rischiare cioè che tutto quanto abbiamo saputo fare finora e che quel grosso potenziale “pacifista”e “no global”,  che si è espresso nelle scorse settimane anche qui nel nostro territorio, possa essere compromesso da un nostro non adeguato e capace impegno rispetto allo scontro in atto.

SALDARE IL PACIFISMO CON LA LOTTA PER I DIRITTI. IL REFERENDUM DEL 15 GIUGNO

Pacifismo da una parte e lotta a questa globalizzazione sono in stretta relazione fra loro, ma non sono la stessa cosa.

Non è quindi ne certo ne automatico il loro necessario cortocircuito. Va provocato!

Occorre pertanto porci l’impegno di dare continuità al risultato che si è realizzato nei mesi scorsi durante l’aggressione all’Iraq.

Un risultato che ancora non è stato offuscato, forze che ancora, anche sul nostro territorio sono in campo.

L’occasione e la necessità sono oggi rappresentati dal referendum per estendere l’art.18 anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti.

La sua estensione non rappresenta certo e ovviamente tutto il programma per l’opposizione ma certamente ne è una leva per invertire la rotta perdente di questi ultimi anni, di questo ultimo decennio senza dubbio e per costruire un reale programma di alternativa sociale.

Credo che un recupero fondamentale, non scontato, visto gli accadimenti e le forze di opposizione in campo contro il referendum, sia già in corso, da parte nostra e delle altre forze che con noi hanno promosso e sostengono questa battaglia.

Siamo infatti passati da una sostanziale sottovalutazione del suo valore estrinseco, chiuso da una discussione, imposta da altri, priva di sostanziale strategia, a comprendere oggi il suo reale potenziale di scontro: cioè la rimessa al centro della politica del lavoro, dei suoi diritti e dello sviluppo.

Guardate che questo recupero che va perseguito, allargato e consolidato è fondamentale non tanto per battere i no ma soprattutto per battere le forze e le tendenze astensioniste che puntano tutto sull’inutilità del quesito quando non sul suo danno sociale.

No, non è così in ogni caso! Ma soprattutto dobbiamo far comprendere la battaglia più generale che è in campo, che riguarda l’estensione di un diritto, che viceversa rischia di diventare un privilegio per sempre meno lavoratori, (grazie anche al patto per l’Italia sottoscritto da CISL e UIL con il Governo), ma soprattutto la necessità di bloccare una china pericolosa che riguarda la dignità del lavoro di ognuno di noi data dalla sua professionalità, dalla sua remunerazione, possibilità di negoziazione collettiva che propone oggi una critica di fondo al modello economico e di sviluppo Italia, sottoscritto anche in diversi “patti concertativi ai vari livelli”, ultimo quello citato prima e al patto per lo sviluppo sottoscritto nella nostra regione.

Un modello che subordina lavoro e diritti, salute e flessibilità al mercato, un modello che vuole cancellare i contratti collettivi e punta per sua natura a patti individuali dove il lavoratore sarebbe in balia del tanto famoso “o mangi questa minestra o salti dalla finestra”.

Il si al quesito del 15 giugno è quindi un argine per tutti a questa tendenza, una leva per ripartire, tutti assieme e costruire una vera e consistente opposizione a questo governo, a un vuoto, inefficace e perdente riformismo sociale.

E’ una battaglia che dobbiamo quindi vincere! Anche per noi, per questo partito.

La sua giustezza i suoi valori non sono sufficienti per raggiungere questo risultato, nemmeno le forze in campo e le adesioni che stiamo ricevendo sono sufficienti.

Certo se domani la CGIL dovesse decidere per il si rafforzerebbe moltissimo le possibilità di raggiungere il quorum e quindi la vittoria del si.

Ma conosciamo la posizione assunta dalla segreteria dei DS, così come dobbiamo sapere che un si importante e determinante della CGIL, sarebbe un si a maggioranza che vedrebbe quindi sue sacche di resistenza per un impegno vero e all’altezza delle necessità.

Occorre quindi contare e puntare sulle forze che possiamo mettere in campo come partito e in particolare dentro i comitati che abbiamo formato per il si.

Uno sforzo straordinario significa andare oltre la tradizione dei dibattiti, in molti casi tra coloro che già sono schierati per il SI, oltre i presidi che vanno fatti nelle piazze, ai mercati, alle stazioni, agli ospedali e davanti ai luoghi di lavoro, per produrre iniziative che si rivolgano al singolo cittadino nella sua residenza, ai lavoratori delle piccole, piccolissime aziende artigianali e commerciali, non tralasciare nessuno e nessun luogo, nemmeno la bocciofila del paese.

Soprattutto occorre condurre un confronto che cerchi di conquistare il si con la ragione. Il referendum non è in contrapposizione alla proposta di legge della CGIL di allargamento dei diritti e per la quale sono state raccolte più di 5 milioni di firme, così come questa proposta di legge non annulla il quesito da noi posto nel referendum, vanno quindi evitati atteggiamenti di chiusura, di reciproca negazione o liste di proscrizione che allontanano il confronto e quindi la vittoria.

L’astensionismo indotto da forze politiche è innanzi tutto condannabile in quanto tende a negare un diritto costituzionale ai cittadini. Ciò vale sempre da qualsiasi parte politica fosse alimentato.

Credo cioè compagne e compagni che vi è in tutti noi la consapevolezza della posta in gioco, del fatto che un referendum è valido se raggiunge il quorum del 50+1 degli aventi diritto al voto e si vince se questi danno a loro volta il 50+1 dei loro consensi, quindi la comprensione e l’impegno per raggiungere tali risultati.

Una eventuale sconfitta prima che essere imputata ad altri a tutte le condizioni avverse che sappiamo esistere, dovrebbe interrogarci innanzitutto sul nostro impegno e  sulla sua efficacia.

LA NOSTRA FEDERAZIONE DEVE ESSERE POSTA ALL’ALTEZZA DI QUESTO SCONTRO RECUPERANDO COESIONE, RAFFORZANDO LA SUA DIREZIONE E GLI STRUMENTI DI LAVORO

Credo tra molti difetti di vantare un pregio che per taluni può apparire anche questo un difetto e cioè la testardaggine con la quale insisto su delle cose fintanto che non mi si dica e si provi che ciò che assieme abbiamo costruito non ha più valore. E’ stata cioè una necessità priva di reale credibilità. Mi riferisco agli obiettivi che assieme e all’unanimità abbiamo definito al nostro congresso, poco più di un anno fa. Obiettivi di rinnovamento e rafforzamento di questa Federazione.

Nessuno vuole cacciare nessuno.

Tutti assieme anche la sottoscritta che ha messo a disposizione il suo mandato con una precisa scadenza intende far venire meno il suo impegno.

Si tratta anche a fronte di dimissioni già intervenute all’interno della segreteria, del compagno Ratti, della difficoltà di nominare una compagna/compagno quale responsabile del lavoro e per il ruolo di tesoriere, ma anche del fatto che le mie dimissioni di fatto pongono in stand bay la segreteria, ci pone oggi la necessità di una impegnata conferenza di organizzazione con il compito di indagare difficoltà, reintegrare i vuoti, indicare impegni e modalità di lavoro, a fronte di sempre maggior capacità che viene richiesta al nostro Partito nella nostra Federazione (penso anche alla prossima scadenza del 2004 per l’elezioni provinciali e/o alla possibilità della costituzione della Provincia di Monza e Brianza).

In segreteria abbiamo ragionato e proponiamo, oggi, per gestire la fase referendaria soprattutto dal punto di vista organizzativo, un gruppo di compagni, con la sottoscritta, nelle persone del compagno Pulici per i rapporti nel mondo del lavoro, compagno Antonio dei giovani comunisti, Aletti di Cavenago, Luigi di Meda.

Giovanna Casati (Segretaria del PRC - Brianza)
Monza, 5 maggio 2003