A proposito dell'asse Prc-Ds

Sul Corriere vorrei spiegare

In una lettera all'«Unità» conferma il dissenso su Folli, ma anche sulla svolta ulivista
Il direttore si prepara al confronto nella direzione del 18 giugno.
Il dissenso è sul «Corriere della Sera» ma soprattutto sull'accordo Bertinotti-D'Alema

Caro direttore,
sulla vicenda del Corriere della Sera abbiamo discusso apertamente a Liberazione e la discussione ha contribuito a rendere possibile un giudizio più equilibrato da parte di tutti.
Io ho sempre evitato nelle mie argomentazioni di usare su Folli espressioni che potessero suonare «sprezzanti», considerandolo come tutti un buon notista politico che ha fatto dell’equilibrio la cifra connotativa delle sue apprezzate analisi. E lo stesso segretario Bertinotti ha detto che l’accantonamento di De Bortoli non era un normale avvicendamento, ma il risultato di un attacco di Berlusconi al fine di conquistare quel giornale. Possiamo, poi, entrambi convenire che quell’attacco è riuscito solo a metà.
Sono però emerse, al di là di questo, due questioni politiche serie.

1. L’operazione su larga scala per il controllo diretto o indiretto dell’intero sistema informativo da parte del governo.

La prima riguarda il merito di ciò che è avvenuto e di ciò che potrebbe ancora avvenire. Il giudizio su De Bortoli e su Folli passa in secondo piano se lo si inserisce in un contesto, che è quello di un’operazione su larga scala per il controllo diretto o indiretto dell’intero sistema informativo da parte di un governo che trovandosi in difficoltà accentua il proprio profilo autoritario. Un’operazione che, partendo dal pieno controllo di Mediaset, sta devastando e subordinando il servizio pubblico televisivo, investe anche il poco che era rimasto fuori dal duopolio aziendale ridotto a monopolio politico (vedi La7 e la Sky di Murdoch) e si è sviluppata anche nella stampa quotidiana, ma per Berlusconi in misura ancora insufficiente: c’è l’opposizione di Repubblica, concentrata vivacemente su certi temi, e quella de l’Unità, a parte ovviamente la critica «militante» di Liberazione e del Manifesto. E si sono manifestate «falle» anche nel Corsera, i cui relativi margini di indipendenza sono sempre stati malsopportati dai diversi governi; ma che di recente ha avuto imperdonabili audacie su due temi decisivi: quello della guerra e quello del processo Previti. Berlusconi aveva già in passato tentato di prevenirle con modifiche dell’assetto proprietario (attraverso l’entrata di Ligresti), scontrandosi con un fronte di azionisti che le avevano respinte. Successivamente però, di fronte ai nuovi sgarbi e dopo il ricambio alla Fiat, e a seguito del complessivo indebolimento delle componenti proprietarie del più importante quotidiano italiano, Berlusconi è tornato all’attacco. Risultato: non una conquista immediata e clamorosa, ma un compromesso con l’attuale proprietà, anche attraverso la mediazione non troppo occulta del Quirinale. In sé, la sostituzione di De Bortoli con Folli non liquida linea e autonomia (relativa) del giornale, ma sancisce che, oltre determinati limiti, non si può andare. E questo non è tutto, forse non è neppure la cosa essenziale. Aperta la via alla logica del compromesso, non solo è già in vista la riproposizione dell’ingresso di Ligresti o di chi per lui (anche questo potrebbe apparire un piccolo passo), ma è ormai in dirittura di arrivo la legge-Gasparri che liquida il solo elemento effettivo di antitrust rimasto nel campo dell’informazione: la distinzione netta fra la proprietà diretta delle televisioni e quella dei grandi giornali.
A quel punto anche una presenza non appariscente nel Corsera avrà dietro di sé un’armata potentissima, cioè l’uso (e l’abuso) della raccolta pubblicitaria da parte di chi vi esercita un soverchiante controllo. Perciò non mi convince una risposta agli interrogativi sugli aspetti proprietari di via Solferino all’insegna del «Vedremo». Qui, oltre che vedere, occorre prevedere. Sapete che a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si indovina. Una pressione su questo fronte dello spostamento di pubblicità, da cui i giornali sempre più dipendono, è già in atto in modo corposo e non c’è rispettabilità professionale individuale che potrebbe resistervi. Ecco la ragione di fondo del mio allarme per una questione che è, ripeto, di libertà.

2. Bisogna sottolineare meglio la pericolosità del berlusconismo sul piano democratico.

La seconda questione è più generale e direttamente politica. Sia Rina Gagliardi che Ritanna Armeni hanno rimproverato al giornale, ossia al suo direttore, una deviazione settaria che impedisce di vedere come anche tra chi non la pensa come noi ci sono da fare delle distinzioni; un settarismo che equipara tutti a Berlusconi e nasce da una ossessione antiberlusconiana. Tale rimprovero mi ha ferito, anzitutto perché altera e rovescia la verità dei fatti. In redazione o fra il giornale e il vertice del partito ci sono stati nell’ultimo anno momenti di dissenso, ma in questi dissensi io mi sono sempre trovato, a torto o a ragione, tra quelli che sempre cercavano di sottolineare la differenza fra avversari, fra gli alleati, fra le forze incerte. Questo è avvenuto nel giudizio sul congresso della Cgil, in quello sui Girotondi nascenti, in quello su Cofferati e sulla sinistra Ds, prima del recente arretramento.
Tra queste distinzioni, per venire al merito, a me è sembrato di fondamentale importanza quella fra il centro-sinistra (che pure converge spesso con Berlusconi su questioni di fondo o gli ha aperto prima la strada) e il centro-destra italiano che, come dice Bertinotti, non è un’anomalia, ma ha comunque una pericolosità specifica - sul terreno della legalità democratica - se non rispetto a Bush, certo rispetto ad altre forze conservatrici europee. Credo che abbiamo nel complesso sottolineato troppo poco tale elemento che invece fra la gente, anche quella che era in piazza con noi con parole d'ordine avanzate, è molto avvertibile. La stessa analisi radicale dei conflitti in atto, la stessa analisi di classe del neo-liberismo non esclude ma al contrario esige che si proceda con coerenza, nella concretezza della vita sociale e politica, alla denuncia sistematica e puntuale - come giornale politico ma anche come partito - delle azioni messe in campo e degli agenti del neo-liberismo E cioè, qui ed ora, del berlusconismo. Del resto il vigore della lotta democratica non oscura, ma anzi aiuta altri e più radicali movimenti di lotta, i quali, e lo vediamo, hanno oggi estremo bisogno di un sostegno più ampio e variegato. Ecco perché nella vicenda del Corriere, come in quella della giustizia, mi pareva giusto sollevare ripetutamente l’allarme.

3. Il risultato elettorale e le prospettive politiche.

Concludendo, una questione di fondo. Negli ultimi mesi, e in particolare dopo le recenti elezioni amministrative, il segretario Bertinotti ha assunto posizioni nuove e coraggiose sul tema fondamentale della prospettiva politica. Sintetizzabili nella formula «oltre la desistenza, un serio accordo di governo senza rotture preventive».
Avrei preferito che il giornale fosse messo a parte di tale novità e avesse potuto prepararla e accompagnarla. Ma l'obiettivo mi pare senz’altro giusto. Anche se quanto mai difficile, perché:

  1. il risultato elettorale complessivo rende più plausibile una vittoria dell’opposizione, ma le maggiori forze politiche che la rappresentano si sono ulteriormente spostate in una direzione che non converge con noi;
  2. hanno ridotto il dissenso al loro interno;
  3. alcuni settori del movimento incontrano ostacoli;
  4. la nostra forza contrattuale come partito non è aumentata.

Perciò ritengo più importante che mai l’esito del referendum. Al di là di esso è comunque necessario dare a questa nostra proposta credibilità politica e precisione programmatica perché non venga recepita come una manovra di convenienza e perda così gran parte della sua efficacia. Occorre dunque non sprecare ancora tempo ed energie - dopo esserci chiariti sulla faccenda del Corsera - e avviare una discussione ben più impegnativa e tutt’altro che semplice. Ad esempio sul perché, dopo aver previsto e aiutato movimenti tanto ampi e radicali, non li abbiamo intercettati nel voto (e questa volta senza una crescita dell’astensionismo e senza il ricatto del voto utile).
E ancora di più su quali siano le discriminanti minime, ma essenziali, per un «accordo di governo», e quali processi politici possono renderlo possibile.
Se tutto ciò è essenziale per il partito, lo è altrettanto e ancora di più per un giornale che ogni giorno deve misurare una politica con i fatti e renderla credibile e comprensibile alla gente semplice, anche a coloro che, su un versante o sull'altro, non sono disposti a darci deleghe in bianco, né possono considerare sufficiente la pur giusta esigenza di conservare e incrementare la nostra forza o la nostra presenza istituzionale.

Sandro Curzi (Direttore di «Liberazione»)
Roma, 6 giugno 2003
da "L'Unità"