Caso Biagi, mai in nessun paese civile un ministro dell'Interno ha definito «rompicoglioni» una vittima del terrorismo.

L'albero di Giuda

Al Viminale la lotta per la probabile successione di Scajola

Al Viminale si respira aria di attesa: è atteso l'arrivo del nuovo ministro, il cavaliere Silvio Berlusconi. Di fatto il presidente del Consiglio, come ha scritto il Corriere della sera, ha preso un altro interim, tanto è evidente che Scajola, oramai, è un ministro dimezzato.

Non è successo mai in nessun paese civile che un ministro dell'Interno abbia definito «rompicoglioni» una vittima del terrorismo.

Bisognava sentire i commenti ieri mattina alla questura di Roma, specie negli uffici della Digos. «Come si fa ad avere un ministro dell'Interno così. Ognuno di noi può essere ammazzato in qualsiasi momento dalle Br o di qualche altra banda. Ci faranno questo epitaffio: è morto un coglione». Qualcuno ricordava un altra vittima delle Br, il commissario Antonio Ammaturo, ammazzato nel 1982 a Napoli dalle Br. Il ventennio della morte del commissario è stato commemorato il 22 giugno dal municipio di Contrada, suo paese natale, vicino Avellino: c'erano Mancino, Violante e le autorità locali di polizia: dal Viminale non c'è andato nessuno. «E sapete perché? - spiegava una poliziotta ai colleghi - Perché anche lui era considerato dalle "grandi pance" un rompicoglioni, uno che aveva cercato di scoprire la verità sui patteggiamenti tra apparti della sicurezza, camorra e Br nel caso Cirillo». Un altro agente diceva: «Questa volta dovrebbe intervenire Ciampi».

Il presidente della Repubblica ha mandato una lettera alla famiglia Biagi, ma sul ministro non ha detto niente. Commento di un commissario in servizio alla "mobile": «Il morale della Ps è sottoterra».

Scajola può continuare a farsi portare ogni mattina da un'auto della Ps al Viminale: non per comandare, ma per starci.

Gli ordini li dà il cavaliere Silvio Berlusconi. Può darsi che il, presidente del Consiglio, prendendo esempio da come si comportò Andreotti col ministro della Difesa Lattanzio, dopo la fuga di Kappler dall'ospedale militare del Celio, si tenga ancora Scajola per qualche mese come ministro dell'Interno. Il ministro per i servizi segreti Frattini (Forza Italia) e il sottosegretario all'Interno Mantovano (An) da due giorni si stanno sbracciando verso Berlusconi per indicargli che sono pronti ad occupare la più alta poltrona del Viminale. Scajola come ministro dell'Interno ha avuto sempre vita difficile con Alleanza nazionale e con alcuni esponenti di Forza Italia: Dell'Utri, Taormina, Frattini, Martino. Si è reso conto a Genova e poi, dopo l'11 settembre, che la politica della sicurezza gli sfuggiva di mano, che i servizi di sicurezza e gli apparati militari giocavano una loro partita tutta puntata sull'allarmismo per alzare alla temperatura dell'ordine pubblico. All'Interno dello stesso Viminale ha dovuto scontrarsi con un avversario spinoso come il sottosegretario Taormina, che voleva mantenere due facce: quella dell'uomo che governa la polizia e quella dell'avvocato che difende i boss arrestati dalla polizia. In quel caso e anche nei tesi rapporti col ministro della Difesa abbiamo visto Scajola presentarsi nei panni di affidabile uomo delle istituzioni, con i difetti tipici del vecchio ministri dell'interno democristiani: il centralismo e la vocazione a fidarsi solo dei prefetti come instrumentum regni. Quando non ha potuto rinunciare, come gerarca di Forza Italia, a brandire un piglio decisionista, ha combinato disastri. La sua direttiva sulla riduzione delle scorte è la madre di tutta la sciagurata vicenda della mancata protezione a Biagi.

Con quella circolare ha deresponsabilizzato di fatto tutti gli organismi che dovevano occuparsi del delicatissimo problema delle scorte. Dopo l'omicidio Biagi lui stesso è stato costretto ad assolverli tutti. Non poteva fare altro per autoassolversi. Non sappiamo se abbia avuto mai sentore degli appelli disperati rivolti dal professore al ministro del Lavoro, al presidente della Camera ad autorità di polizia, ad amici influenti. Non è chiaro neppure il comportamento di Maroni. Se era veramente preoccupato dalle minacce contro il suo consulente, è strano che non ne abbia parlato direttamente con Scajola. L'incomunicabilità tra il ministro del Lavoro e il ministro dell'Interno era così invalicabile da non permettere neppure tra i due uno scambio di idee sulla scorta a Biagi? Solo dopo la pubblicazione su Panorama del documento dei servizi segreti che lanciava l'allarme sulle minacce di attentati contro sindacalisti e consulenti del Governo, Maroni decise di scrivere una lettera perché fosse riassegnata una scorta a Biagi che da otto mesi invocava protezione. Iniziativa tardiva: prima che il ministro mettesse la firma alla lettera Biagi fu ucciso. Una storia oscura e inquietante che apre tre interrogativi:

  1. Ad alimentare le paure e i tormenti del professore erano le stesse persone che si preparavano a ucciderlo?
  2. Che cosa aveva indotto i servizi segreti e le forze di polizia a ritenere che Biagi fosse un mitomane? Questa visione è frutto di indagini condotte superficialmente o di informazioni provenienti da ambienti frequentati dal professore e dallo stesso ministero del Lavoro?
  3. Dopo la morte di Biagi, Scajola è venuto a conoscenza dei testi delle sue lettere? Chi ha sussurrato a Scajola che il ministero del Lavoro era in dubbio se rinnovare il contratto di consulenza al professore?

Dopo la pubblicazione delle lettere, Scajola ha dato segnali di forte nervosismo perché ha capito di essere uno degli obiettivi di una misteriosa macchinazione. Al Viminale è circolata la voce che il ministro si apprestasse a sostituire De Gennaro, il capo della polizia che a partire da Genova era stato la sua stampella. Per Scajola era certamente un sacrifico grosso rinunciare a De Gennaro. Quali preoccupazioni lo spingevano a quel passo? Improvvisamente deve aver capito che la sostituzione del capo della polizia non bastava a metterlo al riparo dai suoi nemici? La sua frase disgustosa su Biagi può significare che si sentiva in una situazione già molto compromessa.

Ora sembra che la posizione di De Gennaro sia di nuovo solida, perché uno Scajola che si avvia ad essere un ex ministro degli Interni non può avere un vantaggio dalla sostituzione del capo della polizia.

Annibale Paloscia
Roma, 2 luglio 2002
da "Liberazione"