UNA VIA LOMBARDA ALL’IMBROGLIO DELLA DEVOLUTION?

Altro che regionalismo differenziato!

RIFONDAZIONE NON CI STA E CHIEDE FERMEZZA ALL’UNIONE

Ezio Locatelli

Dalla cosiddetta “devolution” al “modello autonomistico” per alcune regioni del Nord. Al di là del mutamento d’approccio indotto dalla bocciatura referendaria della riforma costituzionale della destra, verrebbe da dire che niente di nuovo è sotto il sole. Roberto Formigoni e il suo collega Giancarlo Galan chiedono “forme e condizioni particolari di autonomia” rispettivamente per Lombardia e Veneto riproponendo il medesimo obbiettivo di sempre, quello di governare con mani libere o in altre parole di differenziare a proprio favore gli interventi pubblici e privati in alcune grandi materie, scuola e sanità ma anche infrastrutture ed energia. Richiesta perentoria quella dei due governatori che rilanciano: in questo mese, all’apertura della trattativa nei confronti del governo nazionale o ci saranno segnali positivi oppure ci saranno “risposte destabilizzanti”.

La nuova strategia è apertamente sostenuta da Bossi e Berlusconi che hanno il problema di tenersi insieme e di trovare una via d’uscita dalla batosta referendaria. Fin qui tutto chiaro. Lo è di meno la decisione di Ds e Margherita della Lombardia di sottoscrivere in Consiglio regionale insieme a tutto il centrodestra, a fine luglio, un Ordine del giorno il cui risultato è sostanzialmente di avvalorare questa operazione. Il documento non solo assomiglia molto ad una sintesi del programma della Cdl, ma ha un’ispirazione di fondo. Alle aree produttive e ai territori dove è concentrata la ricchezza, dove ci sono maggiori opportunità va riconosciuto il diritto di autogovernarsi con un modello proprio, il federalismo fai da te, per garantirsi una preminenza economica. Per dirla con Kenichi Ohmae, uno dei massimi fautori della necessità di statuti speciali per le regioni forti, la Lombardia deve costituirsi come “unità di business naturale”.

Fosse un incidente di percorso, questa decisione dei due partiti dell’Ulivo - peraltro contrastata all’interno dell’Ulivo stesso - sarebbe il male minore. Invece ciò che rischia di venire avanti è un’opzione politica derivante da una sorta di resa culturale, la presa d’atto che almeno per quanto riguarda alcune regioni del Nord non c’è storia per la sinistra. Si può vincere e governare a condizione di gareggiare con la destra sul suo terreno, quello della competitività dei territori, della questione settentrionale nella nuova versione del “regionalismo differenziato”, questione identificata in tutto e per tutto con interessi di natura economica e privatistica. Intorno a questi interessi (grandi opere, privatizzazioni, multiutility, fondazioni, ecc.) si sviluppano le nuove convergenze politiche che tendono a governare una comunità alla stregua di una grande azienda. Prendete il famoso o. d. g. di luglio e ciò che balza agli occhi è l’assenza completa di fondamento e progetto sociale, nessun cenno ai temi del lavoro, dell’ambiente, ai temi sociali, della qualità dello sviluppo. E poi basta con questa litania in chiave egoistica delle risorse che devono rimanere al Nord. Si faccia qualcosa per recuperare livelli d’evasione fiscale che in Lombardia sono da primato europeo.

Inseguire valori e interessi propri della destra, oltretutto proprio nel momento di sua massima crisi, pensando per questa via di ottenere chissà quali risultati è uno sbaglio madornale. L’unico risultato è di ingenerare confusione e di non cogliere le manifestazioni di disagio, l’espressione di bisogni sociali, le domande di rappresentanza che nascono dal fallimento di un modello.

Formigoni quando parla della Lombardia quale locomotiva d’Europa ci racconta di una storia che non c’è più. Le politiche neoliberiste, di dereguletion portate avanti in questi anni non hanno risolto problemi di crescita, anzi hanno reso più precario e diseguale tutto il sistema lombardo, economia compresa, e portato ad uno scadimento sotto il profilo dei beni e dei servizi collettivi. La conseguenza è di una politica che comincia a scricchiolare visibilmente, sul piano dei risultati e del consenso, anche nelle roccaforti del centrodestra.

A fronte di questa situazione se un problema si pone questo è il rilancio a pieno titolo del programma dell’Unione, il che significa praticare fino in fondo una prospettiva di discontinuità con le forze politiche del centrodestra. Altro che regionalismo differenziato. Il problema è di un rinnovato modello istituzionale e sociale che faccia delle autonomie locali, ma soprattutto dell’equità sociale e di una nuova qualità dello sviluppo la chiave di volta per uscire dalla crisi in atto.

Ezio Locatelli (segretario regionale PRC della Lombardia)
Milano, 17 settembre 2006
da "Liberazione"