Finanziaria 2007

Il Tfr, la famiglia in “default” e la crisi del sindacato

Partendo dalla condizione di chi aveva tutti i titoli per rivendicare una finanziaria più favorevole per i lavoratori, i confederali si sono trovati in posizione difensiva di fronte a una Confindustria che pretende e ottiene ancora di più

Il prevedibile successo della Confindustria sul Tfr, con un accordo che soddisfa imprenditori e governo e taglia fuori i legittimi proprietari delle liquidazioni, quei lavoratori che non hanno potuto decidere nulla, pone un altro tassello nella crisi del sindacato confederale. Il quale, tanto più cresce in immagine, tanto meno consegue risultati concreti per i suoi rappresentati. Se ne è accorto anche un giornale paladino della concertazione quale La Repubblica. Il suo vicedirettore, Massimo Giannini, ha scritto che la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è sostanzialmente scomparsa e che Cgil, Cisl, Uil, paiono in preda a una sorta di spirito di autodistruzione. Sulla sparizione del “cuneo” aveva già titolato Il Manifesto. Infatti, mentre alle imprese il cuneo fiscale, cioè la riduzione di tre punti del costo del lavoro, viene data in aggiunta a tutto il resto, per i lavoratori dipendenti la riforma fiscale è comprensiva di tutto. Così la quota di riduzione del cuneo che spettava al lavoro dipendente, viene distribuita tra tutti i cittadini, compreso quel lavoro autonomo di cui la gran parte denuncia guadagni inferiori a quelli di un metalmeccanico. Intanto le imprese si godono in esclusiva la loro parte. A questo si aggiunge poi la non restituzione del drenaggio fiscale, che riduce la busta paga in proporzione all’inflazione e l’aumento delle tasse sulla liquidazione.

Vuoi perché più disponibili, come Cisl e Uil, a una linea concertativa, vuoi perché afflitti, come accade in Cgil, dalla sindrome del governo amico, fatto sta che il sindacalismo confederale ha subito un singolare rovesciamento di ruolo. Partendo dalla condizione di chi aveva tutti i titoli per rivendicare una finanziaria più favorevole ai lavoratori, il sindacato confederale si è trovato nella posizione di chi si deve difendere di fronte a una Confindustria che, avendo ottenuto moltissimo, pretende e ottiene ancora di più.

I lavoratori e i pensionati da creditori sono così diventati debitori e già c’è chi si prepara ad esigere ulteriori sacrifici su pensioni, contratti e flessibilità. Questo piccolo capolavoro di autolesionismo è sicuramente frutto di errori del gruppo dirigente di Cgil, Cisl e Uil. Ma a me pare che esso abbia anche un’altra ragione, più di fondo.

Forse non è chiaro ancora cosa sta succedendo nella società italiana dal punto di vista delle ricchezze e dei redditi. Un tecnico metalmeccanico, che oggi guadagna 35 mila euro lordi all’anno, non corrisponde certo al vecchio ceto medio. Egli fa parte della fascia superiore di un lavoro dipendente che è stato brutalmente impoverito da fenomeni profondi.
Dall’euro innanzitutto, che nel potere d’acquisto degli stipendi si cambia con mille e non con duemila lire. Due milioni del vecchio conio, che solo pochi anni fa costituivano un buon obiettivo per gli operai delle catene di montaggio, tradotti in mille euro sono un salario da fame.
Mandare i figli alla scuola superiore o all’università abbatte il reddito delle famiglie fino a livelli che i ritocchi delle aliquote non vedono neanche. Il mutuo per la casa, che le decisioni sui tassi della banca europea fanno aumentare in continuazione, oggi incide per un quarto o addirittura un terzo del reddito familiare. Per non parlare poi degli affitti. Se si vuole avere una visita medica veloce, bisogna pagare e ben oltre i pur pesanti ticket. E non parliamo naturalmente degli spettacoli o di divertimenti vari, che la famiglia media da tempo ha ridimensionato.

E basta poco perché le cose precipitino. C’è un fenomeno che si sta diffondendo negli Stati Uniti e che, come sempre, purtroppo sta arrivando da noi. Quello della famiglia “media” il cui bilancio va in “default”. Come un’azienda che improvvisamente non è più solvibile, la famiglia che deve pagare rette universitarie, mutui, rate per l’automobile, improvvisamente può avere una contrazione di reddito. Può essere una cassa integrazione, o un affare sbagliato o una spesa sanitaria imprevista. Ecco allora che questa famiglia non riesce più a far fronte ai suoi debiti. Negli Stati Uniti ci sono società finanziarie, che oggi sbarcano in Italia, che vanno alla ricerca delle famiglie in “default” per raccoglierne i debiti e guadagnarci su. E’ la precarietà che dilaga in tutte le fasce e le condizioni del mondo del lavoro.

La finanziaria, invece, pare mirata a un modello di società che è quello descritto dalla sociologia degli anni Ottanta. Allora si parlava di società dei due terzi, con un terzo delle persone che impoveriscono e due terzi che migliorano le loro condizioni. Con l’ondata liberista questo schema, peraltro mai vero fino in fondo, è stato esattamente rovesciato. Oggi sono i due terzi della società che si impoveriscono, mentre come ci ricorda anche Liberazione, crescono le ricchezze sfacciate di manager, imprenditori, finanzieri. E’ un fenomeno questo di tutte le società occidentali, chiamato proprio impoverimento del ceto medio. La crisi della quarta settimana tocca sempre di più anche tecnici, operai qualificati, professori di scuola media, piccolo lavoro autonomo. Tutti costoro, che si stanno già impoverendo, dalla finanziaria o non ricevono nulla o ricevono botte. Un quotidiano come La Repubblica, che di questo ceto medio, in maggioranza progressista, è quasi l’organo, evidentemente si accorge di questa crisi, che si traduce anche in caduta di consenso politico.

Una volta sarebbe stato proprio il sindacato a farsi interprete di questo stato di cose. Invece oggi questo non avviene perché, come dimostra anche la vicenda del Tfr, Cgil, Cisl e Uil non consultano più, non fanno più partecipare, i lavoratori alle loro decisioni. Il sindacato agisce per i lavoratori ma non da e con i lavoratori. E così può non accorgersi del dissenso e del profondo malessere che c’è nei luoghi di lavoro. L’assorbimento del sindacato nella sfera della politica fa sì che esso riduca il suo ruolo fondamentale: quello di far pesare l’immediatezza della questione sociale nella sfera delle istituzioni. Chi, se non il sindacato confederale, dovrebbe avvisare il governo quando sta sbagliando? Chi, se non Cgil, Cisl, Uil, dovrebbero far capire al centrosinistra che corre il rischio di frantumare, anziché di rafforzare il blocco sociale alternativo a quello della destra?

Il grande attore Petrolini, tanti decenni fa, veniva contestato da uno spettatore. A un certo punto, non potendone più, interruppe la recita e disse: “io non ce l’ho con te, ma con quello di fianco a te che non ti butta di sotto”. Il centrosinistra ha molti limiti, ma forse il più grave è quello di subire solo gli attacchi dei poteri forti e delle agenzie di rating e non la pressione e la contestazione da parte dei grandi sindacati. Se questa ci fosse le cose andrebbero meglio per i lavoratori, e magari anche per il governo.

Giorgio Cremaschi
Roma, 21 ottobre 2006
da "Liberazione"