Elezioni amministrative 2006: Milano

Milano a rischio centrodestra, una questione nazionale

I sondaggi dicono testa a testa, ma l’aria che tira dice Moratti: il mix padronale e craxiano della ministra paga

E’ tempo di lanciare un grido d’allarme: Letizia Moratti potrebbe conquistare Milano. Anzi è tardi e nell’Unione in diversi sperano nel ballottaggio più che essere certi di arrivarci. I sondaggi annunciano un testa a testa con un vantaggio del centrodestra che non si riverserebbe interamente sulla candidata, ma il naso, l’aria che tira dicono che c’è qualcosa che non va in questa campagna elettorale milanese e il problema non è solo locale. Tralasciando le scaramanzie e l’improbabile effetto traino del nuovo governo, c’è un rimosso nazionale da tempo nella politica di centrosinistra, si chiama Milano, la sua classe dirigente politica e il suo posto nel paese e in Europa.

Forse, come da ultimo ha sostenuto Galli della Loggia sul Corriere, Milano ha ormai una visione non politica del suo presente, una cultura municipalista da società civile abituata a fare da sé, indifferente se non supponente rispetto a Roma, ma di sicuro non ha una classe politica, nel centrosinistra, che guarda a modelli urbani vincenti in Europa e in Italia, che ha in testa e nelle parole la città del futuro più che aggiustare il presente e moderarsi. Da dieci anni assistiamo alla farsa del candidato moderato e abbiamo perso tempo, speranze ed elezioni; e ora che ce n’è uno più che presentabile, capace, istituzionale, con un forte orientamento sociale e progressista non sembra godere del massimo supporto. Si fanno feste e iniziative quotidiane, con continue polemichette per bande interne a ogni partito, ma manca il senso di contare, un progetto appunto, una prospettiva nazionale che non spetta solo a Bruno Ferrante evocare e che non significa un comizio di chiusura coi leader nazionali dei partiti.

Dall’altra parte, i due assi su cui poggia la cultura politica della lista Moratti sono: la “buona borghesia” industriale e delle professioni, con un po’ di finanza e nuova economia, e ciò che resta del craxismo. Il primo è il campo familiare della Signora Brichetto-Moratti, sono i salotti del potere della Milano che fu e dei palchi alla Scala; il secondo è il residuo delle virtù taumaturgiche del riformismo ambrosiano finito nel ciclone “mani pulite”. Il risultato è una ricca signora, tradizionalista, con la bandiera in resta della cultura d’impresa e della benevola carità (stile San Patrignano) e un vicesindaco, Gianpiero Borghini, ex-Pci, ex-Psi e ora assessore di Formigoni in Regione. Quindici anni di terremoto politico nella capitale produttiva e simbolica del Settentrione non hanno cancellato l’alleanza tra gruppi dirigenti ed economici a cui il federalismo leghista e il liberismo selvaggio di Berlusconi appartenevano già. Un ritorno al passato? Per nulla, perché Milano è cambiata e la sua classe dirigente, politica ed economica, si è adattata al mutamento. La sintesi più riuscita per ora è il modello Compagnia delle opere, affari nella solidarietà e solidarietà negli affari. Quello che manca è l’alternativa.

La campagna di Letizia Moratti, in questo è una cartina tornasole, candidata da Berlusconi in quel di Napoli aveva iniziato con prudenza politica ed enormi mezzi pubblicitari, prendendo le distanze dal sindaco di Forza Italia Albertini e ribadendo la sua distanza dai partiti. Ora si è fatta spavalda, fino ad accusare Ferrante di averle copiato il programma, in un mix padronale e sociale che va dalle tariffe bloccate dei tram alle grandi opere, dal rilancio della concertazione sindacale “perché c’è troppa conflittualità” alla liberalizzazione dei servizi della macchina comunale, il parco antismog per i bimbi e il centro aperto al traffico per i commercianti. » la messa in scena di un programma “civico”, pieno di buoni propositi e “ghe pensi mi”. Basta accontentarsi del cartone e cellophane in cui è avvolto, mentre il resto della coalizione tace e schiuma pur di portare a casa il risultato tra gazebo abusivi e uomini sandwich in nero pagati 20 euro al giorno (ovviamente migranti), gite per gli anziani con gentile omaggio in vino dell’assessore (Tiziana Maiolo) e promesse di “pulizia” per la città che campeggiano da centinaia di manifesti illegali su lampioni, semafori, spazi vietati.

Se Letizia Moratti vincerà (e al primo turno) però sarà colpa di tutti non solo della classe politica milanese. Roma è rimasta lontana con il partito del Nord al governo e rischia di rimanerlo anche con l’Unione. A meno che in extremis, in zona cesarini, qualcuno dica che l’Italia ha bisogno di Milano come porta d’Europa e per ripensare un pezzo della sua capacità di produrre e relazionarsi col mondo, che c’è un ruolo, una competenza da rifondare e un impegno nazionale (e non quattro euro) su università, ricerca, cultura ed economia della conoscenza di cui tanto si blatera. A qualcuno interessa o “addavenì Letizia”?

Claudio Jampaglia
Milano, 23 maggio 2006
da "Liberazione"