L'Unione, le primarie, il governo, i DS

Una grande offensiva in autunno per far cadere governo e legislatura

Intervista a Fausto Bertinotti

Ricomincia la stagione. E ricomincia con l'idea che questo potrebbe essere l'ultimo autunno di Berlusconi, sia come presidente del Consiglio sia come fenomeno politico. Il centrosinistra, in tutte le sue componenti, si sta più o meno attrezzando a fare in modo che questa idea si trasformi in realtà, avendo però al proprio interno idee piuttosto eterogenee su come battere l'avversario e su come governare poi. Fausto Bertinotti, che di questo centrosinistra ribattezzato Unione, è indubbiamente uno dei protagonisti, pensa che «la crisi sociale del nostro paese sia così drammatica e così profonda da rischiare di configurare una crisi di civiltà».

E di fronte a una situazione del genere cosa dovrebbe fare la politica, in particolare il centrosinistra?

«Intanto lo deve capire, prenderne atto, rendersi conto della gravità della situazione, discuterne apertamente. Mandare una ricevuta di ritorno, trasmettere l'idea che non viviamo in una torre d'avorio. E immediatamente dopo rispondere mettendo in campo una durissima battaglia contro la Finanziaria e i provvedimenti che la accompagneranno. Penso una grande stagione di lotte, magari anche allo sciopero generale se i sindacati lo riterranno. Tentando di far esplodere le contraddizioni che esistono nell'attuale maggioranza. Fino a provocare, se ci riusciamo, la crisi del governo Berlusconi e la fine anticipata della legislatura».

Lei sostiene che nell'Unione non c'è consapevolezza della situazione, però tutti parlano della crisi economica e sociale.

«Siamo tutti in grado di fare una fotografia statica, è evidente che il Paese è più povero, meno gente è andata in ferie e chi ci è andato ne ha fatte di meno. Vediamo che il potere d'acquisto è drasticamente diminuito. Ma forse quel che non tutti vedono è la disperazione. Cioè il fatto che la crisi non viene percepita da chi la subisce come una flessione ordinaria e passeggera, ma come una via di non ritorno. Non c'è più l'attesa di un cambiamento, di una ripresa. E questo non solo accentua il distacco tra la società e la politica, considerata incapace di dare risposte all'altezza della situazione. Ma sta provocando uno sfaldamento della società stessa e della sua coesione».

E come si fa a mettersi a quell'altezza?

«Per esempio, guardando agli immigrati. Sono loro i primi a subire la crisi, perché i più deboli, perché spinti in fondo da una legge come la Bossi-Fini, perché al centro di un'offensiva culturale della destra che li addita come capri espiatori (penso al presidente Pera). Il monumento di tutto questo è il rogo di Parigi, che non a caso diventa oggetto di discussione in tutta la Francia. Bisogna che anche noi ci chiediamo cosa sta succedendo: questa è la domanda mancata dalla politica».

Da tutta la politica, anche della sinistra?

«Sì, perché la sinistra è ancora troppo presa da un elemento necessario (la contestazione di Berlusconi e l'organizzazione del consenso per sconfiggerlo). E perché le sue componenti riformiste, in nome dell'uscita dall'ideologia, hanno smesso di indagare la condizione di classe e sociale del Paese. Invece questa analisi deve diventare centrale. E' l'unica che ci consente di aprire un discorso sul futuro e di proporre una Grande Riforma, profonda e radicale».

In una parte dell'Unione però si pensa a tutt'altro: politiche moderate, neocentrismo, convergenze tra una parte e l'altra dei due poli.

«Basterebbe l'analisi appena svolta per mettere fuori gioco qualsiasi idea neocentrista o moderata. Il disastro che abbiamo di fronte è certamente l'effetto del fallimento del governo Berlusconi. Ma, se alziamo lo sguardo in Europa, ci accorgiamo che è il risultato anche delle convergenze al centro. In due parole del liberismo temperato, ben spiegato da Mario Monti nell'intervista alla Stampa e ribadito ieri sul Corriere della sera con tutta l'onestà intellettuale che lo contraddistingue. Ma io penso esattamente il contrario, cioè che proprio la convergenza al centro delle politiche economiche e sociali ha portato la sinistra alla sconfitta».

Invece la sinistra, anzi tutto il centrosinistra, cosa dovrebbe fare per vincere e poi governare?

«Chiedere (e poi decidere) la sospensione degli aumenti di tutte le tariffe, intervenire sulla grande distribuzione per ottenere la riduzione dei prezzi, adeguare salari, stipendi e pensioni al costo della vita. Se siamo in una situazione eccezionale, anche le risposte devono essere eccezionali».

E le rendite, ormai tutti parlano di tassarle...

«Ma nessuno lo fa. Invece noi dobbiamo essere in grado oggi di indicare quali misure dovrebbe prendere il governo (e dovremo prendere noi) per tassare le rendite, tutte le rendite. Patrimoniali, finanziarie, immobiliari. Questo deve essere un punto centrale del programma dell'Unione».

Così però Bertinotti terrorizza il ceto medio: aumenterete le tasse?

«Io veramente vorrei abbassare le tasse del ceto medio, per esempio abolendo l'Ici sulla prima casa e tassando magari la terza, la quarta e la quinta, in maniera progressiva. Penso a una redistribuzione del reddito, dalle rendite ai salari, passando per i prezzi e le tariffe».

E' per far pesare tutto questo che si è candidato alle primarie?

«Ovviamente sì, anche se non sarà tanto il mio risultato personale a determinare uno spostamento a sinistra dell'Unione. Ma le primarie in se stesse, ossia la partecipazione. Solo se facciamo irrompere nella politica la crisi sociale, possiamo adeguare le nostre risposte. Fatte le debite proporzioni, le primarie possono rappresentare per la sinistra italiana quel che ha rappresentato il referendum sulla Costituzione europea per quella francese. Che si sta rimettendo profondamente in discussione, spostandosi a sinistra come dimostra la discussione nel Partito socialista».

In Italia significa che grazie alle primarie i Ds si sposteranno a sinistra?

«Loro e non solo loro. Penso anche alla Margherita, dove vivono sensibilità sulle questioni sociali. Non voglio vedere la politica come immobile, altrimenti sarebbe la sua morte. Se un ex premier socialista e riformista come Fabius dice che la politica che fece il suo governo non è ripetibile, e aggiunge pure che tra Sarkozy e Bové l'interlocutore della sinistra è il secondo, vuol dire che qualcosa è successo. Penso che questo qualcosa abbia già investito i Ds e tutta l'Unione. Le primarie sono l'occasione per metterlo in piazza. Come se l'Unione fosse un albero che bisogna scuotere per raccoglierne i frutti».

Riccardo Barenghi
Roma, 29 Agosto 2005
da "La Stampa"