I risultati delle elezioni politiche del 2001 necessitano di alcuni approfondimenti per gli esiti che ci hanno consegnato. Le interpretazioni politiche, ideologiche oppure semplicemente di comodo spesso non permettono di comprendere adeguatamente i processi in corso.
ALCUNE RIFLESSIONI POST-ELETTORALI

Maggioritario e rappresentanza

Innanzitutto una considerazione di fondo sulle linee di tendenza si puo' dedurre dalla partecipazione al voto.
I primi dati parevano indicare un'affluenza maggiore delle precedenti analoghe elezioni.
All'annuncio di un aumento di partecipazione corrispondeva, a dimostrazione della crisi di legittimita' in cui versa la democrazia anche in Italia, un numero imprecisato di commenti tesi a sottolineare l'accresciuta attenzione per i temi di questa campagna elettorale (come se ce ne fossero stati di importanti).
Questa operazione ideologica, che voleva convincerci di un presunto ritorno alla politica e alla partecipazione doveva cedere il passo ad un approccio ben piu' realistico dopo aver appreso il dato definitivo dei votanti: meno due per cento rispetto alle precedenti politiche.

Nonostante un recupero nei confronti delle elezioni europee e regionali (per altro congenito data la differente valenza politica) viene confermata la tendenza ad un aumento della non partecipazione, a cui va aggiunto il numero degli astenuti recatisi alle urne, (grosso modo analogo al 1996) pari a circa 2.700.000, oltre il sette per cento dei votanti. Un dato questo sistematicamente omesso dalle riflessioni sulla sfasatura tra politica e cittadini.

Inoltre, tra chi indica una preferenza, sono oltre quattro milioni coloro che esprimono un voto fuori dai due poli.
Complessivamente considerando il numero dei non votanti, degli astenuti e di coloro il cui voto non ha prodotto nessun eletto, si ottiene che per il proporzionale alla Camera alla distribuzione dei seggi ha concorso il 58% degli aventi diritto (28.700.000 elettori su 48.900.000).
Meno male che la quota proporzionale dovrebbe mitigare il sistema maggioritario! Infine ragionando all'ingrosso si potrebbe dire che a Di Pietro un senatore costa quasi 1.200.000 voti, al PRC circa 400.000, a Berlusconi e i suoi si' e no 80.000, e poco di piu' all'Ulivo che, per eleggerne uno, deve appena superare i 100.000 elettori.

Il risultato di Rifondazione

Non c'e' dubbio che il risultato conseguito da Rifondazione Comunista sia da considerarsi importante, perche' non solo conferma una presenza antagonista nel quadro istituzionale, potenzialmente volano di conflitti e di momenti di ricomposizione sul piano sociale, ma soprattutto per le condizioni in cui tale risultato e' stato conseguito.
Il contesto di questa campagna elettorale e' stato caratterizzato da una progressiva avanzata della polarizzazione verso i due schieramenti principali annullando qualsiasi defezione o elemento di dissonanza.
La par condicio e' stata ribaltata in un vero e proprio offuscamento delle formazioni minori con il risultato che solo il PRC e' riuscito a superare la fatidica soglia del quattro per cento al proporzionale e ottenere un buon risultato, intermini percentuali, al Senato, dove la competizione con il Centro-sinistra era diretta.
Inoltre per quanto attiene Rifondazione Comunista la campagna per il "voto utile" e' stata particolarmente asfissiante in quanto, a differenza che per le liste Di Pietro o D'Antoni, si faceva appello ad un comune sentire e a un contesto, ormai piu' metafisico che politico, riconducibile al campo della sinistra.
Il cosiddetto popolo della sinistra, appunto, quello in cui anche il PRC attinge, in parte, consensi importanti subisce fortemente il richiamo a non favorire "oggettivamente" le destre.
Tale pressing spiega facilmente la costante e progressiva erosione di consensi a Rifondazione con l' avvicinarsi del 13 maggio. Il tempo erodeva le ragioni di un voto politico, subentrando quelle di schieramento tattico che facevano aderire al sistema bipolare di fatto (anche mass-mediologico) e alla logica del male minore.

"Zoccolo duro" e blocco sociale

Un'analisi delle preferenze espresse evidenzia che il voto ottenuto da Rifondazione Comunista sia principalmente il prodotto di un voto omogeneo, cioe' chi ha confermato il suo voto al PRC lo ha fatto su entrambe le schede deludendo i suggerimenti di alcuni nostri "amici" come Ingrao-Rossanda e la Rivista del Manifesto.
Lo scarto, infatti, che si e' realizzato tra le schede delle due differenti camere e' modesto, e compensato da altri fattori quali il minor numero di liste e l'unico simbolo con falce e martello al Senato.
Ma e' certamente vero che ci sia stato anche una quota di voto disgiunto, soprattutto in regioni in cui e' radicata la presenza del Centro-sinistra, non permettendo di dare una lettura univoca alle preferenze ottenute da Rifondazione Comunista.
Tali fenomeni, aggiunti alla ulteriore discrepanza in negativo avutasi nel contemporaneo voto amministrativo, inducono a relativizzare la convinzione che esista uno "zoccolo duro" sempre pronto a votare per il PRC.

 Rifondazione Comunista appare, nonostante tutte le difficolta', un voto davvero utile per quasi due milioni di elettori alle politiche, ma e' necessario indagare le ragioni di questa preferenza, tentando di comprendere la molteplicita' di vettori con cui si e' determinata questa risultante.
E' indubbio che, benche' si sia modificata e per certi versi assottigliata, esiste una piccola quota che ancora per ragioni del tutto ideali (o ideologiche nel peggiore dei casi) resta legata alla "bandiera rossa", ma e' altrettanto certo che settori significativi nelle dinamiche della lotta di classe abbiano optato per Rifondazione come scelta antagonistica all' esistente, per continuare a mantenere aperta una prospettiva anche in questa stretta bipolare.
In questi casi si rovescia la logica del "voto utile" del Centro-sinistra ed emerge un mondo complesso e variegato che nuovamente esprime livelli di conflittualita' e che va da settori operai tradizionali a quelli della new economy e contro la flessibilita', dall'ambientalismo alle piu' generali battaglie contro la globalizzazione di questi ultimi anni.
Tali soggetti non fanno tutti parte di una tradizione riconducibile meccanicamente alla sinistra storica, ma iniziano a essere anche l' espressione autentica delle contraddizioni contemporanee del capitalismo, andando persino a scombinare i blocchi sociali sedimentatisi a partire dagli anni Sessanta e facendo cosi' intravedere una possibile alternativa.
Tale elettorato ha effettivamente una certa "assonanza" con il nostro partito, ma come ammette lo stesso Bertinotti Rifondazione non e' "l'espressione compiuta di questi segnali".
I flussi di elettori che danno la preferenza al Senato, ma non alla Camera oppure il contrario e il sostegno piu' modesto ricevuto alle amministrative stanno li' a dimostrarlo.
Non c'e' dubbio che questo tipo di elettorato, benche' non vada enfatizzato, sia un punto di partenza significativo, in quanto espressione del moderno conflitto poliedrico in grado di aprire nuove prospettive di recupero di identita' e di ricomposizione di un blocco sociale a partire dal conflitto e da un nuovo protagonismo di settori di classe importanti.
Questo e' il dato che potenzialmente ci proietta nel futuro, se sapremo coglierlo, sganciando Rifondazione Comunista dalle inerzie residuali e ideologiche.

Bilanci contrastanti

Il contesto in cui si e' realizzata la campagna elettorale e' stato, magari anche in maniera artificiosa, costruito attorno ad un bipolarismo indotto, grazie anche al mantenimento del famigerato Mattarellum.
Chi nel partito banalizza l'attuale risultato elettorale sostenendo che si e' tornati al punto di partenza, cioe' al 1992, quando si ottenne il 5.6% delle preferenze, non contestualizza tale risultato e dunque non e' neppure capace di comprendere la fase attuale e tanto meno avanzare una proposta concreta per uscire dalle difficolta' in cui ci troviamo.
Varrebbe, infatti, la pena di riflettere sul fatto che se l'odierno meccanismo elettorale fosse esistito agli inizi degli anni Novanta con tutta probabilita' Rifondazione Comunista non sarebbe neppure nata.
Oggi, invece, per la prima volta si e' realizzata una competizione, su basi maggioritarie, in cui al Senato Rifondazione Comunista e' stata adirittura in concorrenza diretta con il Centro-sinistra, affermandosi come la prima formazione al di fuori dei principali schieramenti.
Utilizzare acriticamente un metro solo quantitativo, senza considerare le condizioni qualitative da cui si partiva nella contesa elettorale evidenzia oltre che una rozza analisi una poco credibile capacita' di avanzare proposte per il dopo.
Detto cio' il sistema bipolare resta un problema, non solo perche', come abbiamo visto, uno "zoccolo duro" che fa riferimento al partito non esiste, ma anche in conseguenza del risultato elettorale stesso che marginalizzando le liste minori ha allontanato la possibilita' di una nuova riforma elettorale in direzione proporzionalista.
D'altronde l'occasione di una riforma, nonostante l'impegno del PRC, e' sfuggita dopo la seconda sconfitta del referendum per l'abolizione della quota proporzionale.
Oggi con la riduzione a soggetti non autosufficienti e di second'ordine di tutti i vari cespugli sia del Centro-sinistra sia del Centro-destra si potrebbe esaurire la spinta verso il pluralismo e la democrazia.
L'ultimo risultato elettorale ha dimostrato che e' piu' semplice costituire dei gruppi parlamentari presentandosi nel maggioritario sotto l'ala protettrice della coalizione di appartenenza che in conseguenza dei reali consensi di cui si dispone tra l' elettorato. Il dato politico, pero', non ci puo' lasciare indifferenti, poiche' potrebbe significare che il contesto bipolare e maggioritario permanga come unica cornice delle future competizioni elettorali; lasciando Rifondazione costantemente in una condizione di messa in discussione radicale.
 L'elemento della sopravvivenza, dunque, dopo dieci anni di vita, deve essere in qualche modo superato individuando una prospettiva politica e un progetto di lavoro adeguati, senza prescindere dalla necessita' di una presenza istituzionale qualificante che permetta di proseguire nello svolgere una funzione di cerniera politica fra movimenti e loro rappresentanza.

Partiamo allora da un dato largamente condiviso nel partito: la crisi politica del Centro-sinistra.
E'evidente che da qui si dovra' ripartire con una capacita' di incidere e di interloquire con quei settori legati alla sinistra moderata e insoddisfatti delle scelte fino ad ora adottate. Rifondazione Comunista dovra' saper avanzare proposte concrete di lavoro e di prospettiva per uscire "a sinistra" dalla crisi dello schieramento ulivista, mettendo al centro il confronto programmatico.
Nessuna altra scorciatoia politicista o organizzativista potra' eludere il problema degli indirizzi politici.

Un bivio da superare

Due , pero', appaiono le strade percorribili, di cui una esclude l'altra, per tentare contemporaneamente di uscire dalle difficolta' in cui si trova l 'opzione della sinistra radicale.

La prima, moderata al punto da rimettere in discussione il percorso fin'ora svolto, dalla rottura con il governo Prodi alla scissione fino alla presentazione autonoma a queste elezioni politiche, essa potrebbe prevedere una politica che non intende affrancarsi definitivamente da un rapporto preferenziale con il Centro-sinistra, facendo affidamento per il prossimo periodo di opposizione anche adagiandosi e confidando sulle risorse degli apparati e delle strutture della sinistra moderata con l'obiettivo di perseguire un'alleanza di basso profilo programmatico tutta tesa a uscire dall'isolamento politico di cui il PRC e' vittima.
La proposta secondo la quale si vorrebbe uscire dalla strettoia cui ci costringe il sistema elettorale invitando il partito a un maggiore "internismo" al Centro-sinistra, da una parte metterebbe senz'altro al riparo un ceto politico, dall'altra sconnetterebbe le ragioni di un partito, salverebbe il corpo abbandonando l'anima. Sarebbe, in altre parole, un'operazione di eutanasia: ammazziamoci cosi' smettiamo di soffrire!
Quest'opzione non sembra essere in grado di risolvere le aporie della fase, ma apparirebbe del tutto legittima se fosse espressa con chiarezza nel nostro dibattito interno.

La seconda strada appare senz'altro tortuosa e complessa, ma potrebbe risultare l'unica perseguibile per tentare di coniugare autonomia e antagonismo, mantenendo una presenza efficace in un quadro politico e istituzionale sfavorevole.
La battaglia per la sopravvivenza di Rifondazione Comunista, dunque, se non vuole dipendere direttamente dalle scelte e dalla natura del Centro-sinistra dovrebbe poggiare sui soggetti sociali di riferimento. Il baricentro politico e d'iniziativa dovrebbe allora spostarsi ulteriormente verso la mobilitazione tra le classi subalterne e la stessa presenza istituzionale dovrebbe essere spesa per l'irrobustimento dei movimenti sociali e del partito quale organizzazione che si costruisce tra essi.
Questa appare l'unica variante per poter resistere al bipolarismo, costruendo alleanze sociali che riconoscano nel PRC il soggetto politico di rappresentanza e contestualmente per creare conflitti e mobilitazioni in grado di modificare i rapporti di forza nella societa'.
Appare ovvio, a scanso di equivoci, ribadire che anche per questa seconda opzione, non si possa essere indifferenti alla crisi della sinistra moderata e ai suoi sbocchi, ma che tale crisi debba essere affrontata e incalzata da un partito che individua come prioritario il rafforzamento del proprio insediamento sociale e le mobilitazioni di massa come strumenti di autonomia politica e organizzativa e quindi anche in campo elettorale, qualora le condizioni, come probabile, lo richiedano.

Marco Bertorello, Bruno Pastorino
Genova, 22 maggio 2001
da "Bandiera Rossa"