Dopo i risultati delle primarie

I segni delle Primarie

Le primarie dell'Unione costituiscono un ulteriore segnale del clima di radicalizzaizone sociale antidestra, e il risultato deludente del Prc è la cartina di tornasole dei limiti della tattica bertinottiana.

Le primarie dell'Unione che si sono svolte a ottobre si sono trasformate in un ennesimo segnale del clima di radicalizzazione antidestra che agita il Paese da tre anni a questa parte.

Le primarie

Le primarie hanno coinvolto 4.311.149 cittadini, alla competizione hanno partecipato 7 concorrenti, conseguendo i seguenti risultati:

Fausto Bertinotti Antonio Di Pietro Ivan Scalfarotto Simona Panzino Alfonso Pecoraro Scanio Romano Prodi Clemente Mastella
631.592 142.143 26.912 19.752 95.388 3.182.686 196.014
14,7% 3,3% 0,6% 0,5% 2,2% 74,1% 4,6%

Sulle primarie aveva scommesso più di tutti Romano Prodi. Prodi è portatore di un progetto politico che ha per fine la costituzione in Italia di un partito democratico che riunisca le famiglie politiche della Margherita e dei DS, e che diventi il punto di riferimento delle classi dominanti del Paese. Come ha spiegato mille volte: per affrontare i problemi che l'Italia si trova davanti (declino, concorrenza con la Cina, deficit, ecc.) serve una guida forte che non sia condizionata dalle pressioni sociali. Prodi non può permettersi di governare sulla base dell'appoggio di un partito socialdemocratico che è a sua volta costretto a tener conto delle domande popolari. I DS vanno "superati". Questo disegno coincide anche con quello del gruppo Fassino-D'Alema, ma ha trovato resistenze nella Margherita, il cui ceto politico ha paura di essere fagocitato dalla burocrazia diessina, più radicata sul territorio, più esperta e numerosa. Anche nell'orizzonte politico di Rutelli c'è il partito democratico, ma vuole arrivare all'appuntamento con il suo ceto politico più solido e saldo.

Così, dopo la battuta d'arresto sul progetto del partito unico imposto dalla Margherita, Prodi ha ottenuto come compensazione l'indizione delle primarie, per disporre di quella legittimità che gli avrebbe consentito in futuro di governare senza troppe contestazioni.

Le primarie hanno visto una partecipazione enorme e, certo, il merito non è dei partiti della coalizione, la cui capacità di mobilitazione e organizzazione è in caduta libera. Le sezioni aperte erano poco più di 9.000, e la propaganda per far sapere dove si votava è stata modestissima. E' il popolo della sinistra che si è spontaneamente riversato sui seggi anche sopportando file spaventose. Il segno è inequivocabile: la gente ha voluto utilizzare le primarie come ulteriore segnale che con la destra la si deve far finita, è stato come partecipare a una manifestazione di piazza.

Prodi ha visto convergere su di sé senza sbavature i voti dei diessini e della Margherita. Scontato? Non molto. Il timore dei gruppi dirigenti del centrosinistra era che una fetta di consensi si spostasse su Bertinotti, ma ciò non è avvenuto per ragioni che vedremo dopo. Così Margherita e Ds hanno colto la palla al balzo per una accelerazione del proprio progetto di fusione, interpretando i risultati come una specie di spinta di massa alla costituzione del partito democratico. Questa lettura dei risultati, in realtà, è priva di senso. La massa degli elettori  Ds ha scelto Prodi per la semplice ragione che tale era l'indicazione del partito e mancava un candidato di bandiera.

Il Prc

Il Prc ha ottenuto un risultato più che modesto. Se dividiamo per due i risultati ottenuti dai vari contendenti (visto che i partiti dell'Unione raccolgono più o meno metà dell'elettorato), ricaviamo più o meno le percentuali di ognuno nelle elezioni politiche. Ma la speranza del gruppo dirigente del Prc era di calamitare una fetta dei consensi della base Ds. Perché ciò non è avvenuto? Il problema non è stato la partecipazione alle primarie in sé. Starsene fuori avrebbe significato collocarsi ai margini di una delle più grandi manifestazioni di massa di questo periodo. Il problema è nel come il Prc ha scelto di stare nelle primarie e, in generale, in questa nuova fase politica.

Ha scelto di starci con un profilo politico irriconoscibile rispetto alla fase precedente. Bertinotti è entrato nell'Unione a prescindere da qualsiasi contenuto politico. Il suo ragionamento è stato: per spostare gli equilibri della coalizione devo starci dentro. Ma per starci dentro a pieno titolo ha dovuto nei fatti smussare ogni polemica. E da per lo meno un paio d'anni a questa parte. In questa maniera in dissenso di massa nei confronti della direzione moderata del centrosinistra e che aveva alimentato fenomeni come quelli dei girotondi e di Cofferati non ha più trovato alcuna sponda politica, e si è eclissato. Agli occhi delle larghe masse non vi è alcun conflitto a sinistra, solo sfumature. E non essendoci lotta, non si vede perché schierarsi e fare scelte difficili. Agli occhi di tutti il Prc è ormai un partito "affidabile", che sta dentro alla coalizione, pronto a governare, ecc. Si deve prendere atto che la gran parte delle persone che sino a due anni fa contestava D'Alema, oggi non ha trovato una gran differenza tra votare Prodi e votare Bertinotti, e alla fine ha scelto Prodi. Il Prc non solo ha moderato la sua polemica nei confronti del centrosinistra, ma anche della destra. Basti pensare alla pazzesca posizione sulla Rai, con un Curzi a coprire le ragioni di una azienda vergognosamente filoberlusconi. L'unica maniera di valutare il pluralismo di una trasmissione da parte del Prc, ormai, è la disponibilità di invitare una volta ogni tanto Bertinotti.

I dirigenti del Prc immaginano un futuro beato in cui loro ricopriranno vari incarichi di governo, mentre fuori i movimenti li aiuteranno a "spostare a sinistra" l'asse del governo. Una costruzione mentale tutta campata per aria. Un assaggino di quello che avverrà l'abbiamo avuto nei giorni scorsi durante le contestazioni degli universitari. I movimenti in cui settori del Prc o dei Ds avevano un qualche ruolo, non ci sono più. L'assedio ai palazzi di potere romani è la fotografia di una situazione in cui la gente è sempre più impaziente e disposta, in assenza di risposte soddisfacenti, a far da sè. Il Prc è un partito che ogni giorno di più si assottiglia in termni di militanti e di radicamento sul territorio. Non ha alcuna possibilità "fisica" di tenere i piedi in due staffe. L'entrata in massa dei suoi dirigenti nazionali e locali nelle istituzioni (già in parte in atto con le ultime amministrative) sarà distruttiva per la sua stessa esistenza, dato che contribuirà a dissolvere i pochi collegamenti ancora esistenti con le situazioni di movimento.

La prossima fase politica sarà di grande interesse, ma dubitiamo che il Prc, in quanto partito, possa superarla integro.

Redazione di Reds
Internet, 5 novembre 2005
da "Reds"