Pericolose modifiche alla legge 185
"controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento"

Il Cavaliere e l'arte della guerra

Cosa ci sta preparando il Berlusconi ridens sul "campo minato", è il caso di dirlo, del traffico delle armi? E quanto delle modifiche alla legge 185 del 1990, in corso di discussione alla Camera sul "controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento", è opera del ministro della Difesa Antonio Martino, passato dal ruolo quasi inoffensivo di docente di economia a quello ben più pericoloso di "fante zelante" dell'industria di guerra? Infine, ultimo ma più importante: sanno i 630 deputati che affollano i corridoi silenziosi e le discrete stanze di Montecitorio quale "bomba a orologeria" (continuiamo nel gioco di parole) il governo sta preparando alle loro spalle, per «facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea della difesa»?

Andiamo con ordine. Il 14 luglio 1990, nel corso della decima legislatura, il parlamento italiano ratificò una legge - la 185 appunto - che riguardava le norme sull'industria e il traffico degli armamenti. «Legge esemplare per l'Europa - venne definita dagli esperti - che stabilisce con precisione e rigore le condizioni per la produzione e il commercio in un ambito delicato e pericoloso quale la produzione militare e bellica».

Esattamente dieci anni dopo, il 27 luglio del 2000, l'allora capo del governo Massimo D'Alema - scoperta la sua vocazione a "mostrare i muscoli", poi baldanzosamente esibita contro i popoli balcanici - sottoscrisse a Farnborough, con i capi di governo di altri cinque paesi europei, un accordo finalizzato a facilitare l'import-export di armi all'interno dell'area oggetto dell'intesa intergovernativa. Di fatto si trattava di un insieme di "deroghe" alla legge 185 che rendevano meno restrittivi i criteri e i controlli sul traffico di armi, purché questo avvenisse tra i paesi sottoscrittori dell'accordo stesso. In pratica si trattava di un sistema per sostenere la produzione dell'industria degli armamenti e al tempo stesso per costruire degli escamotage alle restrizioni della legge. I vincoli della 185 venivano così aggirati dalla creazione di una sorta di free trade area: un'area di libero scambio delle armi e degli armamenti tra Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia.

Peggioramenti in corso

Ora il governo Berlusconi mette le mani anche al già pessimo accordo di Farnborough, facendo di tutto per peggiorarlo ulteriormente attraverso il progetto di legge numero 1927, in particolare bypassando l'articolo 9 che parla della "disciplina delle trattative contrattuali" in cui si fissano «le condizioni e limitazioni stabilite dal Ministero per motivi di interesse nazionale e per effetto dei principi e indirizzi fissati». Ora il Cav tenta di inserire un comma che dice: «Sono escluse dalla disciplina del presente articolo le operazioni svolte nel quadro dei programmi congiunti intergovernativi». In sostanza, nella Weapon free trade area le imprese di guerra, i commercianti di morte e i governi che li sostengono devono poter avere mano libera senza sottostare neppure alla legge.

Secondo peggioramento: riguarda l'articolo 13 che parla di "autorizzazioni" e fissa modalità e regole per ottenerle dai ministeri competenti, che poi sono quello della Difesa e quello degli Affari esteri. Il Cav vuole che l'autorizzazione possa «assumere anche la forma di licenza globale di progetto, rilasciata a singolo operatore, quando riguarda esportazioni, importazioni o transiti di materiali di armamento da effettuare nel quadro di programmi congiunti intergovernativi o industriali di ricerca, sviluppo, produzione di materiali di armamento svolti con imprese di Paesi membri dell'Ue o della Nato, con i quali l'Italia abbia sottoscritto specifici accordi».

Infine, come se non bastasse, il governo sta tentando di far passare un famigerato articolo 13 in cui si legge: «Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sono determinate le condizioni per l'applicazione delle norme relative al segreto di Stato e alle notizie di cui è vietata la divulgazione...». Significa, per essere chiari, che non solo si vogliono le mani libere, ma si tenta anche di far passare sotto silenzio coatto i traffici di morte che partono, arrivano o transitano entro i nostri confini nazionali.

Opposizione dura

Battaglia aspra, in Parlamento, da parte dei deputati di Rifondazione comunista, che hanno presentato una serie di controproposte e di emendamenti per cercare di contenere le bordate del centrodestra. In particolare i deputati del Prc, prima firmataria Elettra Deiana che è membro della Commissione difesa, chiedono che «in nessun caso le previsioni dell'accordo... possono essere intese per aggirare, eludere o diminuire l'efficacia delle prescrizioni della legge numero 185 del 1990» e, inoltre, che il governo riferisca «entro trenta giorni alle Camere sugli esiti degli eventuali ricorsi alle procedure di consultazione e decisione... per i programmi ai quali l'Italia partecipi a qualsiasi titolo». Ancòra: all'articolo 5 che parla di "Relazioni al Parlamento", il gruppo del Prc chiede che la relazione contenga «indicazioni analitiche sui programmi in corso, realizzati o previsti in base all'Accordo quadro... Dovranno in particolare essere indicati gli accordi intergovernativi o interaziendali conclusi, lo stato di attuazione degli stessi, i materiali di armamento prodotti in termini di valore e quantità, la partecipazione di aziende site sul territorio nazionale».

Deiana e gli altri "comunisti" vorrebbero sovvertire un modo di intendere la legge e il Parlamento che Berlusconi e il centrodestra tentano di piegare a uso "privato" anche per quanto riguarda il sistema militare e l'industria degli armamenti. Non sono soli: in piazza, davanti ai palazzi del governo e del parlamento, per tutta la giornata di ieri le associazioni pacifiste hanno continuato a manifestare. Ed anche oggi, in attesa del voto finale, la protesta continua.

Gemma Contin
Roma, 26 marzo 2002
da "Liberazione"