Intervenendo alla Direzione dei DS

D'ALEMA RITIENE SUPERATO L'ART. 11 DELLA COSTITUZIONE "L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA''

Con la riunione della Direzione dei DS del 14 ottobre l'asse D'Alema-Fassino ha regolato i conti con il "correntone'' che riunisce le varie anime della "sinistra'' interna e ribadito la linea riformista e filoimperialista di Pesaro. Un passo praticamente obbligato per la ripresa del rapporto con la Margherita e la ricomposizione dei cocci dell'Ulivo andato in pezzi sul voto in parlamento per l'invio degli alpini in Afghanistan.
Si trattava soprattutto, per la leadership eletta alle assise di Pesaro, di riallineare il partito alle posizioni dell'imperialismo occidentale sui temi del terrorismo e della guerra, e di mettere l'opposizione interna in condizione di non nuocere in vista di nuovi passaggi parlamentari, come nel caso di un intervento militare in Iraq. Cosa che è stata fatta approvando con 178 voti contro 59 una risoluzione di approvazione della relazione del segretario, Piero Fassino, che da una parte accoda ufficialmente la linea dei DS a quella di Blair, cioè di adesione alla guerra all'Iraq voluta a tutti i costi da Bush, purché sotto la foglia di fico "legale'' del Consiglio di sicurezza dell'Onu, e dall'altra sancisce il principio maggioritario per le decisioni da prendere in sede parlamentare: vale a dire che d'ora in poi il "correntone'' dovrà adattarsi a votare disciplinatamente come deciderà la maggioranza dei gruppi parlamentari della Quercia.

Nella sua relazione, infatti, Fassino ha messo l'accento su tre punti:

  1. La posizione di compromesso della Quercia sugli alpini in Afghanistan non mette in dubbio per i DS l'uso della forza e la loro collocazione internazionale a fianco degli Usa e dell'Europa contro il "terrorismo''.
  2. Nessuno può dare ai DS lezioni in questo campo, come dimostrano gli interventi in Albania, Bosnia, Kossovo e Timor Est, e i 9.000 soldati italiani all'estero inviati in gran parte dai governi di "centro-sinistra'' o con il convinto sostegno della Quercia.
  3. Il "carattere strategico'' dell'alleanza Europa-Stati Uniti e l'assenza nel partito dei DS di qualsiasi "forma di pregiudizio antiamericano''.

Su questa base Fassino ha così riformulato in maniera ufficiale e vincolante la linea del partito sull'incombente guerra all'Iraq: "Non possiamo condividere la forzatura unilaterale dell'Amministrazione Bush. Mentre diciamo `sì' ad ogni iniziativa posta in essere dall'Onu, dal momento che si tratta dell'unica sovranità che può agire sulla base di una legittimazione internazionalmente riconosciuta. Ecco perché, anche in questa vicenda, è essenziale per noi ancorare il nostro profilo internazionale - in coerenza con l'impianto convenuto ancora nell'incontro dei leaders del PSE di qualche giorno fa a Londra presieduto da Tony Blair - al ruolo delle Nazioni Unite''.

VELENOSO ATTACCO ALL'ART. 11

Ma, per quanto ipocrita e infame, questa formulazione non esprime fino in fondo tutta la gravità della posizione dell'asse D'Alema-Fassino sulla guerra. Per capirlo appieno occorre completare l'intervento di Fassino con quello del capofila dei rinnegati della Quercia, il presidente dei DS Massimo D'Alema. Il quale è andato addirittura oltre le affermazioni di Fassino, legittimando la "guerra preventiva'' di Bush e attaccando sprezzantemente chiunque, pacifisti e antimperialisti, si opponga alla guerra, spingendosi fino a sferrare un attacco diretto all'articolo 11 della Costituzione, che ripudia la guerra "come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali''.

Da consumato gesuita della politica D'Alema l'ha presa larga, sostenendo che il dibattito su pace e guerra "non può essere ridotto al tema della guerra preventiva'', che "siamo di fronte a un quadro più complesso'', che "il tema del terrorismo è sempre in primo piano'', che un attentato come quello di Bali "è vissuto come una minaccia personale da milioni di nostri concittadini europei'', i quali sono spinti a destra dal "bisogno di sicurezza'', che a sua volta è "un bisogno di massa e non un'invenzione dell'imperialismo americano'', e che pertanto "non possiamo partire dal dire no a Bush in nome soltanto di un rispettabile pacifismo''. "Il tema della pace e della guerra in un mondo globalizzato - ha proseguito D'Alema - non si pone così come si poneva nell'epoca in cui le relazioni internazionali erano sostanzialmente rapporti tra Stati. Noi viviamo in un mondo sempre più unificato in cui le esigenze dell'ordine e della sicurezza, la regolazione della forza, sono necessità a cui dare risposta in termini di regole e di istituzioni globali''.

E qui, sospendendo la lettura del testo scritto e proseguendo a braccio, ha lanciato il suo velenoso affondo: "Non basta l'articolo 11 della Costituzione, che fu pensato in un'epoca in cui la guerra era appunto un mezzo di risoluzione dei conflitti tra gli Stati e non il problema dell'uso della forza in un mondo globale. Questo significa per la sinistra a mio giudizio proporre un'altra strategia: costruzione della pace, ma insieme sicurezza fondata anche sulla possibilità del ricorso alla forza''.

Ecco dove voleva andare a parare il capofila dei rinnegati! All'abolizione dell'art. 11 della Costituzione, né più né meno e quasi con le stesse parole che ha usato Berlusconi nel suo discorso alla Camera del 25 settembre scorso, quando ha definito "superato'' l'art. 11 a causa della minaccia "globale'' del terrorismo internazionale e altre balle del genere. Allora il neoduce, per giustificare il suo schieramento a fianco di Bush e della sua teoria guerrafondaia della "guerra preventiva'', sostenne che "alle nuove preoccupazioni strategiche dell'amministrazione americana non si può semplicemente rispondere con un'alzata di spalle''. Non è, in tutta evidenza, lo stesso concetto ripetuto oggi da D'Alema, quando dice che alla "guerra preventiva'' di Bush non si può rispondere solo con un no e appellandosi all'art. 11 della Costituzione?

CONVERGENZA NEOFASCISTA E IMPERIALISTA

Il problema, tanto per i neofascisti quanto per i rinnegati, è che l'art. 11, nella sua chiara e inequivocabile formulazione frutto dell'esperienza ancora viva della seconda guerra mondiale e della Resistenza antifascista, secondo la quale mai è consentito il ricorso alla forza per risolvere le controversie internazionali, smaschera le loro posizioni interventiste, guerrafondaie, neocolonialiste e imperialiste malamente dissimulate sotto il mantello dell'Onu, della "lotta al terrorismo'' e degli "interventi umanitari''. Per questo motivo l'art. 11 è entrato nel loro mirino e non vedono l'ora di sbarazzarsene. In particolare da parte del rinnegato D'Alema, che lo ha già ignominiosamente calpestato con la guerra alla Serbia del 1999, dando il via ai bombardieri prima ancora di informare il parlamento. Il suo attacco di oggi all'art. 11 non è altro quindi che la prosecuzione logica di quell'infame atto commesso da presidente del Consiglio.

A questo riguardo è stupefacente (a voler essere generosi) la contentezza con cui Ingrao, che si professa difensore dell'art. 11 della Costituzione, ha accolto l'attacco di D'Alema, eprimendogli in un fondo sul quotidiano trotzkista "il manifesto'' del 16 ottobre il suo apprezzamento "per la schiettezza con cui il leader diessino - finalmente! - ha affrontato questo tema duro e gravido di responsabilità''. A sentir lui sembra quasi che il capofila dei rinnegati non l'abbia fatto al solo scopo di attaccare l'art. 11 e chiederne l'abolizione. E dove abbia visto questa "schiettezza'' nel suo perfido e velenoso intervento, questo lo può sapere solo il vecchio decano dei trotzkisti italiani nei meandri della sua contorta mente di imbroglione neopacifista.

Il fatto è che con la sua uscita D'Alema vuole anche cancellare alla svelta la "macchia'' del voto contro il governo sull'invio degli alpini in Afghanistan nel quadro di "Enduring freedom'' e rassicurare la borghesia e gli imperialisti, ora che con il governo Berlusconi in difficoltà si riaccendono le speranze governative dei rinnegati diessini. Tant'è vero che concludendo il suo intervento D'Alema ha invitato l'Ulivo "che c'è'' a prepararsi ad affrontare la "crisi del berlusconismo'' sfidando il presidente del Consiglio sul suo stesso tema preferito, quello delle "riforme istituzionali'' (tra le quali rientra appunto anche l'abolizione dell'art. 11 della Costituzione), senza "attestarci nella difesa dello status quo''.

Dal che si vede come D'Alema non abbia mai veramente abbandonato il disegno neofascista e presidenzialista che aveva cominciato e portato avanti per un certo tratto assieme al neoduce Berlusconi nella Bicamerale golpista. Disegno che, ora che l'Ulivo è in frantumi e completamente da ridisegnare, ripropone assieme a Giuliano Amato, con il quale ha preso la testa della destra della coalizione scippandola di fatto a Rutelli.

Partito marxista-leninista italiano
Firenze, 25 ottobre 2002
da "Il Bolscevico"