La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

3.5. 1979-1991: il pentapartito

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A partire dai primi mesi del 1979, superata la fase più acuta della crisi politica ed economica, il Partito Comunista valutò inopportuno continuare ad appoggiare dall’esterno il Governo e passò all’opposizione con l’idea di costituire un largo schieramento, in primo luogo alleandosi con il Partito Socialista, nettamente alternativo alla Democrazia Cristiana.

Bettino Craxi divenne allora segretario del PSI proprio grazie all’appoggio della corrente di sinistra del Partito che condivideva il progetto comunista. Era nei suoi intenti primari rompere l’asse DC-PCI che vedeva il PSI in posizione subalterna; ma in breve tempo egli cambiò completamente la sua linea politica divenendo sempre più polemico nei confronti del PCI.

Nel frattempo si costituivano alcuni Governi a guida democristiana e con la partecipazione, oltre che della DC, dei partiti laici minori, escluso il PSI.

Fu proprio all’epoca dell’ultimo di questi Governi, nel 1981, che la magistratura riuscì a mettere le mani per la prima volta sui famosi elenchi degli iscritti alla loggia segreta P2 di Gelli e sul suo "Piano di Rinascita Democratica".

Ne risultò un quadro sconcertante: centinaia e centinaia di nomi, fra cui alti ufficiali dei carabinieri e di tutte le forze armate, questori, prefetti, imprenditori, presidenti di banca, ministri in carica e ex ministri, un segretario di un partito di Governo, deputati, magistrati, sindaci, primari ospedalieri, avvocati, notai e naturalmente quasi tutti gli alti gradi dei servizi segreti.

Molti di costoro avevano giurato fedeltà alla Costituzione italiana, ma poi si erano iscritti a una loggia massonica segreta, finanziata dalla CIA e centro di potere occulto coinvolto nelle più oscure pagine della storia politico-istituzionale italiana.

La P2 era stata definita nella relazione della commissione parlamentare di indagine presieduta dall’On. democristiana Tina Anselmi, "un’associazione politica il cui fine peraltro non è quello di pervenire al governo del sistema, bensì quello di esercitarne il controllo".

Il Parlamento italiano, con una legge del 1982, sciolse la P2 e ne autorizzò la confisca dei beni e, in attuazione dell’art. 18 della Costituzione, secondo comma, da allora fece esplicito divieto, sanzionandolo penalmente, di costituire associazioni segrete che svolgessero un’attività diretta ad interferire sull’esercizio di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale.

Il Presidente del Consiglio in carica, l’0n. Arnaldo Forlani, colpevole di non avere tempestivamente reso pubblici quegli elenchi, fu costretto a dimettersi.

È in quel periodo che il segretario socialista Craxi, sempre più forte all’interno del suo partito, inaugurò una nuova politica.

Da una parte egli incominciò a prendere le distanze sia dal partito Comunista, in flessione elettorale, sia da un’ipotesi di Governo alternativo alla DC, con una polemica molto forte ed accesa verso il PCI, ancora accusato, in fondo, di essere troppo vicino all’Unione Sovietica. Invece fu proprio di quegli anni l’ennesima prova di distacco del PCI dall’URSS testimoniato dal giudizio di Berlinguer circa l’esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre e da una radicale valutazione negativa della società comunista a modello sovietico. A questo proposito i giornali definirono la posizione del Partito Comunista come l’ultimo "strappo" dall’Unione Sovietica.

Dall’altra parte, in nome della governabilità del Paese, Craxi iniziò una nuova stagione di collaborazione con la DC, verso la quale, almeno a parole, apparve comunque piuttosto critico.

Nacquero così i vari Governi di pentapartito (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI) che caratterizzarono la vita politica italiana fino al 1991. Essi si presentavano simili a quelli dell’epoca del centrosinistra, ma con due caratteristiche in più: la presenza dei liberali e, per alcuni anni, la Presidenza del Consiglio, per la prima volta dal 1948, affidata a leader non democristiani, a sottolineare il ruolo meno subalterno dei partner di Governo alla DC.

Come all’epoca del centrosinistra, si ritrovava ancora un PCI isolato all’opposizione, nonostante la sua forte consistenza numerica. Il progetto di Moro di una democrazia compiuta e dell’alternanza, dopo l’esperienza dell’unità nazionale, era completamente dissolto. Al PCI non rimase che perseguire gli interessi di cui era portatore dall’opposizione e nella pratica del consociativismo che continuava a compensare questa ostinata esclusione dal Governo.

L’asse politico governativo negli anni ottanta rimase, comunque, principalmente basato sulla nuova collaborazione tra DC e PSI e, come si scoprirà solo agli inizi degli anni novanta, su una spartizione del potere che si basava sulla corruzione generalizzata e sistematica di quei due partiti e dei loro alleati di Governo.

Ma gli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta devono essere ricordati anche come gli anni dei più gravi omicidi di cosa nostra. Ufficiali delle forze dell’ordine, magistrati, giornalisti, uomini politici, imprenditori e tante altre persone impegnate a contrastare i progetti mafiosi, caddero a decine sotto il piombo di questa organizzazione criminale.

La mafia, affermatasi originariamente in Sicilia, ma diffusasi in seguito non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo, ancora oggi significa soprattutto appalti pubblici truccati, condizionamento della Cassa per il Mezzogiorno, poi divenuta Agenzia per il Mezzogiorno, speculazione edilizia, traffico di stupefacenti ed armi, racket delle estorsioni in cambio di protezione... Un giro d’affari enorme e con vastissime possibilità di guadagno.

In alcune aree del territorio nazionale è fuori di dubbio che il controllo che la mafia esercita è superiore a quello dei poteri dello Stato. Il fenomeno si presenta quindi con veri e propri tratti eversivi nei confronti delle istituzioni pubbliche anche in considerazione delle collusioni, più volte accertate, tra mafia e potere politico.

Il potere mafioso spesso è in grado di inquinare le competizioni elettorali con il controllo dei voti, non solo a livello locale, ma anche nazionale. In cambio di voti offerti alla classe di governo, esso si garantisce protezione e aiuto da parte di pezzi dello Stato che a loro volta si servono di questa relazione per consolidare il proprio potere minacciato dalle forze della sinistra e dalla crescita della nuova società civile.

Le commissioni parlamentari di inchiesta e le indagini giudiziarie documentarono i legami tra mafia e poter politico siciliano e nazionale e il fatto che molti omicidi mirassero a salvaguardare il perpetuarsi di questi legami e di questo sistema di potere.

Emblematici furono gli esiti processuali di alcuni delitti "eccellenti" di quel periodo. Quelli, per esempio, relativi agli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, o del segretario regionale del PCI Pio La Torre o dell’ex Sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, ma in particolare del Presidente democristiano della regione siciliana Piersanti Mattarella. Con esso, nel gennaio del 1980, venne consumato il più grave delitto politico compiuto in Italia dopo l’assassinio di Moro.

Mattarella aveva iniziato una seria opera di rinnovamento e di pulizia sia all’interno degli uffici dell’amministrazione regionale, sia all’interno del Comune di Palermo. Nonostante le difficoltà incontrate, egli pubblicamente aveva dichiarato alla fine del 1979 che non intendeva tornare indietro e che, per continuare nel suo progetto, scorgeva la possibilità della partecipazione diretta dei comunisti al Governo della Regione.

Le analogie con l’affare Moro sono fin troppo evidenti, tant’è che nel corso delle indagini si intravide l’ombra, oltre che della mafia e del potere politico, della massoneria e della P2 di Licio Gelli, dei servizi segreti e anche di un non ben precisato super servizio segreto (Gladio?) e di gruppi neofascisti, in un tragico intreccio di interessi criminali e interessi politici.

Da un punto di vista istituzionale, gli anni ottanta sono caratterizzati da un atteggiamento sempre più critico da parte di quasi tutte le forze politiche rispetto alla Costituzione.

Se negli anni precedenti ne veniva spesso richiesta l’effettiva attuazione, attraverso l’approvazione di nuove leggi, da questo periodo in poi cominciò a diffondersi sempre più l’idea che molti problemi avrebbero potuto risolversi solo procedendo a una sua revisione, in particolare delle norme contenute nella seconda parte relativa all’Ordinamento della Repubblica.

Era ormai chiaro a tutti che il problema principale delle istituzioni italiane era rappresentato dalla mancanza di un reale alternarsi di due schieramenti politici contrapposti in competizione, secondo gli schemi tipici di ogni democrazia e dello stesso "metodo democratico", per il governo del Paese.

I Governi formatisi fino a quel momento, quasi tutti di coalizione, e quindi per loro natura molto instabili, bene o male avevano sempre avuto nella sola DC prima, e nella DC e nel PSI poi, il loro punto di forza. L’MSI da una parte, il PCI dall’altra, non avevano mai direttamente partecipato al Governo, secondo gli schemi di una "democrazia bloccata".

Era una situazione che non aveva eguali negli altri Paesi europei e democratici occidentali in cui la dialettica politica, di volta in volta, favorisce ora l’uno, ora l’altro schieramento politico, consentendo all’opposizione, dopo un po’ di tempo, di divenire maggioranza e viceversa.

Nella narrazione di questi decenni è emerso chiaramente come forze occulte e poteri palesi in Italia si siano sempre opposti al cambiamento.

Moro, che a questo proposito parlava di "democrazia incompiuta", aveva ben chiari i limiti di una situazione che non poteva più durare a lungo.

La corruzione e la lottizzazione politica di chi sapeva che non avrebbe mai perso il suo potere, da una parte, i fenomeni di consociativismo con l’opposizione dall’altra, stavano lentamente erodendo le fondamenta della Costituzione e dello Stato democratico.

A tutto questo si aggiungano altre caratteristiche dei pubblici poteri italiani: la debolezza dello stesso potere esecutivo, lo strapotere dei partiti nelle istituzioni, la frantumazione della rappresentanza politica in un numero crescente di piccole formazioni, le lungaggini dei lavori parlamentari, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’estrema lentezza della attività giudiziaria.

Tutto ciò costituì la base di un lungo, quanto spesso inconcludente, dibattito sulle riforme istituzionali il quale, oltre che su ipotesi di modifica della Costituzione, approdò anche ad alcune proposte di carattere legislativo.

Il problema venne affrontato anche da un’apposita commissione parlamentare che, comunque, servì solo come luogo di dibattito e confronto senza pervenire ad alcun risultato concreto.

Le idee che emersero furono le più svariate.

Fra le altre, per il Parlamento si andava dalle proposte del PCI di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno che favorisse la formazione di coalizioni alternative e l’eliminazione di una delle due Camere a quella di quasi tutti gli altri partiti che ancora non si sbilanciavano esattamente sulla riforma elettorale e proponevano un sistema bicamerale differenziato.

Per il Governo, per il quale tutti condividevano la necessità di una maggiore stabilità, si andava dalle proposte che prevedevano premi di maggioranza all’ipotesi forte del PSI di elezione diretta del Capo dello Stato che doveva essere posto anche a capo dell’esecutivo.

Per le Regioni e gli enti locali, solo alcune forze politiche iniziavano a parlare di elezione diretta del Presidente della Giunta e del Sindaco.

Ma di queste ed altre proposte, in quel periodo, nessuna si concretizzò. Il necessario accordo tra un largo schieramento politico, come previsto dall’art. 138 della Costituzione nel caso di una sua modifica, non venne mai raggiunto a causa di una serie di veti incrociati tra i diversi partiti e le uniche realizzazioni concrete non furono di tipo costituzionale.

Nel 1988 venne approvata una modifica dei regolamenti parlamentari che limitava drasticamente il voto segreto di Deputati e Senatori, con l’intento apparente di aumentare la trasparenza delle scelte del Parlamento, ma con il risultato di aumentare il potere delle segreterie dei partiti che in questo modo potevano meglio controllare il rispetto della disciplina del partito stesso.

Nello stesso anno venne approvata anche la legge relativa all’Ordinamento della presidenza del Consiglio che, in attuazione dell’art. 95 della Costituzione, con quarant’anni di ritardo, disciplinava in modo organico poteri e responsabilità del Consiglio dei Ministri e del Presidente.

Altri provvedimenti legislativi di questo periodo di particolare rilievo istituzionale furono: sempre nel 1988, il nuovo codice di procedura penale che trasformava il processo penale del codice fascista del 1930 da inquisitorio misto a accusatorio, con maggiore trasparenza e garanzie per la difesa; nel 1990, in attuazione dell’art. 128 della Costituzione, la nuova legge con la quale venivano codificati i principi generali delle autonomie locali, ma senza alcun cenno ancora alla elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Giunta provinciale; sempre nel 1990 la prima legge organica relativa al procedimento amministrativo e al diritto di accesso dei cittadini ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 97 della Costituzione; ancora in quell’anno, dopo un dibattito protrattosi per oltre quarant’anni, la legge di disciplina degli scioperi nei servizi pubblici essenziali, in attuazione dell’art. 40 della Costituzione.

Sul piano dei rapporti internazionali è necessario ricordare in primo luogo nel 1984 la firma del nuovo Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica che tuttavia continuava, come già esposto, a contenere elementi non irrilevanti di confessionalismo; in secondo luogo, nel 1979 le prime elezioni del Parlamento europeo e nel 1986 la sottoscrizione dell’Atto Unico Europeo che disponeva la creazione del mercato unico, cioè l’abolizione delle frontiere tra i Paesi della Comunità Europea a partire dal primo gennaio 1993.

Gli anni ottanta furono, grazie alla favorevole congiuntura internazionale, anche anni di crescita e benessere economico. Il che favorì il consenso verso i Governi pentapartito di quell’epoca che non esitarono neppure a dilatare in modo sconsiderato la spesa pubblica e il debito dello Stato pur di mantenere e consolidare quel consenso.

In parte anche a causa della mancata tempestiva realizzazione di un organico progetto di riforma istituzionale, si stavano preparando le condizioni per i radicali sconvolgimenti degli anni successivi.

L’analisi di quel periodo non può che concludersi con la rilevazione della scoperta di Gladio nel 1990. Prima, nel mese di luglio, grazie alle indagini del giudice Casson relative alla strage di Peteano, poi, nel mese di ottobre, con le rivelazioni al Parlamento del Presidente del Consiglio Andreotti.

Il Parlamento stesso ben presto costituì una commissione parlamentare di indagine, presieduta dall’On. repubblicano Libero Gualtieri, la quale, dopo mesi di lavoro, riuscì a scoprire che Gladio era nata agli inizi degli anni cinquanta per la difesa del territorio nazionale da un’ipotetica invasione sovietica. Essa era stata creata sulla base di un accordo tra servizi segreti italiani e statunitensi e, sotto le dipendenze di questi ultimi, che negli anni fornirono armi e denaro, con il passare del tempo acquisì lo scopo primario di contrastare l’avanzata del Partito Comunista.

Per il modo in cui venne costituita e tenuta in vita, per i suoi fini e per il suo coinvolgimento negli episodi più foschi che conobbe la storia italiana di quei decenni, la commissione parlamentare si pronunciò per la "illegittimità costituzionale progressiva" di Gladio, intollerabile per un Paese sovrano e democratico.

Nelle conclusioni dei lavori della commissione stessa si leggeva: "Nei documenti interni del SISMI [l’attuale servizio segreto militare], Gladio è indicata come la “nota organizzazione”. In realtà allo Stato italiano Gladio è sempre rimasta “ignota”. Riteniamo di averla fatta uscire dall’anonimato. È tempo che di questo si prenda atto e si puniscano i responsabili del lungo inganno".

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it