Caso Biagi, il modo in cui è stata architettata la pubblicazione delle lettere è tipico dei metodi dei servizi segreti.

Misfatti e segreti di Stato

La partita ad alto rischio del Viminale

Non è normale che a quattro mesi dall'omicidio di Marco Biagi i magistrati siano ignari dei testi archiviati nel suo computer e di lettere e memoriali in possesso di familiari, amici e uomini politici. Non è normale che i responsabili della sicurezza non prendano in seria considerazione le sollecitazioni del presidente della Camera, seconda autorità dello Stato, perché sia assegnata una scorta al suo vecchio amico e concittadino Marco Biagi, che corre rischi di attentati. Non è normale che l'inchiesta ministeriale sulla mancata protezione si concluda con la stupefacente sentenza che non ci sono state colpe. A questo punto l'interrogativo più inquietante è questo: le Br sapevano tutto? Erano così vicine a lui che gli potevano telefonare e spaventarlo a morte?

Spiato e minacciato

«Conosciamo tutti i tuoi movimenti, sappiamo che non sei protetto». Scrive Biagi al ministro del lavoro Maroni (e per copia al prefetto di Bologna) in data 23 settembre 2001: «Caro ministro, desidero informarla che oggi ho ricevuto un'altra telefonata minatoria da un anonimo che asseriva perfino di essere a conoscenza dei miei viaggi a Roma senza protezione alcuna, cercando di intimorirmi in relazione alle mie attività di progettazione svolte su suo incarico». Biagi ricevette molte telefonate minatorie di questo tenore ma le sue grida d'aiuto non furono ascoltate da prefetti e questori e non furono degnate di attenzione dai servizi segreti. Quei servizi segreti che dovrebbero proteggerci dall'eversione non sono stati neppure capaci di capire la serietà delle minacce rivolte a Biagi. O non l'hanno voluta capire. E' come se Biagi fosse stato condannato a morte dallo Stato; come se le Br avessero eseguito ordini dello Stato. Un'ipotesi assurda? Chissà? Il commissario di Ps Ammaturto che indagava sul sequestro Cirillo fu ucciso a Napoli dalle Br su committenza della camorra che voleva fare un favore allo Stato.

Non sappiamo cosa c'è dietro la sigla che ha rivendicato l'attentato. La sigla delle vecchie Br sui fogli che rivendicano l'omicidio non dice assolutamente nulla di certo. L'unica cosa certa è che Biagi era spiato e minacciato da persone che sapevano tutto di lui. Se si fosse indagato bene su quelle minacce forse si poteva scoprire chi voleva ucciderlo.

Biagi capisce di essere in una trappola infernale quando gli viene tolta la scorta che gli era stata data dopo l'attentato alla Cisl di Milano del 6 luglio 2000. La prima revoca arriva dalla prefettura di Roma: è il 9 giugno del 2001.

Le lettere di luglio

Sebbene possa ancora usufruire della protezione nelle altre città dove si svolge il suo lavoro - Milano, Bologna e Modena - Biagi ha il presentimento che la decisione presa dalla prefettura di Roma sia una specie di via libera per chi vuole ucciderlo. Le lettere che scrive durante il luglio al sottosegretario Sacconi, al direttore della Confindustria Parisi e al presidente della Camera Casini, sono le espressioni angosciate di un uomo che sente il passo degli assassini dietro la porta. Qualcuno che gli è vicino approfitta del suo Stato e lo condiziona psicologicamente fino a fargli credere che il segretario della Cgil Cofferati ha profferito delle minacce nei suoi confronti.

«E' una persona assolutamente attendibile» scrive Biagi a Parisi. E' una definizione che può adattarsi perfettamente alla figura dell'agente-provocatore. Qui la trama diventa complessa. La vittima predestinata mentre si avvicina l'ora della tragedia viene indotta a sospettare di un nemico immaginario. Quale può essere lo scopo? Si può supporre una convergenza tra due dinamiche: quella della provocazione e quella del depistaggio preventivo.

A metà luglio il presidente della Camera Casini raccoglie gli appelli del suo amico Biagi e ne parla al capo della polizia, che risponde di non essere in condizione di prendere iniziative autonome sullo scorte perché le decisioni sono delegate ai prefetti. Al capo della polizia risulta che Biagi è ancora sotto scorta a Milano, Modena e Bologna: a Roma la questione potrebbe essere riesaminata, ma l'ultima parola spetta al prefetto. A settembre Scajola emana una direttiva che invita i prefetti a ridurre le scorte. La conseguenza è che Biagi perde la protezione anche a Bologna, Modena e Milano. Chi trama di ucciderlo non potrebbe essere più appagato.

Obbiettivi precisi

Non c'è da stupirsi che un misfatto di Stato possa essere usato come strumento di provocazione e di ricatto politico. Chi ha ordito la pubblicazione delle cinque lettere in cui Biagi chiedeva aiuto ai suoi autorevoli amici e faceva riferimento (in due di esse) agli attacchi e alle minacce di Cofferati voleva colpire degli obiettivi precisi. La macchinazione contro Cofferati è evidente: era iniziata con Biagi ancora in vita. Gli altri obiettivi sono Casini, che avrebbe dovuto rendere noti dopo l'omicidio Biagi sia la lettera che invocava il suo aiuto, sia il colloquio col capo della polizia; Scajola che dopo essersi autoassolto ha dichiarato non colpevoli tutti i prefetti che hanno negato la protezione al professore; De Gennaro che, dopo le sollecitazioni del presidente della Camera, avrebbe potuto chiedere ai suoi uffici almeno un approfondimento delle indagini sulle minacce ricevute da Biagi.

Tutto il ventaglio degli obiettivi è politico. La trama della pubblicazione delle cinque lettere passa attraverso un torbido disegno di colpire la Cgil, mentre è in corso la lotta contro le modifiche all'articolo 18, e di mettere in difficoltà i vecchi democristiani della maggioranza che non vogliono correre avventure di regime.

I servizi segreti

Per questo tipo di operazioni di solito si ricorre ai servizi segreti. Il modo in cui è stata architettata la pubblicazione delle lettere è tipico dei metodi dei servizi segreti. Ne abbiamo avuto, un esempio nel caso Moro. Varie lettere di Moro che dovevano restare riservate, perché erano indirizzate ad amici e sollecitavano interventi per salvargli la vita, sono arrivate in copia ai giornali attraverso canali misteriosi e la loro pubblicazione ha impedito di prendere iniziative.

I servizi segreti sono attivissimi da prima dei fatti di Genova nel condizionamento della stampa al fine di aumentare e stabilizzare insicurezze e paure. Non si è mai visto in altri periodi della storia della Repubblica un sistema dell'informazione così disponibile a farsi strumentalizzare dalle campagne allarmistiche dei servizi segreti. Tra i servizi segreti e il Viminale si sta giocando una partita ad alto rischio per la democrazia. Scajola ha cercato di frenare sulla riforma dei servizi progettata dal suo collega di Governo Frattini che accresce enormemente i poteri dei baffi finti.

La legge al Senato

Il testo trasmesso nei giorni scorsi al Senato è lo strumento per conferire al presidente del Consiglio il potere di disporre dei servizi segreti per operazioni che violano i fondamentali diritti costituzionali. Il presidente del Consiglio può autorizzare gli agenti segreti a commettere reati in casi di eccezionali difficoltà derivanti da situazioni di allarme per la sicurezza dello Stato. Questo significa che nessun cittadino è più al riparo da violazioni di domicilio e della segretezza telefonica, che possono essere perquisite furtivamente sedi politiche e sedi di giornali, che possono essere forzate cassaforti e rubati documenti. I servizi segreti possono utilizzare in questo genere di operazioni anche personale estraneo allo Stato, insomma sicari pagati.

A creare una situazione di grave allarme che giustifichi la violazione delle regole costituzionali di questi tempi ci vuol poco: si possono inventare e propagare, come è avvenuto negli ultimi mesi, attentati contro basiliche, metropolitane, ambasciate, minacce di ordigni biochimici o di bombe atomiche sporche, complotti internazionali.

E' una riforma che mette a rischio la libertà dei cittadini e segna il definitivo dominio degli apparati segreti sulla polizia civile che deve operare in una cornice normativa rispettosa della Costituzione.

Per far passare questa riforma c'è bisogno che la febbre dell'insicurezza raggiunga le temperature più alte. Anche l'indecente macchinazione contro un sindacato come la Cgil può servire a questo scopo.

Annibale Paloscia
Roma, 30 giugno 2002
da "Liberazione"