E' in atto una mutazione istituzionale che tradisce la Costituzione.
La manovra economica ormai si decide altrove

Un Parlamento ridotto a passacarte

La legge finanziaria, che stiamo, in queste ore, discutendo in Parlamento segna, sotto molti aspetti, un discrimine, una discontinuità. Pare a me, infatti, che vi sia una disinvolta noncuranza (o forse una disattenzione, frutto di una caduta delle sensibilità democratiche e dei controlli istituzionali) su rotture dello spirito e della lettera della Costituzione attinenti alla legge di bilancio, ritenuta dalla nostra Carta la legge fondamentale della statualità.

E' essa, infatti, che traccia le direttive di politica economica, la distribuzione delle risorse. E' essa che allude all'iniziativa dello Stato nei confronti della struttura sociale, della sua formazione e nei confronti dei processi di accumulazione e di valorizzazione del capitale.

Non riprendo qui, ovviamente, i temi di fondo della nostra opposizione; né illustro le strategie alternative che noi indichiamo ("Liberazione" ha, con meritevole spirito di servizio nei confronti dell'iniziativa di massa, pubblicato un intero inserto ed ampi stralci della relazione di minoranza da noi presentata). Mi interessa sottolineare che sbaglia chi ritiene (sono molti, nel centrosinistra) che questa sia una Finanziaria debole ed inefficace: non lo è dal punto di vista sociale, perché emerge, con nettezza, il suo profilo classista, padronale, proprietario, che risponde ad un blocco sociale che va dal presidente della Confindustria sino al riciclatore di denaro "sporco", amico di Totò Riina; ma non è una finanziaria "normalmente" padronale nemmeno dal punto di vista istituzionale.

Essa, anzi, illustra un dato inedito, una vera e propria "mutazione istituzionale". Il centrosinistra aveva già aperto, al solito, pericolosi varchi; le destre ne hanno fatto una voragine pervasiva, che incide sullo stesso rapporto tra governo e Parlamento.

Mi permetto un paragone azzardato: come la legge Cirami rappresenta, soprattutto, il rifiuto del controllo di legalità da parte della Magistratura (attaccata a fondo perché è l'unica istituzione giurisdizionale che tale controllo può, funzionalmente, esercitare, al di là del merito delle sue sentenze), così il governo rifiuta, sulla Finanziaria, anche il dibattito parlamentare che può fondare un procedimento decisionale partecipato.

La Camera dei deputati ha discusso, infatti, per quindici giorni, una Finanziaria "virtuale", per due terzi finta, con numeri falsi e proposte false: una accademia dell'inutilità. Solo dopo la fine della discussione generale, il governo ha presentato un primo maxiemendamento sul problema del Mezzogiorno (dando soldi ed incentivi alle imprese, senza uno straccio di politiche economiche, di politiche industriali, di intervento pubblico in grado di sostenere il diffondersi, nel Sud, di uno sviluppo autocentrato).

Ora, a votazioni già abbondantemente iniziate, il governo fa trapelare la presentazione di un secondo maxiemendamento, sul tema, rilevantissimo, del trasferimento delle risorse alle Autonomie locali. Dov'è lo scandalo? Nel fatto che la legge fondamentale dello Stato passa attraverso il Parlamento quasi solo in funzione notarile, impaccio da sopportare per ossequio alla Costituzione formale. Ma la Finanziaria si discute altrove. Si decide a un tavolo in cui sono seduti governo, Confindustria, Cisl e Uil, e a cui la Cgil non è stata neppure invitata. Si decide all'interno delle forze di maggioranza dove la Lega stabilisce di votare gli incentivi alle imprese per il Sud solo se viene accelerata la discussione sul Federalismo fiscale; con accenti ultraliberisti che costituiscono una trappola mortale per gli Enti locali, stretti da un lato da un accentramento statale delle risorse che li strangola e dall'altro dalla trasformazione del territorio in "distretti liberisti degli affari" in selvaggia competitività tra loro (contro i lavoratori ed i vincoli ambientali).

La mutazione istituzionale si completa con il cosiddetto "decreto taglia spese", fatto approvare alla chetichella dal governo tre settimane fa; un provvedimento incostituzionale, sottovalutato, che dà poteri molto ampi, perfino nel mutamento dei fondi destinati ai servizi sociali, al ministro dell'Economia e ad una autorità che dovrebbe essere tecnica, come il Ragioniere capo dello Stato. Il cerchio si chiude, la Costituzione è gabbata: decidono tutto governo e autorità garanti dei parametri liberisti; al Parlamento solo le briciole per le clientele o per l'assistenza.

Ma in Europa la scena va mutando: Francia e Germania stanno tentando di recuperare un primato delle scelte di politica economica e di intervento pubblico rispetto alla gabbia del Patto di Stabilità. Non a caso Geminello Alvi, che non è certo un bolscevico, nell'editoriale dell'inserto economico di lunedì scorso del "Corriere della Sera" scrive: «L'idea di mondo, di cui gli Usa restano il modello, è giudicata l'unica vendibile, pure se ha sempre meno mercato».

Giovanni Russo Spena
Roma, 7 novembre 2002
da "Liberazione"