Non capita tutti i giorni di trovare quasi mille persone in assemblea, un venerdì sera (2 marzo 2002
ndr), in un comune di ottomila abitanti: da mesi, sono in lotta contro la costruzione di una centrale
elettrica del gruppo Moratti, in un territorio già molto compromesso sul piano ambientale.
Sono
molte le situazioni in Italia che stanno
lottando per lo stesso obiettivo, impedire
cioè di costruire nuove centrali,
tutte private.
E la prossima settimana il
Forum ambientalista riunirà tutti i
comitati per fare il punto.
Lotte importanti,
dunque, in tempi come questi, in
cui si è sviluppata una grande sensibilità
per i problemi della salute e dell'ambiente.
Non è scontata è la reazione dei cittadini
di fronte ad amministratori e
politici che si esprimono sulla questione.
Ci sono, naturalmente, grandi
applausi a tecnici e giuristi che offrono
consulenze gratuite per la vertenza; ci
sono apprezzamenti, ma anche scetticismo,
verso alcuni amministratori
della zona che si schierano per una
linea ambientalista: troppe contraddizioni
nel corso di questi anni perché
possano passarla liscia.
Va bene se
stanno contro la centrale, ma allora
devono rendere conto di altre scelte
non coerenti.
Non è un caso che si
aprano battibecchi con il senatore dei
Ds mentre invece sono interrotti da
applausi gli interventi di Rifondazione
comunista: si bocciano demagogia e
populismo e si riconosce la coerenza di
un partito che si è battuto, solo, contro
la privatizzazione dell'Enel e la liberalizzazione
del settore, di cui è figlia la
centrale di Arcola, come tutte le altre.
Il
governo Berlusconi ha, come in altre
vicende, la responsabilità di realizzare
nel modo più liberista possibile il progetto
per le centrali, ma le basi sono state
poste, anche qui, dal governo di centrosinistra.
Ho voluto richiamare una concreta esperienza di lotta, testimone delle vertenze che compongono le
tante facce dei movimenti, per rispondere alla domanda che ci siamo sentiti ripetere in questi giorni:
perché voi di Rifondazione comunista non scendete in piazza con l'Ulivo? Appunto, perché è una manifestazione
dell'Ulivo.
Come sempre tra chi ti interroga c'è il solito malizioso che vorrebbe dimostrare che Rifondazione
comunista è un partito autoreferenziale e minoritario, votato all'isolamento, ma c'è anche un popolo
che, senza alcun intento strumentale, esprime un sentimento, mettendo insieme desideri e senso comune.
Il desiderio è quello di tornare tutti insieme a fare una grande opposizione, il senso comune è quello
che ti fa pensare che se vai in piazza tu, che hai votato Ulivo, non possono mancare i compagni di
Rifondazione, che in piazza non hanno smesso mai di andarci.
E forse, proprio questa mescolanza mancata sarà usata ancora una volta, strumentalmente, per far apparire
schizzinoso il gruppo dirigente del Prc.
Ma, come si sa, un gruppo dirigente è tale se si assume sempre gli oneri, oltre agli onori.
E' proprio il senso di responsabilità, per guardare lontano, dunque, che deve impedire, oggi, di prendere
facili scorciatoie.
Se Bertinotti avesse ceduto alle sollecitazioni, anche sincere, di singoli esponenti dei Ds, o alle
pressioni, più maliziose, di opinionisti ulivisti, avrebbe fatto un servizio alle sinistre? Non basta
aver condotto insieme battaglie parlamentari, pure importanti, come quelle contro il conflitto di
interessi, la legge sulle rogatorie, il falso in bilancio, per azzerare divergenze non risolte.
Ancora una volta è necessario tornare sul carattere dell'opposizione e sulle caratteristiche delle
destre che governano il paese.
E' obbligatorio ribadire che Berlusconi non è “un'anomalia delinquenziale” (come scrive giustamente
Asor Rosa), ma l'espressione di un sistema di alleanze che strategicamente cancella lo stato sociale,
insieme allo stato di diritto.
Egli sta facendo in Italia, con il valore aggiunto che riguarda i suoi interessi privati e il populismo
“machista” della Lega, quanto stanno facendo Aznar, Bush, Blair da altre parti: una rivoluzione liberista.
Non è con un embrassons nous dell'ultima ora che si possono seriamente mettere le basi per una efficace
opposizione, ma, al contrario, ripercorrendo le ragioni che hanno diviso le sinistre in questi anni:
il giudizio sulla globalizzazione capitalista, le sue conseguenze sul piano economico e sociale, una
politica separata che si è tradotta, non a caso, nell'esaltazione del governo fine a se stesso e reso
passivi gli elettori.
Mentre, in questi anni, l'Ulivo
governava, rendendo sempre più confusa
e confondibile con quella delle
destre, la sua politica, Rifondazione
comunista ha tentato, sola, di tenere la
barra dei contenuti per non perdersi
nelle complessità e nelle difficoltà del
momento.
Mentre l'Ulivo declamava
meravigliose opportunità che avrebbero
dischiuso i processi di modernizzazione,
noi apparivamo delle Cassandre,
nelle nostre previsioni catastrofiche
sulle povertà e contraddizioni che
individuavamo in un futuro non lontano,
ma i fatti ci hanno dato ragione.
Oggi è necessario fare i conti con questa
seconda fase della rivoluzione capitalista,
con il carattere costituente della
guerra, con un governo che è costretto
ad alzare il tiro nello scontro con il
sindacato, che usa il pugno di ferro
contro ogni regola che lo infastidisca,
che fa rastrellamenti di prostitute,
immigrati e zingari.
E non è per una fortunata
coincidenza, se ci possiamo
fare i conti avendo alle spalle un lungo
e faticoso impegno nella costruzione
di un movimento internazionale, che
ha fatto crescere una nuova generazione
di ragazze e ragazzi protagonisti della
politica.
Non è un caso se, mentre
l'Ulivo manifestava a Roma, il Coordinamento
nazionale del Social forum si
riuniva a Bologna per fare il bilancio di
Porto Alegre e per preparare il prossimo
appuntamento europeo.
Sempre a
Bologna era in corso la riunione nazionale
degli studenti medi e universitari,
e in 30mila hanno partecipato alla
manifestazione contro il centro di
detenzione degli immigrati.
Perché mai, dunque, avemmo
dovuto rimuovere la storia concreta e
attuale di questi anni, in virtù di un
buonismo controproducente, partecipando
a una manifestazione identitaria
di un centro sinistra in crisi? “L'Italia
s'è desta” non è una piattaforma di
opposizione, è semplicemente uno
slogan che consente di non sbilanciarsi.
Non sbilanciarsi sulle tante questioni
che dividono il centro sinistra, rese
evidenti negli umori che si manifestavano
con i fischi agli oratori di turno;
non sbilanciarsi sul carattere dell'opposizione,
che, dice chi stava a piazza
San Giovanni, deve essere più dura, ma
non è chiaro più dura su cosa; non sbilanciarsi
sulle prospettive politiche
dell'Ulivo come coalizione, mentre
non passa giorno in cui i dirigenti dell'Ulivo
non si criticano pesantemente
gli uni con gli altri.
Assumersi le proprie
responsabilità, avere a cuore le prospettive
delle sinistre, significa allora
avere il coraggio di apprezzare la ritrovata
voglia di partecipare, ma non
accontentarsi di questa per illudere e
illudersi che una nuova stagione sia già
in atto.
Responsabilmente, il segretario
del Prc ha indicato alcuni obiettivi
comuni per portare in piazza, insieme,
il popolo dell'Ulivo e quello di Rifondazione
comunista: la libertà e il pluralismo
dell'informazione, che per noi
parla del ruolo di una Rai pubblica
come della possibilità di esistere per
Radio Gap; il referendum per estendere
i diritti dell'articolo 18 ai lavoratori
delle aziende sotto i 15 dipendenti e
quello per le rogatorie.
Il gruppo dirigente del centro sinistra
non ha dato risposte. Non lo giudichiamo.
Vorremmo dire, però, che
quando sentiamo ancora così forti, tra
gli iscritti del centrosinistra, il risentimento
per la nostra rottura con il
governo Prodi, abbiamo la conferma
che non bastano gli appelli per stare
insieme.
Qualche dirigente dei Ds ha
sperimentato con noi l'impegno e l'entusiasmo
del movimento di Porto Alegre:
può ben comprendere perché non
è possibile, per chi ha fatto tanta strada,
guadagnando, su ogni questione, una
dimensione internazionale, tornare a
polemizzare sulle solite cose di casa
nostra, senza neppure aver voglia di
riconoscersi reciprocamente.
Ma, poiché
il “disgelo” ha contaggiato anche il
centro sinistra, vogliamo prendere il
meglio della giornata di ieri, e cioè la
voglia di esserci, per darci appuntamento
allo sciopero generale e alla
manifestazione del 23 marzo.