Dopo elezioni 2004

«Voglio far cadere il governo»

Intervista a Fausto Bertinotti da parte de “l'unità”

Fausto Bertinotti è soddisfatto del suo 6,1% che va oltre il risultato delle politiche (5%) e molto oltre le europee del ‘99 (4,3%).

«Un risultato importante. Durante la campagna elettorale avevamo pensato che superare il 6% avrebbe rappresentato una svolta».

Una svolta?

«Sì. Un riconoscimento da parte dell’elettorato del progetto politico del Prc e della sua linea politica, del profilo originale che avevamo dato al partito. Pensavamo che superare il 6% avrebbe rappresentato la caduta di quello sbarramento che avevamo riscontrato nelle settimane precedenti le elezioni».

Parla di sbarramento. Quale era la preoccupazione?

«Sia chiaro, la campagna elettorale è andata bene. Comizi riusciti, partecipazione, interesse e curiosità in crescita nei nostri confronti. A volte persino sorprendente. Anche il Partito della sinistra europea ha trovato un riscontro di opinione e un sostegno da parte di movimenti, intellettuali, militanti... L’elemento che frenava era l’idea che potesse nuovamente far premio, persino in un sistema proporzionale, una logica maggioritaria e che alla fine tutta questa simpatia e questo consenso potessero essere raffreddati dall’idea del voto utile e venisse premiata la parte più consistente del centrosinistra».

Insomma temevate la capacità espansiva del listone.

«Ma questo non è avvenuto. Segno che la nostra ipotesi politica ha avuto un appeal in grado di reagire a questa tendenza in maniera significativa».

La crescita ha riguardato sia pure in maniera diversa anche Verdi e Pdci...

«C’è una differenza. Noi diventiamo il quarto partito italiano, quasi la metà da soli di tutte le forze che stanno a sinistra del listone. Comunque non c’è dubbio che il 13% a sinistra del listone costituisce un fatto politico importante».

È la sinistra pacifista che ha dimostrato di avere un peso?

«Non farei questa delimitazione politica. Anche dentro il listone ci sono realtà che hanno condiviso la battaglia contro la guerra e che sono essenziali alla costruzione di una sinistra alternativa indipendentemente dalla collocazione nei vari partiti».

Veniamo dunque al progetto della sinistra alternativa e all’impiego di questo 13%.

«Diciamo subito che la sinistra alternativa non ha confini che racchiudono la geografia dei partiti a sinistra del listone. Ha una dimensione più lata e non solo partitica. Prevede delle soggettività che, ai fini del progetto, hanno la stessa dignità politica delle organizzazioni dei partiti: associazioni, movimenti, componenti sindacali... L’idea di una sinistra alternativa vive solo se si libera dalla gabbia dell’accordo fra i ceti politici. Non possiamo fare a sinistra ciò che ha fatto il listone. Non può essere una operazione di somma, senza avere, per altro, la massa critica della lista unitaria. Penso all’avvio di un processo costituente da parte di una pluralità di soggetti della società civile, dei movimenti, dei partiti. Un processo che nasce sulla base di discriminanti politico-culturali. Per selezione progettuale. Il modello della costruzione non può essere piramidale o verticistico, ma orizzontale, a rete, con la costruzioni di circoli, club».

Un processo costituente dal basso?

«Un “tavolo centrale” sarebbe la pietra tombale per questo processo».

Come si configura la futura coalizione di centrosinistra per il governo?

«La convergenza di tutte le forze di opposizione su un terreno programmatico si rende necessaria di fronte alla crisi incipiente dell’ipotesi politica di Berlusconi. Adesso le forze di opposizione sono maggioranza nel paese. Non è accaduto neppure nel ‘96 nel proporzionale. Il perno costitutivo del governo, Fi, è franato e sotto traccia vive una spinta neocentrista per cui certe forze interne al governo sono anche tendenzialmente in uscita. Questo produce una vischiosità. Anche perché una parte del centrosinistra manifesta la stessa propensione centrista».

Di qui la necessità di far convergere le forze di opposizione. In che modo?

«Occorre mettere all’ordine del giorno della ricerca programmatica un punto politico: quello dell’interruzione della legislatura prima della sua conclusione naturale. Ciò significa crescita della mobilitazione sulle questioni economiche, sul tema della guerra, sull’abrogazione di alcune leggi del governo...».

Il listone ha già un programma, quello steso da Amato. Cosa ne pensa?

«Non lo conosce quasi nessuno. Non mi è sembrato che sia diventato un terreno di discussione. Per una ragione di fondo. Se non ha rapporto con le lotte e con i movimenti, un programma non esiste. Non ha sangue e carne. Un programma deve partire dai problemi aperti. Le opposizioni unite devono partire da alcune grandi rivendicazioni sulle quali organizzare campagne politiche e sociali che diventano le fondamenta del programma di alternativa. Iniziative parlamentari, presentazione di proposte di legge unitarie...E la campagna per le regionali l’anno prossimo potrebbe essere una tappa importante».

Luana Benini
Roma, 15 giugno 2004
da "L'Unità"