ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 2001
INDIRIZZI DI PROGRAMMA PER LE ELEZIONI PROVINCIALI

Premessa

Per parlare di programmi provinciali è necessaria una premessa di metodo e di merito.

Innanzitutto, sul metodo, il programma che vogliamo presentare è, ricalca, in buona sostanza, quello approntato dal Dipartimento per le elezioni amministrative della primavera del '99. Sono state innovate quelle parti che hanno subito interventi legislativi recenti (Testo unico innanzitutto), mentre è stata introdotta una prima parte, che tende a riassumere, e quindi a facilitare l'immediata individuazione dei temi, i compiti inerenti l'istituzione provinciale.

Per quanto riguarda il merito, è doveroso intervenire nell'ormai annoso dibattito sul ruolo e sulla necessità di una istituzione quale quella provinciale.

Da più parti, soprattutto a sinistra, si tende a ritenere le province un ente inutile, un appesantimento burocratico, un retaggio del centralismo statalista e del controllo che i prefetti esercitavano dell'azione dell'ente locale considerato come principale e cioè il Comune.

È indubbio che, forse anche per questi ragionamenti, le province sono state le cenerentole della macchina amministrativa, dimenticate o quasi in sede elettorale, spesso camere di compensazione per chi non aveva trovato posto nelle liste comunali, residuali nei compiti e nelle azioni.

Occorre allora, soprattutto in fase di preparazione dei programmi, ribaltare questa visione delle province.

Già nell'elencazione dei compiti che sono stati via via affidati alle Province, innanzitutto dalla 142 e poi successivamente dalle Leggi Bassanini, fino al testo Unico, si evince che il ruolo delle province va rilanciato. Soprattutto come ente programmatorio intermedio fra Comuni e Regioni. Tale ruolo va fatto valere sia verso il basso che verso l'alto.

Innanzitutto, il compito di organizzazione dei servizi a rete può essere giocato per porre argine alla dismissione e alla privatizzazione dei suddetti servizi. Aziende e Consorzi su scala provinciale, potrebbero introdurre criteri di razionalizzazione e di economicità nell'erogazione, senza, per questo, obbligatoriamente tagliare le "linee" meno produttive, ed inserendo, altresì, tariffe differenziate a seconda del reddito. Per fare qualche esempio si pensi al sistema dei trasporti, come più diffusamente viene esposto nel programma vero e proprio, o al ciclo integrato delle acque.

Insomma si deve cominciare a pensare alla provincia come elemento fondamentale di sussidiarietà verticale, da contrapporre alla tanto decantata sussidiarietà di tipo orizzontale.

Una provincia che rispetti i compiti ad essa assegnati, con un programma di governo chiaro e preciso, può essere l'unica istituzione che può agire su scala intermedia (quindi senza le diseconomie di scala dei piccoli e medi comuni), e soprattutto sostituendo alla farraginosità burocratica dell'amministrazione regionale una più efficace azione amministrativa e di programmazione.

In conclusione, si può, attraverso un corretto uso dell'ente Provincia, agire su alcuni terreni privilegiati della nostra azione politica. Innanzitutto, sulla salvaguardia del ruolo pubblico nella proprietà, nella gestione e nell'erogazione dei servizi, potenziandone il funzionamento, agevolando le fasce sociali più deboli e razionalizzandone i costi. In secondo luogo, sulla tutela e salvaguardia del territorio attraverso l'attività programmatrice e di pianificazione introdotta dall'importantissimo strumento dei piani di coordinamento territoriali che, come detto più dettagliatamente nel programma, possono far superare la visione frastagliata e municipalistica della gestione e dello sfruttamento del territorio, per introdurre una visone più armonica e che sappia valorizzare le diversità di vocazione.

Mettiamo per ultimo, non certo per ordine di importanza, la questione della partecipazione democratica alle decisioni, sottolineando - ancora una volta - che, essendo la Provincia l'ente di programmazione più vicino ai cittadini, essa deve diventare il luogo privilegiato per creare quella rete di rapporti fra istituzioni, associazioni, sindacati, attraverso un'attività di consultazioni, di co-pianificazione, di partecipazione progettuale, che rischia di essere vanificata sulla scala ampia dell'attività regionale o mortificata dal settorialismo municipalista dei singoli Comuni.

Introduzione

La tornata di elezioni amministrative della primavera 2001 si apre in uno scenario istituzionale nuovamente modificato, da un lato, per effetto dell'avanzare del processo di decentramento a Costituzione invariata (leggi Bassanini e relative applicazioni regionali), dall'altro lato, per effetto dell'entrata in vigore, in poco più di un anno, di due modifiche alla legge 142/90: prima la legge 265/99, più recentemente il Testo Unico.

Il disegno riformatore (ma sarebbe giusto definirla controriforma organica) manca tuttavia di alcuni importanti tasselli: le nuove norme sui servizi pubblici locali, ancora all'esame del Parlamento, la riforma della finanza locale (non potendosi considerare tale il susseguirsi di norme registratosi negli ultimi anni e culminato con il D.Lgs. 56/2000, sul cosiddetto federalismo fiscale) e, soprattutto, la riforma Costituzionale "federalista" che ha già avuto il primo passaggio parlamentare.

Dando per acquisito il giudizio politico negativo sull'insieme di queste trasformazioni, è opportuno evidenziare che l'Istituzione Provincia ne esce notevolmente modificata , nel ruolo e nei compiti specifici:

  1. appare scongiurato il rischio di decostituzionalizzazione (presente ai tempi della Bicamerale) della Provincia quale ente intermedio;
  2. la legge 265 e il T.U. (art. 3 comma 3 e artt. 19, 20. 21) qualificano l'ente come rappresentante della comunità, agente dello sviluppo territoriale, titolare di funzioni amministrative di area vasta e di compiti di programmazione in una cornice di concertazione con il livello regionale e quello comunale;
  3. sia per conferimento diretto, sia per via derivata dalle legislazioni regionali in applicazione del DL 112, sono attribuiti nuovi compiti in tutti i settori. La situazione applicativa è in itinere, e si riscontrano significative differenze da Regione a Regione, così come appare sostanzialmente non risolto il nodo delle risorse finanziarie.

In questo quadro, l'accresciuto ruolo delle Province rischia oggettivamente di trasformarsi in un ulteriore elemento di smantellamento delle funzioni pubbliche, all'interno di una logica di sussidiarietà orizzontale e di concertazione. La debolezza strutturale dell'Ente - che si aggiunge agli indirizzi politici dominanti e alla legislazione che incentiva simili indirizzi - può determinare la dismissione dell'intervento diretto a favore di forme di concertazione (accordi di programma, programmazione negoziata) e di vera e propria privatizzazione (nel campo del mercato del lavoro, della formazione professionale, del ciclo delle acque e dei rifiuti)

Si viene quindi affermando una concezione dello sviluppo territoriale che si basa su uno stato minimo e su forme di accordo neo-corporativo (i patti territoriali nelle loro diverse forme).

Nel disegno contro-riformatore, appare questo il ruolo preponderante assegnato alle Province.

Si tratta quindi di operare, come PRC, per contrastare questa impostazione ribadendo il concetto di Provincia come Ente pienamente titolare di funzioni pubbliche, non come semplice centro di elaborazione (magari etero-diretta), di politiche di area vasta che vengono poi "messe sul mercato" per l'aspetto gestionale.

Operando in questa direzione, si compie anche un'operazione di salvaguardia della democrazia partecipativa, in quanto si valorizza il ruolo dell'Ente come Istituzione eletta a suffragio universale e titolare di mandato popolare, contrastando la tendenza allo svuotamento del ruolo di controllo ed indirizzo dei Consigli, a tutto vantaggio della negoziazione tra esecutivi.

In quest'ambito sono due i campi di intervento:

  1. le politiche provinciali in senso proprio, attraverso le proposte programmatiche verranno qui di seguito articolate;
  2. le scelte contenute negli Statuti regionali in via di formazione, che dovranno orientarsi nel senso appena indicato.

Elementi di programma

Richiamiamo le competenze attribuite direttamente alla Provincia dalla legislazione statale vigente. E' necessario che si verifichi per ogni Regione eventuali altre attribuzioni derivanti dalla applicazione "a cascata" del D.Lgs. 112/98, rivendicando - ove le Regioni fossero inadempienti rispetto ai principi generale di sussidiarietà verticale, completezza ed adeguatezza - il conferimento delle funzioni, contro ogni forma di neocentralismo regionale.

  1. DIFESA DEL SUOLO, TUTELA E VALORIZZAZIONE DELL'AMBIENTE E PREVENZIONE DELLE CALAMITA' (ART. 19 COMMA 1 LETTERA A DEL T.U. - ART. 108 COMMA 1 LETTERA B D.LGS. 112/98)
  2. TUTELA E VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE ED ENERGETICHE (ART. 19 COMMA 1 LETTERA B DEL T.U. - ART. 31 COMMA 2 D.LGS 112/98)
  3. VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI (ART. 19 COMMA 1 LETTERA C DEL T.U.)
  4. VIABILITA' E TRASPORTI (ART. 19 COMMA 1 LETTERA D DEL T.U. - ART. 99 COMMA 3 D.LGS. 112/98)
  5. PROTEZIONE DELLA FLORA E DELLA FAUNA, PARCHI E RISERVE NATURALI (ART. 19 COMMA 1 LETTERA E DEL T.U.)
  6. CACCIA E PESCA NELLE ACQUE INTERNE (ART. 19 COMMA 1 LETTERA F DEL T.U.)
  7. ORGANIZZAZIONE DELLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI A LIVELLO PROVINCIALE, RILEVAMENTO, DISCIPLINA E CONTROLLO DEGLI SCARICHI DELLE ACQUE E DELLE EMISSIONI ATMOSFERICHE E SONORE (ART. 19 COMMA 1 LETTERA G DEL T.U.)
  8. SERVIZI SANITARI DI IGIENE E PROFILASSI PUBBLICA ATTRIBUITI DALLA LEGISLAZIONE STATALE E REGIONALE (ART. 19 COMMA 1 LETTERA H DEL T.U.)
  9. COMPITI CONNESSI ALLA ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO ED ARTISTICA E ALLA FORMAZIONE PROFESSIONALE, COMPRESA L'EDILIZIA SCOLASTICA, ATTRIBUITI DALLA LEGISLAZIONE STATALE E REGIONALE (ART. 19 COMMA 1 LETTERA I DEL T.U. - ART. 139 COMMA 1 D.LG. 122/98)
  10. RACCOLTA ED ELABORAZIONE DATI, ASSISTENZA TECNICO AMMINISTRATIVA AGLI ENTI LOCALI (ART. 19 COMMA L LETTERA A DEL T.U.)
  11. POLIZIA AMMINISTRATIVA ART. 163 COMMA 3 D.LGS. 112/98)
  12. SERVIZI SOCIALI (ART. 131 COMMA 2 E ART. 132 COMMA 2 D.LGS 112/98)
  13. AGRICOLTURA (D. LGS. 143/97)
  14. MERCATO DEL LAVORO E SERVIZI PER L'IMPIEGO (D.LGS. 469/97)
  15. COMMERCIO (D.LGS. 114/98)
  16. COMPITI DI PROGRAMMAZIONE (ART. 20 T.U.)

Procedendo ora per aggregazione delle funzioni in grandi capitoli, esprimiamo alcune prime considerazioni di carattere programmatico.

Finanza provinciale

Condizione essenziale per il corretto svolgimento dei compiti attribuiti alla provincia è il superamento dell'attuale sistema di finanziamento: compartecipazione IRAP, RCA e IPT si configurano come fonti di entrata allo stesso tempo rigide e fortemente differenziate in ragione della ricchezza di un determinato territorio, e quindi non si addicono ad un Ente che deve svolgere funzioni di carattere universalistico, sulle quali non è ammissibile che si producano forti disuguaglianze territoriali.

Di conseguenza è necessario un aumento delle entrate proprie realizzabile attraverso una compartecipazione al gettito IRPEF (senza aggravio complessivo per il contribuente) legato ad un meccanismo di perequazione che possa attenuare le disuguaglianze, con l'obiettivo di pervenire ad un sistema fondato sul riconoscimento ed il finanziamento delle condizioni di base comuni a tutto il territorio nazionale.

La spesa storica sostenuta dallo Stato per le nuove funzioni conferite non può essere il solo criterio di attribuzione delle risorse, in quanto non consente di sviluppare politiche innovative ed improntate all'autonomia progettuale e gestionale; questo vale in particolare per i settori a rilevanza sociale (istruzione, lavoro, ambiente), nei confronti dei quali dovranno essere indirizzati consistenti investimenti. Devono quindi essere rivendicati consistenti trasferimenti centrali e regionali nella fase di avvio delle nuove funzioni, e devono essere impostate politiche di qualificazione della spesa, nei bilanci provinciali, dando particolare peso a questi settori.

Sviluppo territoriale - programmazione e pianificazione

E' necessario contrastare una visione dello sviluppo che si identifichi con l'allargamento della pratica dei patti territoriali e della loro logica di flessibilità, precariato e "deroga" ai vincoli contrattuali, ambientali, urbanistici.

La concertazione neocorporativa e la programmazione negoziata non sono gli unici strumenti dello sviluppo, al contrario rischiano di diventare strumenti di deregulation selvaggia.

Il ruolo della Provincia come Ente "motore di sviluppo" si garantisce attraverso l'esaltazione dei compiti di programmazione propri dell'Ente, in una cornice di sviluppo della partecipazione popolare alle grandi scelte di indirizzo e di esaltazione del ruolo delle assemblee consiliari.

Si crea sviluppo esercitando pienamente i propri poteri nella pianificazione territoriale, generale e di comparto, senza puntare alla creazione di grandi opere infrastrutturali e al consumo di territorio, ma valorizzando le risorse locali.

La nostra è una logica di sviluppo auto-centrato, che valorizza i cicli economici locali, gli interventi di manutenzione del territorio e la prevenzione dei danni ambientali e sociali, ponendosi come primo obiettivo l'incremento dell'occupazione stabile, regolare e socialmente utile.

Per questo, dobbiamo rivendicare una partecipazione alle scelte regionali che non sia di pura facciata, ma che sia per quanto possibile vincolante. La partita della formazione degli Statuti regionale deve conseguire, su questo terreno, primi significativi risultati.

Allo stesso modo, ai Comuni non dovranno essere imposte le scelte, così come non si dovrà scadere nella contrattazione tra esecutivi; peraltro, alcune funzioni su scala sovracomunale ed alcune attività di coordinamento richiederanno anche adeguati spazi di autonomia e decisionalità per far valere interessi generali (si pensi in particolare alla tutela ambientale) che la dimensione comunale non sempre può adeguatamente garantire

Piani territoriali di coordinamento

La funzione di ente intermedio comporta per la Provincia un ruolo centrale sui temi della pianificazione del territorio.

La cornice normativa è finalmente definita, dopo un decennio, anche se le aspettative coltivate dalle Province, circa una reale incisività dell'attività di programmazione appaiono in buona parte frustrate dalle leggi regionali e dalla situazione di degrado territoriale che si è venuta determinando nel tempo, anche in virtù del ritardo nel rendere effettiva una competenza provinciale che era già sancita dalla legge 142.

La legge urbanistica fondamentale, vecchia di oltre mezzo secolo, prevedeva la formazione di Piani Territoriali di Coordinamento di livello regionale e provinciale, al fine di fornire indirizzi generali di assetto del territorio, rispetto ai quali i singoli Piani regolatori generali dei comuni avrebbero dovuto uniformarsi. Successivamente, la Legge 142/90 ha fissato competenze e contenuti precisi del Piano territoriale di coordinamento provinciale, al quale spetta il compito di indicare:

  1. le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti,
  2. la localizzazione di infrastrutture e linee di comunicazione;
  3. le linee di intervento nei settori idrico, idrogeologico e idraulico forestale;
  4. le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

L'art. 57 del D Lgs. 1/1998 ribadisce che il PTCP deve assumere il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque, della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali; ne consegue per noi l'indicazione di indirizzare la pianificazione generale (e non solo quella relativa alle aree protette) nella direzione della salvaguardia ambientale intesa come criterio fondamentale dell'assetto del territorio.

La storia urbanistica del nostro paese (salvo poche lodevoli eccezioni) e il generale squilibrio territoriale e ambientale esistente - Sarno e la Valtellina su tutto - dimostrano che a una razionale politica di programmazione di "area vasta", si è preferito il PRG comunale come unico strumento operativo e di riferimento. Con il conseguente risultato che tutte le scelte strategiche di scala sovracomunale e metropolitana ~ legate al riuso delle aree dismesse, alla localizzazione delle infrastrutture, alla programmazione della grande distribuzione commerciale, alla tutela dell'ecosistema - sono state sistematicamente ignorate o decise e gestite in base ad interessi particolaristici, secondo la logica del "caso per caso", operando interventi in base alle convenienze immediate del mercato, senza avere un disegno generale e coerente di riferimento. Nel resto del continente europeo invece, la pianificazione territoriale di livello provinciale e metropolitano costituisce pur sotto differenti denominazioni, una realtà consolidata e irrinunciabile.

Il caso italiano non ha riscontri nel resto del continente non solo perché non esiste una efficace programmazione territoriale di area vasta, ma soprattutto perché qui, più che nel resto d'Europa, la grande frammentazione comunale crea una molteplicità di soggetti decisori, sotto il profilo urbanistico e amministrativo, che rende ancor più necessaria e urgente la pianificazione territoriale su scala provinciale e regionale. Questo è ancor più evidente in alcuni sistemi urbani particolarmente complessi (vedi le aree delle grandi metropoli) dove i problemi connaturati alla concentrazione di funzioni economiche e i conseguenti problemi di mobilità, servizi e qualità ambientale non trovano soluzione attraverso il solo strumento di piano regolatore comunale: in tali contesti, anzi, il comune capoluogo rischia di assumere il ruolo di "elemento di squilibrio", tendendo ad accentrare le risorse e a scaricare le diseconomie sulle periferie dell'area metropolitana. Il PTCP non può dunque essere un mero mosaico dei vari piani regolatori comunali esistenti: non puo limitarsi, cioè, a prendere atto di una frammentazione locale che produce squilibri generali. Il PTCP deve costituire un quadro di riferimento complessivo per gli altri enti locali e deve contenere alcune scelte strategiche - sulle destinazioni del territorio, sulle infrastrutture, sulla mobilità, sull'assetto e tutela del suolo - di natura vincolante.

Va data massima attenzione al percorso procedurale e partecipativo per la costruzione del Piano esaltando il contributo democratico dei diversi territori nel rispetto della loro specificità insite in un reale decentramento di poteri e funzioni.

Occorre valorizzare il carattere programmatico, di copianificazione degli interventi necessariarente pertinente alle politiche e all'organizzazione, all'equa erogazione dei servizi di area vaste.

In questo senso non vi può essere alternativa credibile al potenziamento di una dimensione sovracomunale - certamente partecipata, governata con l'attivo contributo degli stessi comuni interessati - per rispondere compiutamente a domande sociali che esorbitino fatalmente dalle competenze e dalle forze effettive della singola autorità comunale.

La condizione di difficoltà in cui versa attualmente la pianificazione può essere ricondotta alla disorganicità dell'attività pianificatoria, intendendo con tale termine la mancanza di sistematicità, di coerenza e di integrazione tra livelli istituzionali e settori disciplinari coinvolti.

Diviene quindi indispensabile al fine di restituire chiarezza, organicità ed incisività all'azione pianificatoria, affermare il primato del dialogo istituzionale e della interdisciplinarietà quale regola di comportamento prioritaria nella formazione e nella attuazione degli strumenti urbanistici.

Tale necessità appare ancora più stringente proprio con riferimento alla pianificazione provinciale. La costruzione del piano provinciale deve diventare allora opera fondativa della identità culturale e politica dell'Ente Provincia che, in tal modo, si pone come luogo di raccolta e di elaborazione delle diverse istanze provenienti da soggetti elettivi, dagli enti di gestione, dalle collettività.

Mobilità e infrastrutture

Nell'ambito della mobilità, l'approccio teso alla integrazione con livelli istituzionali e contesti disciplinari differenti (ambiente, urbanistica, economia) è una scelta irrinunciabile per conferire reale efficacia agli obiettivi e alle strategie proposte.

In particolare per quanto riguarda la interdisciplinarietà occorre tenere presenti le funzioni di "eccellenza" delle zone per cui si va a pianificare insieme alle tematiche della sostenibilità e dell'ambiente.

Occorre allora innescare processi che favoriscano la nascita di nuovi modelli di crescita, disincentivando, per quanto possibile, l'attrazione centripeta che da sempre contraddistingue le città capoluogo, introducendo nuove domande di collegamenti infraterritoriali.

Superare quindi la rigidità degli attuali modelli infrastrutturali, favorendo la nascita di un modello policentrico pianificato, opponendosi ad una logica prevalente che vede la distribuzioni e dei siti produttivi fatta in maniera indistinta e "regolata" esclusivamente dalle convenienze del mercato.

Occorre liberare la pianificazione della mobilità dalla tradizionale visione tecnicistica ed economicistica. In questa direzione, l'assunzione delle teorie della sostenibilità contrasta con un approccio tradizionale che costringe a pensare al sistema della mobilità solo in termini di fattore di danno ambientale e di deturpazione di territori. Occorre allora interpretare la pianificazione e la progettazione delle infrastrutture non solo in termini di efficienza o di redditività economica, altrimenti ne risulta subordinato il ruolo dell'ambiente, e le stesse infrastrutture producono esclusivamente consumo di suolo ed energia, e sono fattori di inquinamento dell'atmosfera e di inquinamento acustico.

Naturalmente non proponiamo una visione riduzionista della mobilità. Occorre invece interpretare la pianificazione e la progettazione come opportunità di intervento di qualificazione del territorio. In altre parole occorre interpretare la progettazione e la realizzazione di un'opera come occasione per conferire o restituire qualità ed identità ad un territorio.

Vaste aree del territorio sono, infatti, caratterizzate dalla presenza di beni culturali, paesaggistici e ambientali di pregio che, non essendo ancora valorizzate dai percorsi turistico ricreativi, non riescono a costituire risorse per le economie locali; la pianificazione può allora contribuire ad uno sviluppo locale autosostenibile, sia attraverso l'inclusione di tali aree in circuiti del tempo libero, sia tutelandone l'integrità. Dall'altra parte essa può intervenire in territori fortemente compromessi, operando per una riqualificazione e una ricostruzione del paesaggio.

Le attuali politiche intervengono esclusivamente a soddisfare il rapporto tra domanda e offerta di mobilità, appesantendo in tal modo l'azione delle infrastrutture sul territorio, e non affrontando alla radice i problemi connessi ai flussi del traffico. Si agisce, insomma solo sui problemi esistenti e non si è capaci di intervenire in una redistribuzione delle risorse e quindi in un diverso rapporto fra uomo e natura.

Partendo da questi presupposti, assume centralità la proposta di definire quale obiettivo della programmazione regionale e provinciale il riequilibrio dell'attuale situazione della mobilità, che nel nostro Paese è fortemente squilibrata a favore del trasporto privato su gomma. Il potenziamento dei servizi ferroviari, sia per il traffico passeggeri che per il traffico merci, l'utilizzo per le aree urbane metropolitane di sistemi a guida vincolata, la creazione di percorsi protetti e preferenziali per i mezzi pubblici, uniti alla promozione e al coordinamento delle azioni dei Comuni in materia di tempi ed orari, rappresentano una discriminante programmatica irrinunciabile.

Risulta evidente che tali tipi di questione non possono essere affrontate che in sede politica e gestite da aziende a prevalenza di capitale pubblico, le uniche in grado di sottrarsi alla logica del mercato.

Trasporto pubblico locale

Il D. Lgs. 422 ha delegato ha delegato a regioni ed enti locali la materia dei trasporti pubblici regionali e locali in un quadro di forte incentivo alla privatizzazione.

Questa situazione normativa e la politica dei trasferimenti finanziari emersa nelle leggi di bilancio degli ultimi anni dimostrano le carenze dello Stato in tema di riqualificazione e volontà politica di rilanciare il servizio pubblico di trasporto, manifestando anzi, il chiaro obiettivo di procedere attraverso la privatizzazione del servizio, ad un drastico ridimensionamento della spesa con devastanti effetti occupazionali e sociali.

Le leggi regionali, nella generalità dei casi, non hanno rappresentato un argine a questa impostazione; la politica sui trasporti serve inoltre da apripista rispetto al piano più generale di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali.

Peraltro, poiché la normativa vigente sancisce l'obbligatorietà di trasformare le aziende di trasporto in società per azioni, mentre quella all'esame del Parlamento è orientata per una vera e propria dismissione, è necessario a misurarsi non più sul rifiuto di tale logica, ma sulla concreta possibilità di introdurre elementi in controtendenza rispetto al processo in corso.

Il nostro obiettivo è quindi modificare nella sostanza il processo di privatizzazione mantenendo la presenza pubblica, evitando che le gare siano condotte sulla base di capitolati che favoriscano la frammentazione del servizio e garantendo l'occupazione dei lavoratori.

Elementi che possono fin da subito costituire elementi importanti per contraddistinguere la nostra azione possono essere quelli della politica tariffaria:

Altro elemento è quello del servizio. La tendenza in atto e quella di garantire il "servizio minimo", il che significherebbe una drastica riduzione di linee e di località servite dal servizio pubblico. Occorre opporsi a questa logica, introducendo come forma di razionalizzazione del servizio il ridimensionamento dello spostamento radiale su gomma (città - provincia), favorendo, invece, per quanto possibile, gli spostamenti intracomunali, creando punti scambio gomma - rotaia, e quindi rafforzando le linee ferroviarie e, lì dove esistono, quelle metropolitane.

Occorre, insomma, attivare una politica del trasporto pubblico realmente tesa a disincentivare l'uso del mezzo privato.

Demanio stradale e viabilità

Porre al centro dell'attenzione il trasporto pubblico e le forme di mobilità alternativa non significa trascurare le esigenze di sicurezza e di fluidità della rete viaria. Nei prossimi anni il demanio stradale delle Province andrà ampliandosi, per effetto del trasferimento di sedimi stradali oggi curati dall'ANAS; ovviamente, è da contrastare la tendenza, già riscontrata in altri ambiti di trasferimento, al passaggio di competenze senza assegnazione di risorse. Tuttavia, fatta salva questa considerazione, il fatto di poter operare su una rete viaria più ampia non deve essere vissuto solo come problema finanziario, ma deve stimolare capacità progettuali e pianificatorie orientate, per l'appunto, alla razionalizzazione e alla manutenzione del patrimonio esistente, non per incrementare la circolazione degli automezzi ma per renderla il più possibile fluida e sicura.

Non pensiamo quindi ad interventi infrastrutturali pesanti ed invasivi della poche aree non cementificate (anche perché, al di la di ogni altra considerazione, i bilanci provinciali non lo consentirebbero), ed in ogni caso proponiamo approfondite valutazioni dell'impatto ambientale delle singole opere e dell'intero sistema della mobilità delineato dai Piani territoriali

Politiche ambientali

Il ruolo della provincia in tema di ambiente diventa sempre più centrale. Si tratta allora di definire quali linee adottare affinché possano essere realizzate politiche tese ad invertire un uso delle risorse naturali di tipo predatorio facendo in modo invece di valorizzare tali risorse. Ci limitiamo a dare solo alcune indicazioni:

Difesa del suolo e protezione civile

E' necessario rendere operative al più presto le funzioni conferite dal D.Lgs. 112. Pertanto, dovranno essere istituite le strutture operative in grado di svolgere le attività di previsione e gli interventi di prevenzione dei rischi. Queste strutture dovranno attivare censimenti delle aree più vulnerabili, predisporre i progetti di recupero e le opere di manutenzione (con l'introduzione di "buone prassi" nei confronti di abitanti e proprietari agricoli che presidiano il territorio), in stretto coordinamento con i Comuni e con le realtà associative e di volontariato che sono portatrici di esperienza consolidata nel campo della protezione civile.

Risparmio energetico

La nuova funzione conferita dal D.Lgs 112 consente alle Province (oltre all'autorizzazione all'esercizio degli impianti di produzione energetica e al controllo degli impianti termici) la redazione di programmi di intervento per la promozioni delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico; questo significa stimolare l'attuazione alla legge 10/91, che ha sancito l'obbligo di elaborare all'interno del PRG dei comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti uno specifico piano energetico, ed elaborare in proprio un piano energetico su scala provinciale, utilizzando anche i finanziamenti e le esperienze che sono messe a disposizione dalla U.E

Emissioni atmosferiche e sonore

Il monitoraggio della qualità dell'aria è una delle funzioni storiche delle Province. E' necessario potenziare la rete di rilevamento, insediandola in tutti i punti critici del territorio (ovunque vi sia presenza di attività che producono emissioni inquinanti e di nodi di traffico). Al completamento della rete deve seguire una azione volta all'emanazione di norme nazionali e regionali realmente efficaci, che in caso di superamento dei limiti consentano azioni non simboliche ma realmente efficaci.

Particolare attenzione dovrà essere posta all'inquinamento elettromagnetico, inserendo nella programmazione urbanistica di carattere provinciale le norme di salvaguardia ambientale previste dalla legislazione nazionale e regionale.

Aree protette

il compito della Provincia deve essere quello di:

  1. garantire la conservazione degli habitat naturali,
  2. indirizzare la nuova occupazione prioritariamente alle attività di cura e salvaguardia del territorio in ambito locale e promuovere professionalità nella gestione e nella valorizzazione della risorse naturali;
  3. orientare le attività di ripristino ambientale prevalentemente al recupero di zone sottoposte a maggiore stato di degrado (Bonifica di cumuli inerti e di rifiuti, recupero e bonifica di elementi infrastrutturali e aree industriali dismesse);
  4. indirizzare la fruizione a scopo ricreativo ed educativo di ogni area protetta con 1a creazione di centri visita attività didattiche, aree sosta, nella fascia esterna o contigua all'area, ciò anche allo scopo di diminuire l'afflusso verso le aree più sensibili, soddisfacendo i bisogni ricreativi nella fascia esterna;
  5. mantenere un alto livello di attenzione rispetto al rischio che modelli di sviluppo distruttivi siano importati nelle aree protette (ad esempio incrementando un tipo di fruizione turistica incompatibile con la sostenibilità ambientale)

Caccia e pesca

E' necessario che si passi dalla logica burocratica degli sportelli al servizio dei praticanti la caccia e la pesca, alla logica della gestione e protezione delle risorse faunistiche del territorio. Per realizzare questo obiettivo, le attività ittiche e venatorie devono essere monitorate in rapporto strettissimo con la pianificazione territoriale ed ambientale.

La gestione oculata della fauna ittica può avere ricadute importantissime sui piani di risanamento delle acque, costituendo un indicatore fondamentale della salute dei corsi d'acqua e consentendo di tenere sotto controllo - oltre alle attività industriali classiche - anche quelle forme di sfruttamento della risorsa idrica che avvengono "a monte" (ad. es. la captazione a scopo energetico), nelle zone meno antropizzate del territorio.

La gestione della fauna terrestre, che risponde ad un preciso obbligo di legge - a prescindere da ogni giudizio di merito sull'attività venatoria - è altrettanto importante. Viviamo in territori nei quali l'assetto faunistico è in costante evoluzione: le comunità animali sono infatti soggette a modificazioni anche repentine della propria struttura, in risposta al variare delle condizioni ambientali e delle attività antropiche. Quindi, lo stato di salute della componente faunistica costituisce un importante indicatore di qualità ambientale.

Intendiamo quindi impostare una pianificazione faunistica orientata al ripristino e alla reintroduzione delle specie autoctone ed ispirata al principio di riduzione del danno per quanto riguarda i prelievi.

Gli addetti alla vigilanza ittica e venatoria, che incauti progetti di legge vorrebbero equiparare a corpi di polizia (forzando in modo inaccettabile le previsioni normative del D.Lgs. 112 in materia di polizia amministrativa), devono invece rappresentare dei presidi di sorveglianza del territorio e degli educatori ecologici, in grado di diffondere la conoscenza delle risorse ambientali dei territori.

Smaltimento rifiuti

Occorre opporsi alla logica della moltiplicazione dei termodistruttori. Essi rappresentano, anche concettualmente, una visione del tutto contraria all'obiettivo del riciclo dei materiali, l'unica dal punto di vista ambientale in grado di garantire uno sviluppo sostenibile. A questo proposito, occorre tener presente che la promozione della raccolta differenziata può davvero riuscire solo se incontra lo sviluppo di un'adeguata richiesta dei materiali riciclati: questi devono poter usufruire di percorsi più favorevoli nei capitolati d'acquisto e nei protocolli di intesa con i settori produttivi, così che siano oggetto di destinazione certa. Inoltre è bene evitare la creazione o il sussistere di assetti contraddittori nella gestione dell'intero ciclo dei rifiuti: se si intende intraprendere con decisione la via della raccolta differenziata, del recupero e riciclaggio dei materiali, con assetti di gestione e indirizzi a centralità pubblica. È evidente che non potrebbe risultare compatibile con tale Progetto la presenza di rapporti consorziali e condivisioni di responsabilità con chi non subisce danni dal rallentamento nell'attuazione della raccolta differenziata (proprietari di discariche) e che, anzi, beneficia del maggior carico di rifiuti da smaltire nelle proprie discariche.

In sintesi. queste sono le azioni che le Province devono intraprendere:

Tutte queste proposte sono un obiettivo primario sia in funzione della difesa dell'ambiente che dello sviluppo sociale ed economico, perché in grado di assicurare sicuri posti di lavoro

Servizio idrico integrato, tutela delle risorse idriche, disciplina e controllo degli scarichi

Spetta alle Province e ai comuni, mediante le forme previste nella L. 142/90, l'organizzazione del Servizio idrico integrato. Le forme di gestione previste dalla legge 36/94 (legge Galli), artt. 24 e 25, prevedono la realizzazione di forme di cooperazione tra Enti Locali sia per determinare le autorità di ambito, sia per le forme di gestione.

Per quanto riguarda gli aspetti gestionali occorre rilevare che la determinazione del sistema di organizzazione del Servizio idrico integrato tramite convenzione (cooperazione tra Enti) o consorzio è di primaria importanza: la convenzione infatti comporta sicuramente un coinvolgimento nella gestione "alla pari" anche da parte di realtà locali minori (piccoli comuni) che nella forma del consorzio possono essere compresse dalla prevalenza dei soggetti più forti (i grandi complessi urbani)

Analoghe considerazioni vanno fatte a proposito della individuazione del soggetto gestore da parte dell'Autorità di Ambito all'interno della quale la Provincia assume un ruolo preminente e di rilievo: ovviamente la scelta politicamente più opportuna sarebbe quella di identificare il soggetto gestore in un soggetto totalmente pubblico (la legge Galli prevede che i soggetti costituenti l'autorità di Ambito mettano a disposizione oltre alle infrastrutture tecnologiche il personale e le strumentazioni necessari alla gestione). Tuttavia, considerando l'evoluzione della normativa sulla gestione dei servizi locali di natura industriale (le proposte di modifica della legge 142/90), occorre battersi perchè il sistema pubblico possa garantirsi un controllo maggioritario (almeno il 51% della partecipazione azionaria) nella gestione del servizio.

Beni culturali

Occorre valorizzare appieno i centri storici presenti nella Provincia. I siti archeologici e di attrazione culturale vanno inseriti in progetti capaci di coniugare il rispetto dei beni con la fruizione turistica, attraverso la valorizzazione, creando dei veri e propri "parchi archeologico-culturali" e prevedendo migliori servizi al loro contorno (facilità di accesso, infrastruttura ricettive età.). L'azione di recupero e restauro dei monumenti non può essere intesa come fine a se stessa. Essa deve essere inserita, invece, nella più generale progettazione urbanistica, finalizzando semmai questa alla valorizzazione piena di tali beni.

Agricoltura

Occorre sollecitare, ove non sia stato già fatto, che le Regioni attuino le deleghe nei confronti delle Province.

E' necessario ricominciare a ragionare seriamente su un modello di sviluppo agricolo che sia in grado di rappresentare un'alternativa alla disoccupazione, all'emarginazione sociale, all'abbandono delle zone interne, alla povertà crescente, che ponga con forza la questione della qualità dei prodotti;

Devono essere incrementate, soprattutto nelle parti meno sensibili delle fasce protette, le attività agro-silvo-pastorali e artigianali tradizionali, incentivando l'occupazione locale, in particolare quella giovanile tramite le attività eco-compatibili (ad es. agricoltura biologica - recupero del patrimonio naturale ed architettonico locale - educazione ambientale);

Deve essere incentivato l'uso nelle mense scolastiche, negli asili nido e nelle mense ospedaliere di prodotti biologici, o comunque prodotti che abbiano la certificazione (effettuata da società specializzate) di essere esenti da residui tossici.

Devono essere vietati produzione, uso e commercializzazione di O.G.M.

Politiche occupazionali

Alle Province sono stati conferiti, da parte dello Stato e delle Regioni, importanti compiti relativi al mercato del lavoro ed ai servizi per l'impiego.

All'interno di questo trasferimento di competenze, l'esigenza posta dalle forze di sinistra di recuperare il controllo sulla gestione del mercato del lavoro (mercato destrutturato dalle politiche attuate dai governi negli ultimi quindici anni e affidato, in maniera prevalente, ad una gestione privata da parte delle imprese mediante l'uso della chiamata nominativa generalizzata e del contratto di formazione - lavoro) non ha trovato adeguato recepimento.

Diventa quindi necessario contrastare, nell'esercizio concreto dei nuovi poteri, la diffusa tendenza a gestire la materia attraverso società miste pubblico - privato, che per loro natura non possono essere in grado di sottrarre i giovani, in particolare, alla fortissima iniziativa delle strutture private di collocamento, sorte come funghi grazie alle scelte del Governo in materia.

La creazione di sportelli pubblici multiservizio diffusi su tutto il territorio, collegati in rete con il sistema telematico a livello nazionale ed europeo, la modifica del sistema di iscrizione e la ridefinizione di un intervento pubblico nel collocamento, nelle vertenze e in generale per il sostegno ai lavoratori e ai disoccupati, può determinare un' alternativa reale alle politiche neoliberiste, alla flessibilità e alla privatizzazione del settore.

Di particolare rilievo è il compito delle Province nelle attività connesse al consolidamento dei progetti di LSU e LPU e per la costruzione di sbocchi certi a quanti sono impegnati in detti progetti. Interventi relativi alla costituzione di società miste e di aziende di multiservizi rappresentano un terreno, per certi versi giù frequentato da alcune amministrazioni che deve essere ulteriormente sviluppato per allargare i livelli occupazionali e garantire l'erogazione di servizi altrimenti non disponibili. In questo quadro particolarmente rilevante sarà l'aspetto connesso alle ad aggregazioni territoriali e alle agenzie di scopo.

Politiche formative e scolastiche

Ai sensi dell'art. 139 comma 1 del D.Lgs. 112, alle Province sono state conferite, in relazione all'istruzione secondaria, i compiti e funzioni rilevanti, che vengono attribuite all'interno di un processo di "controriforma" molto ampio (riforma dei cicli, autonomia scolastica, legge di parità) che ha inferto una ferita profonda alla Costituzione.

E' necessario che ogni azione delle Province sia indirizzata alla tutela dell'istruzione pubblica, contro il tentativo di trasformare la scuola in un diplomificio.

I Piani di dimensionamento hanno rappresentato per le Province il primo adempimento a seguito del conferimento delle nuove funzioni e hanno consentito all'Ente di assumere un ruolo visibile di coordinamento e di indirizzo. E' necessario partire da qui per articolare politiche scolastiche pubbliche di qualità: il piano deve essere inteso come strumento dinamico, una sorta di conferenza permanente nella quale gli Enti Locali si misurano concretamente con i bisogni educativi ed elaborano strategie di sostegno al diritto allo studio incentrate sui servizi, contro la logica dei "buoni servizio" che viene assunta dalle Regioni governate dalla destra.

Analogo discorso vale per la formazione professionale. L'impostazione dominante tende ad utilizzare il raccordo tra P.I. e F.P. in modo assolutamente inaccettabile, in quanto passa una concezione dell'istruzione come elemento funzionale unicamente agli sbocchi sul mercato del lavoro (peraltro reso precario e flessibile), trascurandone le componenti di crescita culturale e sociale: si tende cioè ad integrare i due sistemi con una logica che, a nostro avviso, deve essere completamente ribaltata in quanto consegna ai privati anche la definizione delle linee educative (nel caso dell'apprendistato, addirittura con la formazione all'interno dell'azienda, scelta che dovremo contrastare con ogni mezzo imponendo che i corsi vengano svolti nelle sedi scolastiche e/o formative a ciò preposte).

Dobbiamo quindi rivendicare la creazione e il potenziamento di centri di formazione professionale pubblici, la predisposizione di piani formativi legati alle esigenze del territorio e non alle contingenze del mercato, criteri di convenzione con i gestori privati basati sulla qualità dell'offerta formativa.

Servizi sociali - Accoglienza - Cooperazione decentrata

Pur in presenza di una cornice legislativa che conferisce alle province compiti residuali, è necessario che si valorizzi fortemente il ruolo di coordinamento dei Comuni, per realizzare un insieme di interventi sociali che non si differenzi troppo da zona a zona. Si tratta quindi, in controtendenza con la recente legge Turco Signorino che ha disegnato un "federalismo dell'elemosina", di disegnare un ambito nel quale le politiche sociali di un territorio si coordinano nel tentativo di fornire una risposta universalistica ai bisogni che emergono dal territorio stesso.

Questo ruolo di coordinamento deve realizzarsi

Ai sensi dell'art. 132 comma 2 del D.Lgs. 112, si aprono spazi per interventi provinciali nel campo del volontariato e della cooperazione sociale.

Inoltre la provincia può dare concreti contributi a politiche di accoglienza verso i migranti e a favore della cooperazione decentrata, assumendo così un ruolo importante nella promozione e nel coordinamento delle attività di sviluppo e delle azioni di solidarietà internazionale.

In particolare è possibile

Gli EE.LL. inoltre possono promuovere, stimolare, favorire e sostenere la partecipazione ad iniziative e progetti di Cooperazione Decentrata, gestiti con soggetti privati e pubblici nelle realtà locali di riferimento quali: associazioni di cooperazione e solidarietà; organizzazioni di lavoratori organizzazione non governative; commercio equo solidale, consumo critico, finanza etica; centri sociali; istituzioni e servizi pubblici; scuole e Università; centri di ricerca e Formazione comunità Montane; enti amministrativi; associazioni di categoria

Il finanziamento di iniziative decentrate di sviluppo può avvenire anche attraverso i canali classici di sostegno nazionale ed internazionale (MAE, U.E., organizzazioni internazionali): ma una cooperazione veramente decentrata ha anche bisogno di fonti di finanziamento autonome che possono essere identificate sia a livello di istituzioni e strutture pubbliche e/o private e soprattutto, a livello di enti regionali e locali che operano attraverso leggi e delibere specifiche mettendo a disposizione delle iniziative di sviluppo una quota dei loro bilanci annuali.

In questo senso, proponiamo l'applicazione della legge 68/1993, che quale prevede per gli enti locali la possibilità di stanziare fino allo 0,8% dei primi tre capitoli del bilanciò mediante specifiche delibere.

Commercio

Alla Provincia compete la partecipazione alla conferenza dei servizi che esamina le domande per l'apertura di grandi strutture commerciali. E' evidente che si tratta di un ruolo fondamentale se si vuole evitare il proliferare di grandi catene ai danni del piccolo commercio e degli stessi consumatori.

Questo ruolo deve essere svolto appieno, ad esempio promovendo la creazione di un osservatorio, aperto alle categorie e alle associazioni degli utenti, per monitorare il peso e gli effetti della presenza della grande distribuzione sul territorio, anche in termini di costi ambientali e di diritti dei lavoratori del settore.

Gruppo di lavoro del Dipartimento Stato e Autonomie del PRC coordinato da Angelo Tria e Massimo Patrignani
Roma, 8 aprile 2001 (originale: Roma, 24 novembre 2000)