La relazione di minoranza sulla legge di
bilancio presentata ieri dal Prc alla Camera

«Organizzare la disobbedienza»

Le proposte di Rifondazione Comunista.

La nostra relazione (che è la logica proiezione della mozione alternativa di politica economica recentemente da noi presentata e articolata in centocinquanta emendamenti alla Finanziaria) intende assumere un significato politico forte nel nuovo contesto. Noi pensiamo che vi sia la necessità di cominciare ad organizzare, anche sul piano programmatico, un altro punto di vista. Viviamo un mutamento di fase. La tendenza generale, infatti, è quella di un'onda lunga del conflitto sociale. La critica sociale al governo assume tendenze più marcatamente classiste. La nostra impostazione è del tutto autonoma da quella dell'Ulivo che mostra, su punti rilevanti, una coazione a ripetere errori di rigorismo liberista o, a volte, di illusorio alleantismo politicista. Noi intendiamo collocarci su un tratto preciso della nuova fase: riteniamo, oggi, più realistico il passaggio dalla resistenza alla costruzione di obiettivi alternativi, sui quali tenteremo di costruire la massima unità possibile delle opposizioni. Vi sono le condizioni per rompere gli idoli imposti dall'egemonia liberista su due punti discriminanti: sul ruolo dello stato e sul Patto di Stabilità europeo. Vi è un vero e proprio mutamento dei paradigmi dentro la crisi della prima fase della globalizzazione liberista; nel contesto internazionale il protezionismo militare accompagna la guerra "preventiva" di Bush, mentre si moltiplicano i segnali di crisi come il crollo delle Borse ai livelli del 1987. Proprio in fasi siffatte occorre costruire politiche economiche che incidano sulla formazione sociale, che siano in grado di mutare il ciclo: parlo di una critica sul campo dell'economia politica liberista, articolata punto per punto, contrapponendo nostri parametri a quelli del governo.

La strategia della destra

E' un abbaglio, infatti, illudersi che questa Finanziaria sia debole e puramente propagandistica. Essa ha un preciso impianto strategico: scioglie, sotto l'incalzare della crisi, l'intreccio tra populismo e liberismo (che è l'identità di questo governo) in una direzione padronale e proprietaria. Emerge dai disegni strutturali: smantellamento di tutte le pubbliche amministrazioni, della sanità e della scuola pubblica, privilegiamento della rendita, esaltazione dell'affarismo, identificazione del profitto delle imprese con le politiche di sviluppo. Il governo si affida, nel contesto della crisi, agli "spiriti animali" del mercato, evoca la detassazione delle fasce medio-alte come fattore automatico di sviluppo, devasta il patrimonio ambientale e culturale, considera il Sud un territorio "senza qualità". La Finanziaria penetra profondamente nella struttura sociale, la frammenta, la corporativizza. Gli Enti locali subiscono un attacco durissimo: blocco delle assunzioni, divieto di ricorso all'indebitamento per mutui, taglio delle spese in beni e servizi. E' una trappola devastante: devoluzione liberista da un lato e patto di stabilità interno dall'altro. Dobbiamo saper costruire, per reagire, una connessione tra assemblee elettive e cittadinanze, anche attraverso adeguate forme di mobilitazione e di "disubbidienza" alla Finanziaria. Partendo dalla difesa e dalla qualità dei servizi pubblici per cittadine e cittadini, sia utenti dei servizi, sia lavoratrici e lavoratori.

Il patto di stabilità

L'effetto macroeconomico della manovra sarà restrittivo sulla domanda finale. Il saldo totale prevede una riduzione della spesa pubblica dello 0,5 per cento del Pil ed una riduzione dell'indebitamento pari a 12,5 miliardi di euro per rispettare i vincoli del Patto (mentre l'economia è immersa in una stagnazione prolungata che rischia di tramutarsi in aperta recessione). E' necessario (e possibile) mettere in discussione il Patto, aprire spazi reali ad una politica monetaria anticiclica, individuare forme di controllo della circolazione dei capitali, imporre una ridistribuzione dei redditi più equa e di sostegno della domanda interna, ricercare una politica industriale comune europea, battersi per una Carta dei diritti dei lavori e dell'ambiente. Prodi scopre proprio ora che quel Patto è "stupido" perché il "baraccone liberista" non regge più e sono saltati tutti i criteri fissati dai Trattati. Le politiche restrittive hanno concorso attivamente alla crisi economica e sociale del continente. Oggi la rimessa in discussione del Patto può coincidere con l'allargamento ad altri dieci paesi che produrrà, alle condizioni attuali, centinaia di migliaia di nuovi disoccupati. Il governo italiano si allinea alle tecnocrazie europee. Mentre il governo francese e quello tedesco, con un'indicazione politica decisa, annunziano forti pressioni per la revisione, politiche monetarie più espansive, deciso aumento degli investimenti pubblici. La rimessa in discussione del Patto si proietta, per noi, anche su un ruolo alternativo dello Stato e dello spazio pubblico.

Un intervento pubblico

Facciamo qui proposte che alludono alla qualità dello sviluppo, al rapporto tra produzione ed ambiente, tra territorio e socializzazione, ai diritti del lavoro. Partiamo, classicamente, dai punti di massima crisi sociale. Mettiamo a tema, quindi, innanzitutto, la diffusa emergenza occupazionale (nel settore privato, nella scuola, nella sanità, negli enti pubblici, nelle autonomie locali). Una crisi del lavoro che si ricollega ad un "declino industriale" vero e proprio, ad un ruolo sempre più marginale nella divisione internazionale delle produzioni e dei lavori, ad una competitività ricercata nell'inseguimento del lavoro al prezzo più basso e nella precarizzazione estrema, invece che nella qualità del prodotto, nell'innovazione tecnologica, nella formazione. Mentre l'uso proprietario del territorio, dell'acqua, trasformano i beni in merci, ne fanno luogo privilegiato del processo di accumulazione del capitale. Il governo non vuole vedere il "disastro" di un'inflazione al 2,7 per cento, non dipendente né da fattori oggettivi, né internazionali (è la tassa più odiosa contro i più deboli); né vuole ammettere che non vi è un solo indice economico che non peggiori. E non vi è più l'arma della svalutazione; sarebbe obbligatorio cambiare radicalmente politica economica (ma il governo deve rispondere ai suoi azionisti di maggioranza). Abbiamo presentato come emendamento la nostra proposta sulla nazionalizzazione della Fiat che a questo allude: la vicenda Fiat è cartina al tornasole del fallimento di un'intera strategia industriale. Aggrediamo il nodo dell'intervento pubblico in economia, dentro l'orizzonte della riconversione della Fiat in un polo pubblico della mobilità e un modo nuovo di concepire il "bene auto", in una ricerca di formule partecipative e autogestite, con una riduzione dell'orario di lavoro in un rapporto alternativo tra tempi di lavoro e di vita. Intervento pubblico in economia è anche il nodo, per noi così significativo, della "nuova questione meridionale": contro la "zona franca" che il governo sta costruendo, rilanciamo programmazione, pianificazione, politiche strutturali. E' sbagliato e dannoso considerare solo politiche di incentivazione alle imprese. Vi sono spazi, costruendo mobilitazione, organizzando conflitto, per un nuovo intervento pubblico: salario sociale, piani per il lavoro che raccordano nuova occupazione e messa in sicurezza del territorio, rilancio strutturale dei lavori socialmente utili in un impianto di sviluppo autocentrato.

Social forum europeo

Accanto al misero trucco populista governativo, che dobbiamo saper demistificare anche con i numeri, riguardante l'Irpef, abbiamo, invece, abbattimenti reali dell'Irpeg e dell'Irap, la riproposizione dello "scudo fiscale" (ringraziano gli evasori ed anche i riciclatori di denaro sporco), il concordato fiscale (che il governo si affanna a trasformare in condono fiscale), la sanatoria delle liti fiscali pendenti. Dobbiamo, a livello di massa, lavorare sui dati delle associazioni dei consumatori che dimostrano che, alla fine del rapporto fra sgravi Irpef e mancati trasferimenti agli
Enti locali, alcune centinaia di euro l'anno usciranno dalle tasche delle classi medio-basse, compresa la reintroduzione degli odiosi tickets sulla salute; in secondo luogo dobbiamo ricordare che, per la prima volta, esplicitamente in una Finanziaria, lo Stato-datore di lavoro prevede licenziamenti, a partire dalla scuola. Si sta, inoltre, preparando il colpo definitivo alle pensioni e alla loro pubblicità, facendosi scudo di una iniziativa europea a cui, del resto, con un proprio pessimo progetto, il governo italiano sta attivamente contribuendo. All'abbattimento della sanità pubblica ed alla privatizzazione della scuola e della formazione, contrapponiamo proposte di qualificazione, socializzazione, crescita dell'occupazione, stabilizzazione dei precari.

L'imbroglio di Tremonti

Così come all'imbroglio fiscale di Tremonti, che abbatte anche i codici costituzionali della progressività, contrapponiamo proposte di riforma fiscale alternativa fortemente progressiva, tesa a ridurre evasione ed elusione fiscale, a far pagare speculazione e rendita finanziaria. Un ampio schieramento politico ripropone la Tobin tax. La nostra idea di ridistribuzione equa delle risorse trova anche attuazione nelle proposte di adeguamento salariale automatico all'inflazione reale, di aumento della pensione per tutti con conseguente tetto per le pensioni "massime" affinché non possano superare di dieci volte quelle "minime", di una riforma della sanità che la renda realmente gratuita, efficiente, mettendo al centro la persona e i soggetti che esprimono bisogni maggiori a partire dal proletariato migrante. Noi pensiamo, in definitiva, che si possa imporre, con il conflitto sociale, un rovesciamento del paradigma dominante; proponiamo che i "parametri liberisti" siano sostituiti da "parametri sociali", da una grammatica, cioè, dei diritti e dei poteri sociali. Il Forum sociale europeo, che si svolge nei medesimi giorni nei quali si discute la Finanziaria, è, non a caso, luogo di confronto ed iniziativa che allude ad un possibile mutamento di rotta.

Giovanni Russo Spena
Roma, 1 novembre 2002
da "Liberazione"