La Costituzione e le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994

3.6. 1991-1994: la trasformazione

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Dalla primavera del 1991 il Partito Repubblicano uscì dalla compagine governativa e si succedettero un paio di Governi quadripartito (DC, PSI, PSDI, PLI), prima a guida democristiana e poi socialista. Fu in quel periodo che, con un ritmo incalzante, iniziò in Italia un radicale processo di trasformazione politico-istituzionale.

Nel giro di pochi anni si giunse, almeno apparentemente, allo smantellamento del sistema di potere che aveva dominato il Paese dal dopoguerra.

Le cause di questo cambiamento vanno ricercate, in primo luogo, in eventi di ordine internazionale, che si erano determinati anche prima del 1991, e, in secondo luogo, in eventi consequenziali interni.

Gli sviluppi della situazione politica internazionale, come già evidenziato, da sempre condizionavano la politica interna italiana e non diversamente sarebbe potuto accadere quando, nel 1989, uno dopo l’altro caddero i regimi comunisti dei Paesi dell’est europeo.

Tale processo culminò prima con la liquidazione, nel 1991, del Partito Comunista dell’URSS da parte del suo stesso segretario Mikail Gorbaciov, che già da tempo aveva iniziato una profonda riforma del sistema, poi con la dissoluzione della vecchia Unione Sovietica in luogo della quale nacquero molti Stati indipendenti neppure lontanamente paragonabili, quanto a potenza economia, politica e militare, all’URSS.

L’abbattimento del muro che divideva in due parti la città di Berlino e la riunificazione delle due Germanie simboleggiarono, forse più di ogni altro evento, la fine del cosiddetto socialismo reale e dei sistemi politici comunisti a economia pianificata dallo Stato e il superamento della divisione del mondo in due blocchi.

La contrapposizione bipolare espressa dalla guerra fredda tra USA e URSS, determinatasi dopo la seconda guerra mondiale, che aveva caratterizzato la storia del pianeta per oltre quarant’anni, venne meno per la dissoluzione di uno dei due contendenti.

Oggi la politica mondiale è dominata da una sola grande potenza, gli USA, affiancata dagli altri Paesi più industrializzati del mondo, tra cui anche l’Italia.

A questi paesi si contrappongono l’80% degli esseri umani che vivono nel terzo e nel quarto mondo, ma che, se non muoiono di fame o di malattie, sopravvivono con solo il 20% della produzione mondiale; il che basta per fare intravedere che al vecchio conflitto tra occidente capitalistico e Paesi dell’est comunista, se ne sta sostituendo un altro, non meno drammatico e dalle conseguenze imprevedibili, tra nord del mondo ricco ed opulento e sud povero e diseredato.

L’allora segretario del Partito Comunista italiano Achille Occhetto, già dal 1989, consapevole dei profondi mutamenti mondiali, iniziò un processo che portò alla creazione di un nuovo Partito, dai caratteri ancora più marcatamente riformisti, denominato Partito Democratico della Sinistra (PDS). Una parte dell’ex PCI, non volendo rinunciare alla matrice "comunista", provocò una scissione interna e costituì il Partito della Rifondazione Comunista.

Ma questo fu solo il primo di una serie di effetti a catena che i cambiamenti internazionali determinarono in Italia.

Uno di questi effetti fu senz’altro la progressiva affermazione elettorale, a partire dalla fine degli anni ottanta, di un altro nuovo Partito, la Lega Nord. Questo movimento, crollate le ideologie e abbandonata l’esigenza di ricompattarsi a tutti i costi attorno a un Partito in nome dell’anticomunismo, si batteva, molto pragmaticamente, contro la vecchia partitocrazia corrotta e consociativa e contro lo Stato centrale in nome di un progetto di tipo federalista.

Un altro probabile effetto dei mutamenti internazionali e del venire meno della paura e delle remore verso cambiamenti profondi della situazione politica nazionale, va ricercato nel ruolo sempre più attivo, rispetto al passato, che giocò in Italia in quegli anni la Magistratura rispetto al potere politico.

A parte le indagini, a cui si è già accennato, che portarono alla luce l’esistenza di Gladio, organizzazione segreta costituita per finalità anticomuniste che ora non aveva più senso di esistere, assunse, tra le tante altre, un ruolo deterrente micidiale sul vecchio sistema di potere l’inchiesta cosiddetta "Mani pulite", condotta da Magistrati milanesi sulla corruzione politica.

Le indagini, partendo da un modesto episodio di corruzione, nel giro di pochi mesi si espansero rapidamente in tutta Italia, coinvolgendo funzionari pubblici, uomini politici di prim’ordine, segretari di partito, Ministri, Deputati, Senatori, Assessori, imprenditori e organizzazioni criminali come mafia e camorra.

Si scoprì ben presto che la pratica degli imprenditori di pagare tangenti per ottenere appalti pubblici o altri favori era spesso la norma e il canale principale attraverso il quale DC e PSI e gli altri partiti di Governo si finanziavano illecitamente e si rafforzavano o attraverso il quale singoli individui avevano costruito le loro fortune personali.

Un’intera classe dirigente venne messa sotto inchiesta e, ancora una volta, nelle indagini rispuntò l’ombra di Licio Gelli. C’è da chiedersi che fine avrebbero fatto queste indagini se, come prevedeva il suo "Piano di Rinascita Democratica", il Pubblico Ministero, come per esempio, tra gli altri, il famoso PM milanese Antonio Di Pietro, che le doveva condurre, fosse in qualche modo dipeso dall’esecutivo, cioè proprio da quel potere politico che doveva essere indagato.

Comunque, iniziarono i processi e arrivarono anche le prime condanne.

Tra il 1992 e il 1993, travolti da scandali di dimensioni inimmaginabili, quasi scomparvero i vecchi partiti di governo: il PLI, il PSDI, il PRI.

Il PSI, particolarmente colpito dai reati commessi dai suoi leader, nonostante un certo cambiamento della sua classe dirigente e un mutamento del suo simbolo, subì una fortissima flessione elettorale.

Anche la DC entrò in in una grave crisi. Da una parte venne meno la sua funzione di baluardo anticomunista che le aveva sempre consentito di unificare interessi anche molto diversi; dall’altra anch’essa fu duramente colpita dalle inchieste giudiziarie sulla corruzione, ma anche sulla complicità tra suoi uomini politici e associazioni di stampo mafioso. Il Partito fu costretto ad iniziare un profondo rinnovamento che passò pure attraverso il ritorno al vecchio nome di Partito Popolare.

Fu in queste condizioni che ci si avvicinò alle elezioni politiche anticipate del marzo 1994 in cui si presentò uno schieramento nuovo denominato Polo delle libertà capeggiato da un nuovissimo partito nato dal nulla in quei mesi, Forza Italia, a cui, tra gli altri, si contrappose un altrettanto inedito schieramento denominato Progressista.

Prima di procedere all’analisi di quanto poi successivamente accaduto, è necessario soffermarsi sulle novità istituzionali di questo periodo.

Da un punto di vista dell’economia, i Governi di questi anni furono impegnati a combattere un tasso di disoccupazione sempre più elevato e un debito pubblico ormai di dimensioni ciclopiche.

Anche sull’onda delle teorie economiche neoliberiste dominanti, con un po’ di ritardo pure in Italia prese l’avvio un processo di graduale privatizzazione delle principali imprese pubbliche, comprese quelle in attivo e con andamenti economici positivi.

In ossequio ai tradizionali principi liberisti, secondo i quali lo Stato doveva limitare al massimo la sua presenza sul mercato, luogo riservato esclusivamente all’iniziativa privata, il Governo italiano iniziò a liberarsi di un patrimonio inestimabile e di un importante strumento di intervento nell’economia.

Nel 1992 i Paesi aderenti alla Comunità Europea sottoscrissero il trattato di Maastricht che istituì l’Unione Europea, ponendo, tra l’altro, le basi per l’adozione di una moneta unica in Europa.

Da un punto di vista più strettamente politico-istituzionale, a fronte della incapacità già segnalata di attivare sostanziali riforme istituzionali della classe politica, alcuni esponenti di vari partiti decisero di rivolgersi direttamente ai cittadini italiani raccogliendo le firme per promuovere una serie di referendum abrogativi, tra i quali particolare rilievo assunsero quelli relativi alle leggi elettorali per il Parlamento e per i Comuni e le Province.

In particolare si richiedeva di superare il vigente sistema elettorale di tipo proporzionale introducendo un nuovo sistema elettorale maggioritario che doveva scoraggiare l’eccessiva frammentazione politica, instaurando un rapporto più diretto tra cittadini ed eletti a scapito della partitocrazia dominante, ma soprattutto doveva favorire la formazione di due schieramenti o coalizioni contrapposti che avrebbero finalmente aperto la strada a una democrazia dell’alternanza.

Per chi avesse avuto ancora qualche dubbio, la caduta dei regimi comunisti e la nascita del PDS determinarono il venir meno delle ultime pregiudiziali anticomuniste e la convinzione sempre più diffusa che solo una democrazia che avesse garantito il ricambio e l’alternanza al Governo tra maggioranza e opposizione poteva rappresentare la migliore difesa contro la corruzione politica.

Senza dubbio la "democrazia bloccata" degli anni precedenti aveva favorito la degenerazione del sistema dei partiti di Governo, con i fenomeni del clientelismo, delle lottizzazioni politiche e delle tangenti che ora venivano alla luce. Tali partiti operavano nella convinzione che la mancanza di un vero e proprio ricambio politico alla guida del Paese li avesse resi immuni da ogni responsabilità.

La presenza degli stessi uomini al potere per così lungo tempo aveva favorito anche fenomeni di tipo consociativo con le opposizioni che rendevano spesso poco trasparente e incomprensibile la politica italiana.

Il referendum abrogativo per il sistema elettorale relativo ai Comuni e alle Province non ebbe luogo perché il parlamento riuscì ad approvare nel 1993 una nuova legge che prevedeva sia l’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Giunta provinciale che un sistema elettorale di tipo maggioritario il quale aveva lo scopo di garantire maggiore stabilità ai Governi locali.

Ebbe invece luogo il referendum abrogativo relativo alla legge elettorale del Senato che fu parzialmente abrogata con una grandissima maggioranza. A questo punto il Parlamento fu costretto ad intervenire approvando la nuova legge elettorale sia per la Camera che per il Senato, che introdusse in Italia un sistema di tipo maggioritario corretto, cioè con una quota di parlamentari da eleggere ancora in modo proporzionale.

Le elezioni politiche anticipate del marzo 1994, tenutesi sull’onda degli importanti eventi prima descritti, diedero risultati completamente nuovi rispetto ai tradizionali equilibri di potere italiani.

La nuova legge elettorale, effettivamente, favorì il formarsi di due coalizioni di partiti contrapposte che si batterono per la conquista del seggio nell’ambito della maggior parte di ogni collegio uninominale.

Da una parte si presentò lo schieramento dei Progressisti che riuniva Rifondazione Comunista, il Partito Democratico della sinistra, gli Indipendenti di sinistra, il Partito Socialista e altre formazioni minori o di recente costituzione: la Rete, i Verdi, Alleanza Democratica, i Cristiano Sociali.

Dopo molti anni la sinistra tornava ad unirsi su un programma riformista e di valorizzazione dello Stato sociale.

Dall’altra parte, in netta contrapposizione a questo schieramento, il partito di recente formazione denominato Forza Italia, creato e capeggiato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, si rese promotore di un singolarissimo sistema di alleanze: al nord del Paese con la Lega Nord e al sud con l’ex Movimento Sociale, divenuto ora Alleanza Nazionale, che, contraddittoriamente, al nord si presentava antagonista alla stessa Lega; in alcuni casi la coalizione si estese anche ai candidati del Centro Cristiano Democratico, movimento nato da una corrente di destra dell’ex Democrazia Cristiana.

Tali alleanze, denominate Polo delle libertà al nord e Polo del buon Governo al sud, di cui Berlusconi divenne l’indiscusso leader trainante, si presentavano con un programma elettorale conservatore, di stampo decisamente liberista e con radicali ipotesi di riforma della Costituzione.

A questi due schieramenti contrapposti si aggiungevano, principalmente, uniti nel Patto per l’Italia, il Partito Popolare italiano e il Patto Segni. Quest’ultimo, ex democristiano, si era battuto più di ogni altro proprio per la bipolarizzazione della politica italiana, ma ora rischiava di soccombere schiacciato tra i due nuovi schieramenti.

I Progressisti ottennero circa il 34% dei voti; il Polo delle libertà circa il 43%; il Partito Popolare l’11% e il Patto Segni il 4,6%.

Ma l’attribuzione dei seggi, a causa dell’effetto maggioritario del nuovo sistema elettorale, nonostante la prevista quota proporzionale, accentuò ulteriormente questi inediti risultati elettorali.

Alla Camera dei Deputati ai Progressisti andarono il 33% dei seggi; al Polo delle libertà il 57%; al Partito Popolare il 5,2%; al Patto Segni il 2%.

Un vero e proprio terremoto politico senza precedenti nella storia della Repubblica italiana.

Il vincitore indiscusso della tornata elettorale risultò essere Berlusconi e ad esso il Presidente della Repubblica affidò l’incarico di formare il nuovo Governo al quale parteciparono principalmente i partiti della coalizione del Polo delle libertà che, grazie al sistema elettorale maggioritario, sia pure con solo il 43% dei voti, si apprestava a dirigere il Paese.

Per la prima volta dal 1946 il Parlamento e il Governo si trovavano dominati da partiti che non avevano collaborato alla stesura della Costituzione perché nati successivamente ad essa (Lega Nord e Forza Italia) o, addirittura, ad essa stessa ostili (Alleanza Nazionale, ex Movimento Sociale).

Fino alle elezioni politiche del marzo 1994 dominarono invece la scena politica quegli stessi partiti che avevano edificato la democrazia italiana (Democrazia Cristiana, Partito Comunista, poi divenuto Partito Democratico della sinistra e Rifondazione Comunista, Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Repubblicano, Partito Liberale) e che erano riusciti a raggiungere ad ogni tornata elettorale almeno oltre il 70% dei suffragi e dei seggi in Parlamento. Ora la loro forza era ridimensionata, complessivamente, a meno del 50% dei voti, corrispondenti, con il nuovo sistema elettorale, per esempio alla Camera, a circa il 40% dei seggi.

L’epoca del bipartitismo imperfetto, basato sul potere della DC e dei suoi alleati e su un PCI sempre relegato all’opposizione, durata oltre quarant’anni, era definitivamente conclusa.

L’epoca di quella che, sia pure impropriamente, osservatori, giornalisti e uomini politici definiscono ora "Prima Repubblica" era giunta al termine.

La ricostruzione in questo capitolo degli eventi che caratterizzarono le vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994 e della "Costituzione vivente" è stata attualmente resa possibile dal definitivo tramonto del bipolarismo mondiale Est-Ovest e dalla conclusione di un ciclo storico ormai ben definito anche per l’Italia, paese spesso drammaticamente condizionato proprio da quello stesso bibolarismo.

Servizi segreti deviati, poteri occulti e logge massoniche segrete, terrorismo e stragismo, mafia, clientelismo e corruzione politica e quant’altro ebbe a che fare con la gestione della cosa pubblica, rappresenterebbero fenomeni inspiegabili se non venissero correttamente inquadrati nella condizione storico politica italiana e internazionale dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.

In conclusione dell’esame delle vicende politico-istituzionali italiane dal 1946 al 1994 è oggi possibile affermare con una certa sicurezza che poteri forti, più o meno sotterranei, e che una parte della società italiana non accettarono mai completamente le grandi idealità democratiche, liberali, socialiste e del cattolicesimo sociale che si posero a base del contenuto della Costituzione, nata dalla fine di una dittatura e di una guerra rovinosa, e che il gioco politico in quei decenni si svolse, almeno in parte, a carte truccate.

Attualmente non è ancora possibile descrivere e commentare gli eventi politico-istituzionali degli ultimi anni senza assumere il tono del cronista o del commentatore politico anziché quello dello studioso. Ma è evidente a chi scrive che l’attuale dibattito sulle riforme istituzionali e sulle importanti modifiche alla Costituzione che si profilano ormai prossime non possa prescindere da quelle conclusioni; così come non può prescindere dalle grandi idealità di democrazia, di libertà, di giustizia e di solidarietà espresse dalla stessa Carta Fondamentale e dalle promesse che esse generarono e che attendono ancora di essere pienamente realizzate.

Graziano Galassi
Vignola, 1 maggio 1996
www.grazianogalassi.it