Elezioni amministrative del 13 maggio 2001. Un test elettorale importante.
TRACCE DI PROGRAMMA PER LE ELEZIONI COMUNALI

Un test elettorale importante

Nella primavera del 2001, oltre alle elezioni politiche per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato, si svolgerà un importante test elettorale amministrativo. Per il rinnovo dei consigli comunali saranno chiamati alle urne 129 comuni sopra i 15.000 abitanti e 1149 sotto i 15.000 abitanti, per un totale di 1278 comuni. Fra questi, spiccano alcuni capoluoghi di regione, come Roma, Napoli, Milano, Torino, Ancona, Catanzaro, Cagliari, Trieste.

L'ampiezza della consultazione è tale da assumere un'evidente valenza politica. Il fatto poi, che essa avvenga in contemporanea con le elezioni politiche, ne rafforza ulteriormente il significato. Ma al di la di queste considerazioni, questo test assume una particolare importanza in quanto gli enti locali saranno destinati nel corso dei prossimi anni ad assumere un ruolo maggiore per effetto delle nuove competenze che gli sono state attribuite. Il paradosso sta semmai nel fatto che accanto a tali crescenti funzioni, le risorse disponibili sono state progressivamente ridotte per effetto di scelte di politica economica assai discutibili.

Negli ultimi 10 anni i tagli e il contenimento delle risorse trasferite agli Enti locali hanno assommato, infatti, ad oltre 60 mila miliardi mentre, nello stesso periodo e, in particolare dal 90 in poi, i comuni hanno fatto fronte alle minori risorse con aumenti delle entrate tributarie praticamente raddoppiandole. Nel complesso, quindi, ai comuni e alle province sono mancate risorse per oltre 40 mila miliardi.

Le ultime finanziarie hanno inoltre aggravato ulteriormente la condizione economica degli Enti Locali, attraverso il patto di stabilità interna in virtù del quale non solo è stata accresciuta l'imposizione fiscale locale, ma si è incentivata la dismissione del patrimonio pubblico, si è sollecitato l'incremento delle tariffe, si è limitato l'intervento nelle opere pubbliche senza contare le limitazioni poste sul piano degli organici. Inoltre con appositi strumenti legislativi si è avviata una politica di privatizzazione dei servizi che avrebbe potuto essere ancora più significativa se la fine della legislatura non avesse impedito l'approvazione del provvedimento sulla privatizzazione dei servizi a rete.

Gli effetti di tali scelte sono stati devastanti: è cresciuta la pressione fiscale sui cittadini e in modo particolare sulle fasce a basso reddito, nel frattempo si è indebolita la funzione redistributrice degli enti locali anche in virtù del ridimensionamento dell'offerta di servizi sociali, le aree socialmente più compromesse sono rimaste emarginate in assenza di investimenti adeguati in opere pubbliche, si è indebolita la funzione programmatori a dell'ente locale in modo particolare per quanto riguarda le dinamiche territoriali, mentre quote di sovranità pubblica è stata ceduta ai privati.

Tali scelte in campo politico amministrativo- sono intervenute in una fase di profonde trasformazioni sul piano socio-economico caratterizzate dal mutamento dei mercati del lavoro urbano, con l'estendersi di disoccupazione e precariato, dalla modifica della base economica delle città, con l'affermarsi di nuovi processi di terziarizzazione, dal modificarsi delle stesse culture (per l'estendersi di nuovi fenomeni come l'immigrazione, per l'allentarsi della rete di relazioni sociali, per il venir meno di una partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica).

Tutto ciò ha comportato il prodursi di un fenomeno di disgregazione sociale con l'affermarsi anche nelle città di un'egemonia moderata. I segni di tale egemonia sono rintracciabili nell'affermazione di culture localiste, nella presa che hanno avuto i richiami allarmistici al problema della sicurezza, nei rivolgimenti politici che si sono avuti in precedenti elezioni amministrative, con il passaggio alla destra di governi locali tradizionalmente di sinistra. Un nuovo blocco sociale rischia pertanto di affermarsi nelle città come coagulo di interessi che ruotano intorno alla rendita urbana, dell'estendersi di una rete di attività economiche che traggono impulso dalla stessa dismissione di funzioni pubbliche, dal prodursi di nuovi fenomeni clientelari in assenza di diritti universali certi.

Nasce da qui lo sforzo compiuto con l'elaborazione di questo programma nazionale per i comuni. Al centro vi è il tentativo, attraverso la restituzione di una funzione centrale all'intervento pubblico, di ricostruire una coesione sociale fondata sulla disponibilità di una rete qualificata di servizi, di superare gli squilibri sociali attraverso la riattivazione di una politica redistributiva, di intervenire sulla marginalità sociale favorendo politiche di inclusione, di garantire il diritto collettivo alla città recuperando luoghi di socializzazione e risanando le aree degradate e periferiche, di valorizzare le risorse locale attivando un percorso di sviluppo fondato sulla multipolarità, l'intersettorialità e le sinergie fra risorse produttive e risorse sociali, rianimando una società civile disorientata attraverso il recupero di una dialettica politica nelle istituzioni e allargando le occasioni di partecipazione.

Per una politica di bilancio tesa alla redistribuzione del reddito

Sempre più difficile diventa la costruzione di politiche di bilancio capaci di dare valide risposte al complesso ventaglio di problemi delle città e dei territori. La forte riduzione dei trasferimenti e il patto di stabilità, rappresentano difficoltà oggettive al mantenimento dei servizi, al finanziamento di progetti di sviluppo e a interventi anche coordinati con altri Enti sul territorio. Non solo, la stessa politica tariffaria e impositiva che è stata praticata a livello locale per compensare almeno in parte i mancati trasferimenti ha determinato un'ulteriore pressione sui redditi, specialmente su quelli medio bassi. Gli effetti di tale situazione sono già visibili a livello locale, dove si sta determinando un fenomeno crescente di polarizzazione sociale, con il prodursi di squilibri di reddito e con l'allargamento delle fasce marginali. Per contrastare queste tendenze è necessario garantire agli enti locali adeguate risorse e nel contempo assumere la redistribuzione del reddito come linea guida delle politiche locali. E' evidente che questi indirizzi richiedono una svolta profonda delle scelte di politica economica, a partire dal ripristino di adeguati finanziamenti agli enti locali, ma ad ogni modo è possibile praticare anche a livello locale scelte conformi a tali indirizzi. I punti essenziali possono essere così riassunti.

  1. Una progettazione proiettata ad acquisire risorse straordinarie della Unione Europea e di leggi nazionali (sostegno e incentivazione ad iniziative produttive, formazione professionale, recupero e riqualificazione urbana ecc.), recuperando, laddove ne esistono le possibilità, una progettualità per aree più vaste del singolo comune attraverso forme dinamiche di associazione tra Enti locali;
  2. Un'azione tesa a ridurre spese non sufficientemente giustificate (consulenze esterne, progettazioni per opere pubbliche con finanziamenti incerti, ricorso eccessivo agli straordinari);
  3. Una gestione economica del patrimonio disponibile (terriero, boschivo e immobiliare);
  4. Un'azione tesa a promuovere una campagna per recuperare evasioni tributarie, come ICI, rifiuti IRAP e altre imposte o tasse comunali, soprattutto quando ciò è riscontrabile da fonti e riscontri certi; soprattutto per l'ICI quando non è stata aggiornata la destinazione d'uso e la rendita catastale. È essenziale che tali iniziative di recupero non siano affidate a società esterne, che lucrano sugli aggi. È importante, al contrario, che il recupero delle evasioni si attui attraverso una riorganizzazione del sistema delle entrate teso a riqualificare le strutture e i procedimenti amministrativi dell'Ente, al fine di evitare che dopo il "passaggio degli accertatori esterni" si ricominci ad accumulare nuova evasione;
  5. L'attiva collaborazione del Comune rispetto al recupero dell'evasione dell'IRPEF, lasciando quota di quanto recuperato ai comuni che può rappresentare un'efficace strumento di lotta all'evasione fiscale e nel contempo una risorsa;
  6. Una politica tariffaria che tenti di introdurre elementi di salario minimo sociale al fine di favorire i disoccupati e quelle categorie particolarmente povere o sprovviste di redditi;
  7. La rimodulazione delle tariffe e delle imposte con attente e precise scelte tese a salvaguardare i livelli di protezione sociale esistenti e futuri definendo una griglia di fasce d'utenza protetta anche attraverso l'attuazione di nuovi servizi, individuando un sistema di riparametrazione che preveda tendenzialmente la riduzione della pressione sui redditi più bassi e l'incremento su quelli più alti;
  8. Una proposta articolata sull'ICI, tesa a ridurre la tassa sulla sola prima casa per redditi medi bassi ed aumentandola sulla seconda e terza casa;
  9. Per i servizi a domanda individuale (asili nido, mense, trasporti, rette per anziani, ricoverati ecc.) la diversificazione dei contributi sulla base dei redditi familiari, anche attraverso accertamenti reddituali e patrimoniali.

Per una politica di piena occupazione e per la tutela dei lavoratori

Va da subito precisato che le Autonomie Locali, soprattutto Comuni e Province, da sole non sono in grado di dare risposte adeguate al problema occupazionale. Ne consegue che gli Enti Locali nel riprogettare i percorsi dello sviluppo, devono inevitabilmente attivare progetti capaci di far scendere in campo anche altri soggetti per coinvolgerle in uno sforzo sinergico capace di attivare e mobilitare forze, potenzialità e risorse. Ciò non significa, tuttavia assumere un orientamento, come invece si è affermato negli ultimi anni, teso ad abdicare la funzione di programmazione dello sviluppo dell'ente pubblico. Né significa che l'ente locale debba rinunciare a svolgere direttamente una funzione positiva sul piano della lotta alla disoccupazione e al superamento di condizioni di lavoro precarie o irregolari. La nostra ottica è di restituire all'ente locale, pur nei limiti delle sue competenze un ruolo incisivo. I terreni privilegiati di tale intervento sono: la promozione diretta di nuove opportunità di lavoro da parte dell'ente locale, la stabilizzazione dei lavoratori che attualmente gravitano su attività promosse dall'ente pubblico, il potenziamento della dotazione infrastrutturale delle città, un'attività di promozione delle attività produttive, specie di quelle minori. Nel concreto, questi orientamenti si sostanziano nei seguenti punti:

  1. La proposta di un piano del lavoro per le città medio grandi e per le aree intercomunali, articolato su settori d'intervento, costruito a partire dalle possibilità di azione degli enti locali e capace di coinvolgere tutti i soggetti interessati, ivi compreso il sistema delle imprese.
  2. Il completamento della dotazione organica dei comuni per garantire servizi efficienti e rispondenti alle esigenze dei cittadini e, nel contempo, per eliminare ogni forma di rapporto precario con i dipendenti. In ogni caso, nell'esercizio di quelle funzioni che attengono alla politica sociale e alla ridistribuzione delle risorse è da escludere ogni forma di esternalizzazione;
  3. La stabilizzazione dei Lavoratori Socialmente Utili, garantendo loro sicurezza del lavoro e del salario, riservando quote di posti per i concorsi, perseguendo altre forme di assunzioni da concordare con altre istituzioni e privati;
  4. Una politica di controllo delle attività affidate a terzi, per la tutela, nei protocolli degli appalti, dei diritti dei lavoratori e il superamento di condizioni di abuso, consentite dalla normativa in vigore (come nel caso dei soci lavoratori delle cooperative sociali).
  5. La predisposizione di progetti finalizzati a riqualificare i centri storici, le periferie e parti del tessuto urbano degradato e al potenziamento della struttura dei servizi sociali;
  6. L'assunzione di un ruolo significativo da parte degli enti locali nella gestione delle crisi aziendali e la definizione di piani di riassetto industriale orientati alla riqualificazione produttiva nell'ambito della compatibilità ambientale;
  7. L'avviamento di un piano di formazione professionale, nell'ambito delle attività promozionali dell'Amministrazione comunale, in grado di collegare le esigenze dell'immediato con quelle derivate dagli interventi di breve di medio e di lungo periodo;
  8. Un'iniziativa tesa al recupero di finanziamenti europei e nazionali per progetti finalizzati alla difesa idrogeologica, alla valorizzazione dei beni culturali, allo sviluppo di attività produttive.

L'intervento sui settori economici

La questione del lavoro deve essere affrontata anche attraverso la predisposizione di strumenti per la valorizzazione delle attività produttive locali e l'attivazione di nuove opportunità imprenditoriali. Ciò significa intervenire a più livelli, dalla realizzazione di un'adeguata politica infrastrutturale, a scelte adeguate in tema di pianificazione territoriale, dalla realizzazione di accordi col sistema delle imprese per la messa a valore delle risorse locali, ad un'attività promozionale dell'ente locale in ambiti che non sono di sua diretta competenza. In generale, l'attivazione di una politica di sviluppo locale implica l'assunzione di un modello che valorizzi le sinergie fra risorse produttive, ambientali, culturali presenti in loco, evitando scelte appiattite sulla valorizzazione di alcune attività a prescindere dagli effetti complessivi di tali scelte. In questa logica, lo sviluppo locale non può prescindere da settori che sono essenziali ai fini della salvaguardia dei livelli occupazionali e funzionali ad una "rigenerazione" delle città. Ci si riferisce ad attività (come l'artigianato o la piccola distribuzione) che se non opportunamente valorizzati rischiano di essere emarginate dai nuovi processi di trasformazione degli assetti produttivi. Una politica per lo sviluppo locale può quindi sostanziarsi in una serie di misure.

  1. Individuazione e acquisizione, all'interno della pianificazione regionale e provinciale, di aree produttive, riassegnate a costi competitivi e dotate di adeguate infrastrutture tecnologiche;
  2. Il riuso produttivo di contenitori edilizi dismessi nei centri storici al fine di promuovere e valorizzare piccole attività artigiane artistiche e di pregio che esprimono legami con il tessuto sociale e i caratteri fondamentali della città;
  3. L'assunzione negli strumenti urbanistici di orientamenti tesi a favorire la tutela delle piccole attività commerciali, limitando la localizzazione di strutture di grande distribuzione;
  4. Sostegno alle iniziative del commercio equo e solidale gestito da organismi o soggetti senza fine di lucro, riconosciuti formalmente.
  5. La realizzazione di percorsi di valorizzazione delle risorse turistico-ambientali (turismo verde, sportivo, congressuale) abbinato alla predisposizione di strutture ricettive idonee e diversificate.
  6. L'attivazione dell'ente locale per la promozione di politiche di credito, in grado di sostenere lo sviluppo delle attività produttive e politiche dei servizi locali tesi a sostenere lo sviluppo delle piccole attività produttive.
  7. La realizzazione di attività di promozione culturale utilizzando le strutture locali (biblioteche pubbliche, istituzioni, associazionismo culturale) e in sinergia con le istituzioni scolastiche, per favorire specializzazioni culturali locali e promuovere un circuito culturale più ampio (terza età, ecc.)
  8. La realizzazione di politiche concertate di sviluppo con i soggetti economici locali tese a valorizzare le sinergie territoriali, ma rifiutando operazioni tese a ridurre le tutela contrattuale dei lavoratori o a indebolire le funzioni di programmazione dell'ente locale con pregiudizio all'ambiente locale.

Per la salvaguardia del carattere pubblico dei servizi a rete

E' noto che nel corso degli ultimi anni si è avviato un processo di privatizzazione significativo negli enti locali attraverso la trasformazione delle municipalizzate in spa, o addirittura con la messa a gara di servizi pubblici che non di rado sono finiti nelle mani di privati. Gli effetti negativi di tali processi sono noti e hanno riguardato la riduzione dei dipendenti, l'aumento delle tariffe, la riduzione della qualità dei servizi offerti. Nel campo dei servizi a rete (acqua, energia, gas, rifiuti, trasporti, ecc.) a tutt'oggi il panorama è quindi abbastanza vario, giacché si assiste alla compresenza di diverse modalità di gestione (dalle municipalizzate, alle SPA partecipate dal pubblico e dal privato, alle società interamente private). Questa pluralità di gestioni riflette le diverse scelte operate dai singoli enti locali. Nell'ultima fase il governo ha tentato di approvare un provvedimento legislativo che rendeva obbligatorio il superamento delle municipalizzate con la loro trasformazione in una prima fase in SPA e successivamente con la messa a gara dei servizi. Tale provvedimento, che avrebbe costituito uno stimolo formidabile alla privatizzazione dei servizi locali è stato alla fine ritirato anche se è probabile la sua ripresenta nella prossima legislatura. A fronte di tale situazione, è pertanto necessaria una strategia articolata, ispirata dall'esigenza di contrastare nel modo più fermo possibile i processi di privatizzazione in corso e limitare i danni per quanto riguarda quelli già attivati. E' sulla base di tali considerazioni che rifondazione comunista, in vista delle prossime elezioni comunali, ribadisce le seguenti necessità:

  1. Che sia impedita la trasformazione delle aziende speciali o dei consorzi in S.p.A.
  2. Che la trasformazione societaria, laddove già avviata, avvenga escludendo comunque trasformazioni in holding,
  3. Che eventuali quote cedute all'esterno non siano superiori statutariamente ad una quota massima insignificante al controllo societario;
  4. Che di fronte all'acquisizione da parte di più soggetti privati a questi non sia consentito di associarsi in patti sindacali tali da poter generare scalate di controllo societario;
  5. Che il personale dipendente dell'azienda speciale sia garantito in termini contrattuali ed economici in tutte le fasi di trasformazione;
  6. Che vengano restituite al Consiglio Comunale le funzioni proprie d'indirizzo e di controllo, attraverso modifiche statutarie che consentano all'assemblea consiliare di deliberare preventivamente con "vincolo di mandato" alla rappresentanza comunale in seno al Consiglio d'amministrazione della società, sugli atti fondamentali, sulle scelte d'indirizzo politico e d'intervento sul territorio, sulla determinazione delle tariffe, sulla programmazione e sull'attuazione dei piani d'intervento, sull'acquisizione o la vendita di beni immobiliari;
  7. Dove le S.p.A. siano già state costituite, si rende necessario istituire, tramite delibera di Consiglio, un'authority dei servizi composta da Consiglieri Comunali, rappresentanze di utenti e sindacati, che riporti annualmente attraverso una dettagliata relazione sullo stato dei servizi e sugli indirizzi di sviluppo da applicarsi, le legittime competenze in Consiglio Comunale;
  8. Che si prevede, quale strumento partecipativo, la costituzione di una consulta dei servizi pubblici. In tale consulta (comunale, circoscrizionale, o intercomunale) va prevista la partecipazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti.

Per la garanzia dei servizi sociali e la funzione integrativa del privato sociale

Sulla questione dei servizi sociali c'è da registrare, come elemento negativo, l'approvazione definitiva da parte del Senato della riforma del Welfare. A parte i dubbi sulla costituzionalità, la legge, crea ulteriori difficoltà per i suoi contenuti e le sue finalità, proiettate sulla assunzione di logiche di mercato e sullo smantellamento del servizio pubblico. Viene, infatti, aggirato l'art 38 della Costituzione che stabilisce e riconosce l'assistenza come diritto, indicando nello Stato il garante di tale diritto.Con questa legge il diritto all'assistenza non è più certo ed esigibile. Le Regioni saranno chiamate a fissare, i criteri, indirizzi e vincoli per l'organizzazione e gestione dei servizi e amministreranno i fondi trasferiti dallo Stato senza l'obbligo di garantire l'assistenza a chi ne ha bisogno. La spinta a collocare i servizi nell'arena del mercato è forte e il percorso è tracciato.

Questo è il punto da cui dobbiamo ripartire per un serio confronto sul Welfare. L'azione del governo e della sua maggioranza su questo problema si è concretizzata non più e soltanto nel contenimento della spesa, ma sia una politica tesa ad una profonda ristrutturazione del ruolo e delle funzioni dello Stato, che vede nella sussidiarietà orizzontale il suo punto di forza, giustificando l'intervento del pubblico solo quando il privato non è in grado di garantire e soddisfare il bisogno sociale. Di fronte a questi nuovi indirizzi è necessario contrapporre una proposta che a partire dalle possibilità presenti nelle maglie della legge, recuperino la funzione del pubblico. Sul ruolo che in questo contesto viene a svolgere il Terzo Settore, è evidente che l'ipotesi di una progressiva sostituzione delle funzioni pubbliche da parte dei soggetti che fanno capo a tale ambito per ciò che riguarda la gestione dei servizi sociali è inaccettabile. L'unica funzione possibile è quella integrativa, a condizione ovviamente che siano rispettate regole essenziali in termini di qualità e modalità di gestione dei servizi e di condizioni di lavoro del personale impiegato. In particolare, si avanzano le seguenti proposte.

  1. Impedire la trasformazione delle aziende speciali o dei consorzi in S.p.A.
  2. Va riaffermata la scelta che il comune, anche in un quadro normativo mutato, non può abdicare il suo ruolo d'indirizzo, coordinamento e controllo sui servizi oltre che di gestione quando dispone di personale sufficiente e professionalmente idoneo;
  3. Nonostante la legge di riforma del Welfare va contrastata l'istituzione dei cosiddetti "bonus" che automaticamente determinerebbero la costruzione di un mercato dei servizi ove il "bonus" sarebbe speso. Anche dove operano le cooperative sociali il rapporto tra gli utenti e gli operatori del servizio non deve essere indicato dal mercato ma dall'Ente Locale;
  4. Va ribadita la certezza del diritto esigibile in materia di servizi sociali. E' quindi necessario che nella definizione dei parametri del redditometro si tenga conto realtà per realtà. Occorre battere la logica delle opportunità "aleatorie", per definire la griglia dei servizi che il pubblico garantisce ai cittadini, esistendo il rischio che rifioriscano vecchie e nuove clientele;
  5. Per quanto riguarda le modalità di gestione dei servizi sociali va imposto il ricorso alle "istituzioni", che rappresentano la forma di gestione migliore oggi praticabile.
  6. Va superata la logica delle "multi-servizi" che incorporano al loro interno servizi sociali e servizi economici. Nel caso, infatti, venisse approvata successivamente la legge sulla privatizzazione dei servizi, ciò potrebbe far sì che anche i servizi sociali potrebbero ricadere sotto le disposizioni relative all'obbligo di ricorso alle gare di appalto;
  7. In particolare, i comuni devono redigere i "piani di zona sociali", strumenti di gestione di controllo e d'utilizzo delle risorse.
  8. I soggetti svantaggiati non possono essere scaricati, nell'inserimento lavorativo, sulla cooperazione sociale. L'Ente Locale deve coprire ai sensi di legge, nelle percentuali previste, i posti lavorativi previsti rispetto la pianta organica;
  9. L'affidamento alle cooperative sociale non deve avvenire tramite gare al massimo ribasso, che produrrebbero solo effetti di compressione dei salari dei lavoratori, aumento del lavoro nero ed una caduta della qualità e della quantità dei servizi. Anzi, va garantita, in convenzione, la condizione del rispetto dei minimi contrattuali ed in caso di violazione la rescissione del contratto;

Per uno sviluppo ambientalmente compatibile del territorio e la valorizzazione dei "luoghi" periferici

In un progetto di rigenerazione della città la questione del territorio e dell'ambiente assumono una valenza particolare. Non si tratta solo della necessità di rispondere a una sensibilità diffusa che è venuta crescendo in questi anni fra i cittadini; sono le stesse trasformazioni economico-sociali che hanno investito le città a imporre questi temi. In particolare, i processi di dismissione di attività produttive nelle aree centrali hanno lasciato liberi spazi riutilizzabili, la contrazione degli investimenti pubblici ha determinato l'abbandono delle aree periferiche e delle zone degradate, nelle aree centrali l'esaltazione della rendita ha comportato un'ulteriore selezione sociale dei residenti, mentre laddove non si sono mobilitati capitali privati si sono prodotti fenomeni di degrado. Nel complesso, il sommarsi di questi processi ha determinato l'estendersi di fenomeni di segregazione spaziale, con l'articolarsi nello spazio di luoghi di pregio destinati a fasce sociali privilegiate e luoghi di degrado destinati a fasce marginali. La città inclusiva, luogo di incontro e di relazione, ambito di emancipazione sociale è venuta perdendo la sua funzione progressiva. Nel contempo, le modificazioni strutturali delle città in connessione con l'emergere di nuove problematiche legate all'inquinamento hanno ulteriormente compromesso la qualità della vita urbana. L'allargamento delle aree di gravitazione urbana hanno accentuato i problemi connessi alla mobilità, l'assenza di una politica efficace ha fatto esplodere, specie in alcune aree del paese, la questione dei rifiuti, mentre l'evoluzione tecnologica e dei modelli di consumo hanno alimentato nuove forme di inquinamento (si pensi all'elettrosmog). Le città, quindi, non sono solo più sperequate territorialmente, ma sono anche meno vivibili nel loro complesso, ponendo quindi il problema di un recupero complessivo della vivibilità urbana. Di qui traggono spunto le nostre proposte, che si possono così riassumersi:

  1. Formazione di nuovi strumenti generali di governo del territorio che assumano come punto di riferimento non la rendita fondiaria, ma la salvaguardia dell'ambiente e i bisogni dei cittadini. Piani regolatori generali, elaborati in modo comprensibile e partecipato, coinvolgendo i cittadini in maniera organizzata e con l'attivazione di strutture di trasparenza, quali appositi "uffici aperti di piano" o analoghi strumenti di partecipazione;
  2. Elaborazione di piani urbanistici particolareggiati finalizzati al recupero e alla valorizzazione che, in forma integrata (arredo urbanistico, destinazione d'uso, spazi pubblicitari, servizi, infrastrutture) tengano conto delle varie interdipendenze per un equilibrato rapporto tra attività residenziali, commerciali e culturali;
  3. Una politica del credito agevolato per un'azione finalizzata al recupero del patrimonio edilizio esistente e il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica per garantire il diritto alla casa anche a fasce sociali a basso reddito.
  4. Progetti tesi a riqualificare la città, in particolare nelle aree periferiche e degradate, dotandola di spazi e servizi necessari come il verde pubblico, parcheggi, centri di aggregazione sociale, impianti sportivi e scolastici.
  5. Piena riappropriazione del ruolo pubblico in tema di controllo e indirizzo delle scelte urbanistiche, contrastando gli orientamenti che si sono affermati in tema di pianificazione territoriale (l'urbanistica "contrattata") ispirate ad una logica di scambio fra esigenze di risanamento ambientale e riqualificazione urbana e valorizzazione della rendita e attività speculative.
  6. Una mobilità sempre più incentrata sui mezzi pubblici piuttosto che sulle auto private da precisare con il piano del traffico.
  7. Misure di lotta all'elettrosmog: piani regolatori delle antenne predisposti dal comune, regole che minimizzino l'esposizione, procedure urbanistiche che inseriscano l'obbligo della concessione edilizia., definire distanze e limiti che tutelino gli abitanti.
  8. Una politica dei rifiuti che punti sulla riduzione, la raccolta differenziata, il riciclaggio evitando discariche ed inceneritori, ponendosi l'obiettivo di andare oltre le percentuali previste dalla legge 22. In particolare, la riduzione va prodotta intervenendo nei cicli merceologici e la raccolta differenziata deve essere "spinta" e non aggiuntiva. Su queste politiche è necessario investire in termini di occupazione.
  9. I comuni devono realizzare i piani di bacino previsti dalla legge 183 e quelli stralcio della legge 180 in tempi certi. I piani devono essere sovraindicati sugli altri strumenti programmatori e sull'uso delle risorse. La messa in sicurezza e la manutenzione devono prevedere occupazione adeguata.

Per una lotta efficace alla marginalità sociale e la garanzia di diritti universali

Lo sviluppo convulso delle medie e grandi città ripropone il loro modo di essere, la loro identità e la loro condizione sociale. Le profonde contraddizioni che caratterizzano la condizione di vita contemporanea evidenziano fasce sempre più ampie di povertà e di emarginazione, precarizzazione del lavoro e del disagio sociale, soprattutto giovanile e microcriminalità, marcando l'esigenza di garantire sicurezza e vivibilità. Gli impetuosi processi di trasformazione sociali ed economici caratterizzati dalle spinte speculative, dall'esasperato obiettivo del profitto, dalla rottura dei rapporti sociali e solidali, dai processi di deindustrializzazione, dall'invecchiamento della popolazione e alle volte dalle cattive amministrazioni di molte città le cui azioni di governo da una parte è rimasta insensibile alla profonda domanda sociale dei quartieri e delle periferie e dall'altra, ha alimentato o tollerato traffici e privilegi con il mondo delle imprese e della speculazione, hanno determinato un allentamento del rapporto cittadino-istituzione. La riprova è l'alta percentuale di disaffezione e astensione dal voto.Le fasce di cittadini che rivendicano diritti e cittadinanza si allargano sempre più. Ai disoccupati espulsi dalla grande industria e abbandonati dal sindacato, quelli della piccola e microimpresa, delle aziende pubbliche, i lavoratori atipici e precari, si aggiungono gli immigrati, i senza fissa dimora che rappresentano le nuove soggettività emergenti dalle periferie urbane, i protagonisti di una sofferenza individuale e collettiva diffusa che evidenziano l'esistenza di una "questione sociale" tuttora aperta e complessivamente da risolvere.La povertà urbana, ormai si evidenzia in tutte le aree del Paese, dal nord al sud caratterizzata da: una condizione degradata dei quartieri di edilizia economica popolare; l'imbarbarimento delle forme di convivenza civile che si esprime ai vari livelli della criminalità e con forme di intolleranza violenta e di rigetto; la compressione delle opportunità di socializzazione, soprattutto per i giovani e anziani; l'acutizzarsi dei problemi di marginalizzazione degli anziani soli, dei portatori di handicap, dei tossicodipendenti e degli immigrati; l'allargamento delle fasce di povertà. Per affrontare questi problemi riproponiamo l'esigenza di una lotta alla marginalità urbana e la garanzia di diritti universali. I punti essenziali della nostra proposta si possono così riassumere:

  1. La questione del lavoro resta questione centrale, sulla quale va riaffermata il ruolo fondamentale delle istituzioni pubbliche teso a ricomporre le varie soggettività del nuovo proletariato metropolitano. L'obiettivo da perseguire è quello di "un lavoro minimo garantito";
  2. Un'azione tesa alla riqualificazione urbana sostenendo "una politica dell'abitazione";
  3. Nelle città e nelle periferie la lotta "all'esclusione" cancellando la macchia dei "senza fissa dimora";
  4. Per gli immigrati, la costituzione di "reti locali di intervento e di sostegno", un'intervento attivo per favorire i ricongiungimenti familiari, che sono il primo livello di integrazione e socializzazione; la predisposizione di "piani di accoglienza", con la realizzazione di piccoli centri di prima accoglienza, studiando nel contempo, prime vere opportunità abitative. Molto interessante, a tale proposito, sono i corsi di formazione per immigrati orientati alla cura dei cittadini anziani. Il tutto nel rapporto stretto con le comunità straniere;
  5. Le politiche dell'abitare per i socialmente esclusi che presentano, ogni categoria problemi diversi (gli anziani soli, gli sfrattati con nucleo famigliare, gli extracomunitari non inseriti, i "senza fissa dimora"). Per gli immigrati strutturando case-pensionati aperte sia ai cittadini extracomunitari che agli italiani in mobilità. Per tutti, sostenendo processi di progettualità locale, mettendo a disposizione strutture demaniali adatte, costituendo Agenzie Sociali per la casa;
  6. Per gli anziani, costituzione, attraverso accordi di programma Comuni-Asl, di consultori geriatrici capaci di fornire un'assistenza socio-sanitaria; stanziamento di "assegni di cura" per chi si prende in carico (di cura) un anziano; trasformazione di Centri Anziani in luoghi delle opportunità (prevenzione, fisioterapia, informazione, svago e cultura) da affidare all'autogestione, per gli anziani non autosufficienti, potenziamento dell'assistenza domiciliare, realizzazione di Residenze Protette;
  7. Rispetto al fenomeno delle tossicodipendenze, attivazione nelle città non di politiche punitive o proibizionistiche, ma di politiche di informazione, prevenzione e "riduzione del danno" con l'istituzione di unità di strada, servizi di accoglienza e ascolto, programmi di recupero con sostanze sostitutive macchine scambia siringhe. Vanno, nel contempo, aumentati gli stanziamenti in bilancio per praticare le politiche dichiarate;
  8. Al disagio giovanile va data una risposta in termini di socialità e decentramento. Anche sui giovani si misura la qualità del policentrismo urbano. Particolarmente sui giovani pesa il problema del lavoro, precario o inesistente. Di qui l'esigenza di offrire occasioni formative (sportelli di informazione, progetti, cooperative) e promuovere un accesso al mercato del lavoro, trasparente e garantito.

Per una gestione amministrativa efficiente che rilanci il ruolo dell'intervento pubblico

Nel disegno di riforma della 142/90 si è evidenziata una progressiva tendenza a sostituire il sistema partecipativo delle autonomie locali con un nuovo ceto tecnocratico che tende a farsi ceto politico. Questa situazione trova una classe politica spesso culturalmente impreparata a misurarsi con un sistema economico-sociale che tende sempre di più a valutare la riuscita delle scelte politiche in termini di costi-benefici e rapidità delle decisioni.La nostra azione spesso è stata di tenace opposizione ai processi di privatizzazione selvaggia e di destrutturazione dei progetti partecipativi delle comunità locali, ma non è stata finora in grado di tracciare un nuovo assetto dei Servizi pubblici locali in grado di essere riconosciuto e vissuto dalle decine di migliaia di cittadini e lavoratori che guardano al nostro partito con speranza ed interesse. Oggi ci troviamo nella necessità di definire alcuni assi con cui confrontarci per ipotizzare una riorganizzazione e riqualificazione delle strutture degli Enti Locali. È necessario innanzitutto contrastare la tendenza alla riduzione quantitativa e qualitativa del personale comunale (esplicitata persino nell'art. 91 del recente testo unico degli enti locali!) e alla sua marginalizzazione, lavorando nel contempo per un'effettiva autonomia gestionale dell'Ente da parte delle strutture, sulla base ovviamente, degli indirizzi programmatici degli organi politici. Senza tale autonomia è impossibile far crescere tali strutture e responsabilizzarle pienamente sugli obiettivi da raggiungere e sui risultati da ottenere nell'interesse dei cittadini e degli utenti dei servizi. Costituisce, infatti, per noi un'effettiva priorità, la costruzione di un'organizzazione delle strutture dei servizi comunali in nome dell'efficienza, dell'effettiva ricomposizione dei processi nel governo dell'erogazione dei servizi e nel controllo dei processi, assumendo il valore della partecipazione nell'avvicinamento del Comune alla vita dei cittadini, del decentramento della macchina comunale e anche delle decisioni della loro trasparenza. L'opportunità l'offre la L.127/97 per l'approvazione delle dotazioni organiche e la legge 265/99 che modifica alcuni aspetti dell'ordinamento delle Autonomie locali affrontando prevalentemente la nuova disciplina della potestà statutaria e regolamentare, le funzioni dei comuni minori, le unioni dei comuni, il decentramento, le funzioni della provincia, i servizi pubblici locali nonché le competenze e il finanziamento dei Consigli e delle Giunte.

In quest'ottica si rende necessario:

  1. L'adeguamento delle dotazioni organiche e la riqualificazione del personale in funzione del ruolo attribuito alle strutture del nuovo ordinamento al fine di garantire operatori sufficienti e professionalizzati rispetto alle mansioni da svolgere;
  2. La stipula dei contratti integrativi decentrati che assicurino al personale comunale una distribuzione delle risorse del salario accessorio che sia diffusa e non clientelare, ma che tenga conto allo stesso tempo della qualità delle prestazioni assicurate all'utenza dai singoli e dai servizi in generale;
  3. Il decentramento di alcuni servizi in modo equilibrato su tutto il tessuto urbano e territoriale;
  4. L'informatizzazione dei servizi attraverso un progetto di cablaggio della città;
  5. Una dirigenza adeguata a far fronte alle esigenze dell'Ente, onde evitare il ricorso e eccessive prestazioni professionali esterne.
  6. Un processo di progressiva integrazione dei servizi, specie nel caso dei piccoli e piccolissimi comuni, fermo restando il rispetto delle aspirazioni di autonomia delle comunità locali

Per un controllo democratico delle politiche degli Enti Locali e per lo sviluppo della partecipazione popolare

Esiste un nesso diretto fra l'affermazione di politiche liberiste nei comuni e riduzione degli spazi democratici. La centralizzazione delle decisioni in capo alle giunte e l'attribuzione al sindaco di un'investitura plebiscitaria, attraverso le norme introdotte con la legge 81/93, hanno dato l'avvio ad un processo di svuotamento del ruolo dei consigli. In nome di una maggiore efficienza degli organi consiliari e di una scelta consapevole dei governi locali gli esecutivi consentendo loro di operare con ampia discrezionalità, di condurre speditamente si sono via via autonomizzati, avviando operazioni di privatizzazione, costruendo interlocuzioni dirette con i soggetti economici, introducendo criteri di gestione sempre più ispirati a logiche aziendalistiche. Nel contempo, il rafforzamento del ruolo dei sindaci ha creato le premesse per il consolidamento di alcuni notabili locali divenuti inamovibili. In realtà a questa centralizzazione determinatasi a livello di istituzioni locali non ha corrisposto un rafforzamento delle funzioni pubbliche in termini di reale potere di intervento, ma soltanto il consolidamento di poteri personali. Le istituzioni locali, infatti, hanno visto progressivamente ridursi le loro capacità di intervento limitate dall'esiguità delle risorse disponibili e dalla sistematica cessione di funzioni pubbliche ai privati. Per molti versi, anzi si può sostenere che i nuovi podestà abbiano spesso agito in veste di liquidatori delle risorse pubbliche. In questo contesto non ci si può meravigliare che la partecipazione si sia affievolita, che si sia rafforzato il meccanismo della delega, che alla dialettica di posizioni politiche si sia sostituita spesso una propensione localistica. Le risposte che si possono dare vanno quindi in una duplice direzione: da un lato ripristinare un effettivo pluralismo politico riassegnando ai consigli un ruolo centrale e limitando i processi di centralizzazione decisionale e, dall'altro, nell'esaltare tutte le forme possibili di partecipazione e di controllo popolare. In questo senso la definizione degli statuti comunali rappresenta un'occasione per introdurre alcuni principi, ma anche a prescindere da questi è possibile già oggi operare per un allargamento degli spazi democratici, assumendo alcuni orientamenti che proponiamo.

  1. L'articolazione di una carta della cittadinanza, attuativa dell'intangibilità di diritti umani universali, riconosciuti ad ogni uomo ed ogni donna della comunità;
  2. La previsione di precisi istituti che favoriscano la realizzazione del riequilibrio della rappresentanza. La presenza del genere femminile nei luoghi istituzionali e in quelli dove si realizzano i processi decisionali è un problema di qualità oggettiva della democrazia, che deve rappresentare uno dei punti fondanti della carta statutaria di ogni comunità;
  3. La costituzione di organismi di partecipazione su base territoriale da eleggere a suffragio universale. Attribuzione ai consigli circoscrizionali di competenze in merito alla gestione delle risorse locali e alle scelte di bilancio;
  4. la redazione, di uno specifico regolamento, nel quale si definiscono i criteri con i quali per determinati atti è obbligatorio l'apertura di una fase di partecipazione;
  5. il riconoscimento di istanze o petizioni avanzate da ogni cittadino tese a sollecitare interventi specifici idonei a garantire una migliore tutela degli interessi collettivi;
  6. il riconoscimento dell'istituto del referendum, fatta eccezione per alcune materie;
  7. la costituzione di un forum dei poteri democratici del quale dovranno far parte i consiglieri comunali, il difensore civico, i rappresentanti degli organi di partecipazione e delle associazioni operanti sul territorio con il compito di verificare il processo attuativo dello statuto nei suoi principi e nelle sue finalità;
  8. l'istituzione ad elezione diretta del difensore civico;
  9. l'istituzione del Consiglio Comunale dei ragazzi;
  10. la Previsione di una rappresentanza di cittadini extracomunitari attraverso la costituzione di consulte o altri istituti democratici per favorirne l'interlocuzione con le istituzioni e la partecipazione attiva alle scelte di governo delle comunità locali.
PRC - Nazionale
Roma, 8 aprile 2001