Il fondatore di "Prima linea" dà torto ai disobbedienti sul complotto. "Infiltrato il sindacalismo di base"

Segio: “Le Brigate rosse
sono dentro il Movimento”

“La sinistra non vuol vedere, rinvia
un dibattito politico in ritardo di 20 anni”

Sergio Segio è stato tra i fondatori di "Prima Linea". Ha scontato 22 anni di carcere. Ha ucciso. Dice: "Proprio perché ho ucciso, ho intenzione di dire oggi da libero quello che dicevo ieri da prigioniero dissociato e non pentito. La storia si ripete con le sue antiche miopie. E nessuno, per convenienza e conformismo, ha il coraggio di scandire una semplice verità...".

Quale verità?

"Proverò ad argomentarla, ma intanto la dico brutale, per quella che è. Le Brigate rosse, sebbene ne siano componente ultra-minoritaria, sono e coabitano nel Movimento, hanno infiltrato il sindacalismo di base. Sono interne ai loro luoghi, alle loro sedi, al loro dibattito politico. E non sono affatto "nuove". Sono la fotografia di un passaggio di testimone tra generazioni nell'assoluta continuità di una matrice ideologica che non ha rifiutato il concetto di violenza politica, ma la conserva come opzione concreta, se non assoluta".

E nessuno se n'è accorto di questa verità?

"Nessuno vuole vederla. Perché farlo significa rinunciare a un paio di comodi luoghi comuni. Utili alla sinistra per rinviare sine die un dibattito politico in ritardo di vent'anni, per continuare a dichiarare la scelta brigatista politicamente estranea alla propria storia, al proprio dna. Cosa, questa, semplicemente non vera. Conosco questi "tic". E non dimentico quel che il Pci e il sindacato dicevano di noi e delle Brigate rosse. "Sedicenti rosse". Fu un tragico errore che, fatte le debite proporzioni, vedo ripetersi".

Cosa le fa dire che le Brigate rosse sono infiltrate nel sindacalismo di base e vivono nel movimento?

"Quello che leggo, ascolto, osservo. Da anni, lavoro nel volontariato, dentro e accanto al Movimento. Mi sobbarco con pazienza e interesse la lettura di documenti politici, la quotidiana consultazione di siti internet. Bene, cosa scopriamo se diamo uno sguardo alle biografie di Laura Proietti e Roberto Morandi, due degli ultimi arrestati per l'omicidio D'Antona? Fatta la doverosa e non formale premessa che riguarda la loro presunzione di innocenza, scopriamo che le loro storie politiche sono il calco di battaglie e parole d'ordine patrimonio del sindacalismo di base e del Movimento: dalla lotta per la casa, a quella contro il lavoro interinale. Solo degli sciocchi o degli ipocriti possono ignorare questa perfetta sovrapposizione. O che un centro sociale come il Blitz di Roma diventi contemporaneamente luogo del Movimento, ma anche di reclutamento".

E' un ragionamento. Condivisibile o meno, ma resta un ragionamento. I fatti dove sono?

"Mi limito a citare un episodio di cui sono stato testimone oculare. Nel marzo scorso, a Milano, ho partecipato ad un'imponente manifestazione contro la guerra in Iraq. In piazza c'era il Movimento, ma anche il sindacato e i partiti della sinistra. Bene, ad un certo punto, arrivata in piazza Duomo, la coda del corteo si separa. E sui muri dell'Arcivescovado, una mano non clandestina, non travisata, non coperta dall'anonimato della notte, si stacca dalla folla e scrive: "Galesi spara ancora!". Molti hanno visto quel gesto. Nessuno ha ritenuto di doverlo stigmatizzare".

La spaventa la solidarietà?

"Mi spaventa questo tipo di solidarietà. Ho trascorso abbastanza tempo in carcere, ho vissuto e inflitto lutti, per capire e provare a spiegare che esiste una differenza sostanziale tra la solidarietà umana e quella politica. Un morto, chiunque esso sia, merita solidarietà e rispetto umano. Sempre. Come la merita chi è in carcere. Ma comincio a preoccuparmi, quando mi accorgo che, nel vuoto di solidarietà umana, si fa strada solo la solidarietà politica. Che è altra cosa, evidentemente. Guardate quel che è accaduto a Galesi. Non un'anima si è fatta viva per dargli sepoltura. Ma mani ignote, che ignote non sono, si sono affacciate per solidarizzare con la sua scelta armata".

Dunque hanno torto Luca Casarini e i "disobbedienti" quando parlano di complotto.

"Non solo hanno torto, ma commettono, spero e ritengo in buona fede, un grave errore. Luca e gli altri sanno bene che il Movimento, l'intero Movimento, in tutte le sue componenti, è contemporaneamente vittima ma anche opzione della violenza brigatista, perché possibile bacino di reclutamento. Non aprire su questo una dura battaglia politica che affermi l'impraticabilità e il carattere eticamente e storicamente inaccettabile della lotta armata, significa o non comprendere la delicatezza del passaggio che stiamo vivendo o non saperlo dire. Il che, politicamente, è la stessa e identica cosa".

La sinistra, i dissobbedienti di Luca Casarini, chi manca nel suo album di famiglia dei politicamente responsabili?

"L'ex dirigenza brigatista. E' incredibile che io debba leggere in un'intervista alla Stampa, Alberto Franceschini, per altro l'unico con il coraggio di esporsi, liquidare il problema delle Br di oggi, con la battuta "Sono una banda di serial killer". E' la conferma di una superficialità di analisi buona a sostenere il secondo dei luoghi comuni cui accennavo e che vorrebbe "nuove" queste Brigate rosse".

Non lo sono?

"Non lo sono affatto. Il testimone della lotta armata è passato da una generazione all'altra anche grazie al silenzio della ex leadership brigatista. E non parlo evidentemente della scelta del legittimo silenzio di fronte ai giudici. Ma del silenzio politico che, all'inizio degli anni '80, quando ancora si era in tempo, ha accompagnato la fine apparente di una stagione. Non lo dico per maramaldeggiare, ma quasi nessuno di coloro che le Br fondarono e nelle Br militarono ha avuto il coraggio di denunciare la fine dell'opzione eversiva armata e la doppia morale che la accompagnava. E guardiamo gli esiti. Guardiamo la storia di Marco Mezzasalma. Lando Conti fu ucciso dalle Br perché "colpevole" di detenere una modesta quota azionaria di un'azienda di armamenti militari. Mezzasalma lavorava come ingegnere in una società di quel genere. Dice nulla? Dice nulla l'ultimo documento br ritrovato a Gorizia in cui si annuncia la riorganizzazione della seconda componente della lotta armata, il partito guerriglia?".

Cosa dovrebbe suggerire?

"Che le lancette del tempo sono tornate all'81. Perché da lì non ci si è mai mossi. Perché i nodi teorici, propri della sinistra, della presa del potere e della violenza politica, non sono stati sciolti. La posso dire anche così: la parola d'ordine "Guerra alla Guerra" del documento di rivendicazione D'Antona è il titolo polveroso di un pamphlet socialista del secolo scorso".

Carlo Bonini
Milano, 31 ottobre 2003
da "La Repubblica"