La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

2.4. L’idea e i contenuti di ispirazione socialista

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Il Partito Socialista e il Partito Comunista rappresentavano da soli circa il 40% dei seggi dell’Assemblea Costituente e il loro contributo fu determinante nella stesura di parti importantissime del testo costituzionale.

Nella sinistra italiana prevaleva già da allora, in contrapposizione alla tradizione marxista più ortodossa della dittatura del proletariato e della completa pianificazione dell’economia, la tesi della "democrazia progressiva", che comportava la piena accettazione degli ideali democratici e liberali.

Secondo la prospettiva di questi Costituenti, superata la drammatica esperienza del fascismo che forse più degli altri avevano subito, l’attuazione effettiva degli ideali democratici e liberali avrebbe potuto permettere la creazione delle migliori condizioni per la realizzazione dei principi di ispirazione socialista e l’emancipazione della classe operaia.

Questa impostazione trovò espressione in una concezione della libertà e dell’uguaglianza che era, però, ben diversa da quella liberale classica.

Il liberalismo impone una libertà e un’uguaglianza di tutti gli individui intese in senso strettamente formale: libertà come assenza di impedimenti da parte dello Stato che deve giocare un ruolo minimo e limitato nella società; uguaglianza come parità di trattamento davanti alla legge e assenza di discriminazioni o privilegi fra i cittadini. Principi solennemente accolti già a partire dall’art. 2 e dall’art. 3, primo comma, della Costituzione.

I sostenitori delle dottrine socialiste da sempre criticano questa concezione sostenendo che l’assenza di impedimenti o discriminazioni da parte dello Stato non garantisce da sola che tutti i cittadini siano veramente liberi ed eguali.

Molto spesso per esercitare effettivamente la libertà occorrono idonei mezzi economici che non tutti possiedono.

Per esempio, se lo Stato, garantendo la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), non vieta a nessuno di pubblicare libri o giornali, è possibile affermare che a tutti i cittadini viene formalmente riconosciuta la libertà di stampa; ma se non si posseggono i mezzi economici necessari per pubblicare libri o giornali, ecco che questa libertà viene di fatto vanificata.

Si pensi poi alle libertà di carattere economico, in cui tale contraddizione è ancora più evidente: a tutti viene riconosciuta la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) o il diritto di proprietà sui beni (art. 42 Cost.), ma solo a chi possiede i mezzi economici necessari è possibile esercitarle.

Allo stesso modo rimane una sterile affermazione astratta l’enunciazione dell’uguaglianza fra i sessi, le razze, le lingue, le religioni, le opinioni politiche, le condizioni personali e sociali (art. 3 Cost. primo comma), perché nella società tutti gli individui sono di fatto diversi e non c’è nulla di più ingiusto che trattare tutti allo stesso modo.

Si pensi, per esempio, ai lavoratori disoccupati; che giustizia sarebbe trattarli allo stesso modo degli altri lavoratori occupati? Se lo Stato non prevede interventi specifici di aiuto e di sostegno delle loro condizioni personali e delle loro famiglie e misure affinché al più presto vengano create le condizioni per garantire la piena occupazione, un eguale trattamento formale perpetuerebbe un’effettiva disuguaglianza sociale.

Se si pensa poi alle differenze che nella società, in generale, persistono tra i ricchi e i poveri, tra chi vive in condizioni agiate e chi vive nella miseria, l’affermazione della necessità di un eguale trattamento diviene l’affermazione di una disuguaglianza.

Il filosofo e uomo politico tedesco Karl Marx affermava che il vero regno della libertà e dell’uguaglianza si sarebbe realizzato qualora ogni individuo avesse potuto dare secondo le sue capacità e avesse potuto ricevere secondo i suoi bisogni.

In base a questa concezione, le prime vittime della libertà e dell’uguaglianza intese in senso formale sono proprio i lavoratori. La classe borghese utilizza i principi liberali al solo scopo di perpetuare la sua superiorità economica e sociale, basata su un rapporto di sfruttamento della classe lavoratrice, l’unico vero motore della produzione del valore. Con il suo lavoro si producono i beni e la ricchezza che tutta la società consuma e il profitto di cui si appropria il capitalista in virtù del fatto di essere proprietario dei mezzi di produzione.

È da queste considerazioni che nasce l’esigenza di una concezione nuova della libertà e dell’uguaglianza, intese non, o non solo, in senso formale, ma anche sostanziale.

Lo Stato non deve limitarsi a non intervenire o a trattare tutti allo stesso modo, ma al contrario deve assumere un ruolo attivo e positivo rendendo effettive, accessibili e praticabili per tutti le libertà, tutelando e proteggendo i cittadini più deboli e meno garantiti, che in un’economia di mercato sono principalmente i lavoratori.

Lo Stato, ancora, non viene più concepito come semplice arbitro e garante della pacifica convivenza, regolatore esterno delle attività economiche altrui, ma promotore esso stesso del benessere sociale e protagonista dello sviluppo economico, nella convinzione dell’incapacità del sistema di mercato di autoregolarsi perfettamente nell’interesse di tutti.

In questo modo viene attribuita ai pubblici poteri una funzione di intervento nella società civile e nell’economia del tutto estranea alla concezione liberale dello Statuto Albertino, con la creazione di una nuova categoria di diritti che si aggiungono ai diritti politici propri dell’ispirazione democratica e ai diritti civili propri dell’ispirazione liberale, che definiscono i contenuti della "democrazia progressiva": i diritti sociali.

Il riflesso di questa visione appare in primo luogo nel primo articolo della Costituzione: "L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro...". Con le parole "fondata sul lavoro" si vuole proprio sottolineare che uno dei compiti più importanti dello Stato dovrà essere quello di tutelare e valorizzare i lavoratori, in quanto classe economicamente più debole, attribuendo ad essi il posto che compete nella società, considerato l’importante contributo che da essi stessi deriva al suo sviluppo.

Ad esso fa seguito il successivo art. 3 che, dopo avere ribadito al prima comma il principio della già citata uguaglianza formale, al secondo comma dischiude chiaramente, più di ogni altro articolo, la prospettiva della "democrazia progressiva", della libertà e dell’uguaglianza sostanziali, dei diritti sociali: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

La libertà e l’uguaglianza dei cittadini rimarrebbero vacue affermazioni di principio se lo Stato non assumesse in prima persona il compito di riequilibrare la sproporzionata distribuzione dei mezzi economici, di rimuovere le grandi disparità sociali e culturali e le ingiustizie, come condizione imprescindibile per realizzare un’effettiva democrazia e partecipazione, in primo luogo dei lavoratori, all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ad essi, ed in particolare ai disoccupati, è dedicato anche il successivo art. 4 che rappresenta già un primo impegno preciso lungo la via segnata dal precedente art. 3: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto...". In tal modo si impone allo Stato di intervenire nell’economia affinché tutti coloro che lo desiderino siano posti nelle condizioni di lavorare.

Altre e numerose sono le applicazioni del programma politico contenuto nell’art. 3, secondo comma, della Costituzione.

Nel tit. II della prima parte, dedicato ai rapporti etico-sociali, per esempio all’art. 32, viene riconosciuta la tutela della salute come compito dello Stato, fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e contemporaneamente si prevede anche la garanzia di cure gratuite agli indigenti.

Gli articoli 33 e 34 si riferiscono invece principalmente all’istruzione scolastica pubblica che deve essere garantita per tutti gli ordini e gradi, stabilendo che quella inferiore, impartita per almeno otto anni, sia obbligatoria e gratuita e che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, rendendo effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze. Ad enti e privati viene riconosciuto il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, ma i Costituenti hanno voluto chiaramente specificare "...senza oneri per lo Stato".

Ancora più numerose sono le disposizioni di questo genere contenute nel tit. III della prima parte della Costituzione, dedicato ai rapporti economici. Tra le altre, l’art. 35, che impegna la Repubblica a tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni; l’art. 36, che stabilisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, nonché il diritto al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite; l’art. 37, che impone che alla donna lavoratrice siano estesi gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni del lavoratore, consentendole al contempo l’adempimento della sua essenziale funzione famigliare; l’art. 38, che elenca le previdenze delle quali possono giovarsi i lavoratori in caso di inabilità, infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, attraverso organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

I successivi articoli 39 e 40 riguardano, rispettivamente, la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero. I Costituenti della sinistra vollero, con queste disposizioni, tutelare maggiormente i lavoratori. Essi infatti erano reduci dall’esperienza della dittatura fascista che aveva trattato lo sciopero come un delitto e creato il sistema corporativo basato su una falsa rappresentazione delle forze economiche e sindacali che si volevano forzatamente ricondurre ad armonia nei "supremi interessi della produzione nazionale". I lavoratori rappresentano i contraenti deboli del rapporto di lavoro e meritano una tutela maggiore rispetto ai datori di lavoro, per i quali, per esempio, non viene previsto l’analogo diritto di serrata.

Nei rimanenti articoli del tit. III della prima parte della Costituzione, accanto all’affermazione dei principi propri del liberismo economico (la libertà di iniziativa economica, di proprietà e di contratto) vengono chiaramente indicate le direttive di intervento dello Stato nella sfera economica al fine di rendere effettive le libertà e l’uguaglianza dei cittadini, ponendoli al riparo dal primo di tutti i bisogni: il bisogno economico.

L’art. 41 proclama che l’iniziativa economica, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

L’art. 42, pur riconoscendo e garantendo la proprietà privata, dichiara che la legge ne determina i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti.

L’art. 43 prevede la possibilità di esproprio a favore dello Stato, di enti pubblici, o comunità di lavoratori o di utenti, di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, fonti di energia o situazioni di monopolio.

L’art. 44 si riferisce agli obblighi e ai vincoli che la legge può imporre, al fine di stabilire equi rapporti sociali, alla proprietà terriera.

L’art. 45 valorizza la cooperazione e l’artigianato e impone alla Repubblica di promuoverne la tutela e lo sviluppo.

L’art. 46 prevede il diritto dei lavoratori a forme di cogestione delle aziende.

L’art. 47 impone alla Repubblica di incoraggiare e tutelare il risparmio e disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito.

Quello che viene profilato non è certo uno Stato di tipo socialista o pianificatore, ma si riconosce, in generale, la subordinazione degli interessi economici individuali agli interessi collettivi, nella convinzione che da sole le libere forze del mercato non siano in grado di soddisfarli appieno.

Regolare il mercato, sostenere l’occupazione, controllare il ciclo economico, divengono, anche secondo l’insegnamento dell’economista inglese John Maynard Keynes, compiti fondamentali dello Stato. Attraverso la politica monetaria e del credito, la politica fiscale e la politica della spesa pubblica, esso indirizza il comportamento delle imprese private, ma anche interviene in prima persona attraverso la gestione diretta di banche e industrie.

Pur mantenendo la sua natura capitalistica, il sistema viene così definito a "economia mista", intendendo con tale espressione un modo di produzione in cui l’attività economica privata conviva accanto a quella pubblica.

Stato interventista, Stato assistenziale, Stato sociale e Welfare State (Stato del benessere), sono espressioni equivalenti che definiscono questa diversa posizione dello Stato nei confronti della società civile e dell’economia rispetto alla concezione liberale, con la quale, come già ricordato, non è facile conciliarla. È stata la politica concreta dei decenni successivi a decretare la soluzione effettiva del ruolo dello Stato nell’Italia democratica.

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it