«Non si può prescindere dall'etica, dalla discussione, dalle idee, dalle questioni concrete.
Altrimenti la politica diventa tecnica e si separa dall'interesse collettivo».
Dacia Maraini interpreta la crisi di linguaggio e contenuti dell'Ulivo dopo il clamore suscitato dalle parole del regista

Quando la politica non comunica

Intervista a Dacia Maraini sulla crisi del centrosinistra e le accuse di Nanni Moretti



È bastato “l'urlo di un artista” - così ha definito Francesco Rutelli l'intervento di Nanni Moretti - per smascherare una politica - quella del centrosinistra - in crisi di linguaggio, di contenuti, di comunicazione.
L'atto d'accusa lanciato dal regista dal palco della manifestazione ulivista di Piazza Navona contro i leader presenti sorprende.
Non tanto per i contenuti - sulle posizioni di Moretti grava l'ombra di giudizi non sempre coerenti, non sempre seguiti dall'impegno in prima persona, forse anche un po' generici - quanto per la forma.
Dire che Moretti è solo un artista e non un politico non è sufficiente a liquidare la questione, anzi è proprio ciò che fa problema.
Come non vedere che il linguaggio della politica, a sinistra, si sia trasformato in tecnica, separandosi dal comune sentire, dai bisogni collettivi, dalle domande di cambiamento? E che di questi contenuti, così allontanati, si siano impadroniti altri linguaggi - televisione, cinema, carta stampata - e altre figure sociali - giornalisti, registi, attori? Ed è in questa separazione tra ragione politica e ragione etica che persiste Massimo D'Alema: «Credo proprio - ha affermato ieri in una lettera pubblicata su “Repubblica” riguardo alle accuse di Moretti - non sia utile alla formazione di una nuova classe dirigente travolgere in un'ondata di radicalismo e di moralismo qualunquista quella generazione che con i suoi limiti ed errori in questi anni ha governato l'Italia...».
Una posizione, quella dalemiana, che trova in disaccordo la scrittrice e intellettuale Dacia Maraini.
Le critiche di Nanni Moretti sono soltanto parole dettate dal “moralismo”?
Non sono d'accordo. Nanni Moretti ha interpretato uno scontento e un malessere diffuso anche se il modo in cui ha liquidato la classe dirigente del centrosinistra è stato un po' brutale.
Il suo merito è d'aver sollevato la mancanza di un'autocritica seria del- ' E l'Ulivo dopo la sconfitta elettorale.
Non c'è stata, perlomeno in pubblico, alcuna analisi sull'esperienza di governo del centrosinistra e sui suoi limiti.
Quali sono i temi rispetto ai quali,a suo giudizio,il governo del centrosinistra è stato più latitante?
Indicherei almeno tre questioni essenziali.

  1. La prima riguarda il conflitto d'interesse.
    E' stato un grave errore non aver risolto questo problema durante la fase di governo.
    Non è stato affrontato e non si è data alcuna risposta chiara.
    Non si tratta di una battaglia ideologica.
    L'inconciliabilità tra interessi personali e interessi collettivi rappresenta anzi una questione molto concreta.
    E' sulle cose che la gente vuole confrontarsi.
    D'altra parte, la mia non è un'accusa personale ai dirigenti, come se questo fosse il problema.
    La classe politica non si può esautorare d'un colpo.
    Tagliare le teste è un metodo che non mi convince.
    E' l'autocritica, la discussione che manca.
  2. La seconda questione è la magistratura, il funzionamento della giustizia, l'autonomia dei giudici che oggi sono oggetto di una campagna di colpevolizzazione.
  3. La terza questione, molto importante, è la guerra.
    E' mancata qualsiasi autocritica su un conflitto che gli Stati Uniti hanno gestito da soli, scavalcando gli alleati, e che rischia di estendersi ad altre regioni del mondo.
    Non una parola sull'inutilità di una guerra che ha causato morte e miseria in uno dei paesi più poveri del mondo senza riuscire a punire i veri responsabili.
Non solo. Ma in questi anni l'Ulivo ha spesso trattato la cultura del pacifismo come un fatto anacronistico, come un'eredità della sinistra di cui ci si dovesse sbarazzare...
E' vero. Si è scambiato il pacifismo per una posizione ideologica.
Ma la guerra è un problema reale e concreto, come le vittime che provoca.
La situazione attuale è che rischiamo di trovarci invischiati in un conflitto che gli Stati Uniti tentano di allargare, senza avere la possibilità di contrastare questa politica.
Ecco i temi che la sinistra deve affrontare.
Ma ripeto, non è questione di dirigenti.
Sono convinta, tra l'altro, che il livello della classe dirigente del centrosinistra sia buono.
Al contrario, io resto sconcertata quando leggo che gran parte dei parlamentari eletti nelle liste della Casa delle libertà è coinvolta in processi giudiziari per affari di mafia o di corruzione.
Tornando alla crisi del centrosinistra non è che l'Ulivo, nella sua esperienza di governo abbia implicitamente identificato la politica con una semplice tecnica per amministrare l'esistente? E che abbia segnato un distacco dai bisogni,dalle domande di cambiamento che venivano dalla sua base di riferimento?
Indubbiamente c'è stata una separazione tra la politica come tecnica di governo e le passioni, i progetti.
Non credo però che le colpe siano individuali, dei dirigenti dell'Ulivo.
Di fronte c'è proprio un clima del nostro tempo, l'assenza di partecipazione, il calo di interesse e di impegno nella politica da parte degli individui.
Bisogna tornare a discutere, a parlare di progetti e passioni, a costruire una sensibilità etica per la dignità dell'essere umano.
Io trovo motivi di insoddisfazione per l'incapacità del centrosinistra di contrastare alcuni fenomeni culturali come l'uso del corpo femminile nella pubblicità, nella televisione, nel cinema americano.
Negli ultimi anni c'è stato uno sfondamento culturale del qualunquismo, del razzismo più o meno velato, del primato del mercato e del privato. Non crede che la sconfitta dell'Ulivo sia dovuta a una subalternità culturale?
E' prevalso un atteggiamento di resa, di lassismo.
Si è diffusa la convinzione che non valga la pena opporsi a questo stato di cose.
Bisogna recuperare un atteggiamento fermo verso tutto ciò che offende la dignità.
Trovo sbagliato isolare dalla politica le questioni etiche, collettive e relegarle nel “moralismo” e da qui, poi, rifiutarle.
Preferisco parlare di questione morale e non di moralismo.
La morale è qualcosa di concreto, riguarda lo stare insieme ed è una condizione dalla quale la politica non può prescindere.
Non si possono sottovalutare le deformazioni nella sensibilità morale degli individui, rispetto alla dignità umana.
La destra è stata senza dubbio favorita da questo clima culturale di egoismo, canaglieria, sopraffazione.
I suoi politici - Bossi, ad esempio - teorizzano l'egoismo di classe, economico, individuale, in tutte le forme.
Anche la corruzione è un problema che riguarda la morale - non il moralismo - e va affrontata dalla sinistra ricostruendo un legame tra la politica e il sentimento della giustizia sociale.
Non si può tollerare la lentezza della giustizia, l'impunibilità di chi ha commesso i reati di Tangentopoli, né tantomeno il meccanismo di colpevolizzazione che ha investito i giudici da parte dei berlusconiani.
Gli intellettuali possono avere un ruolo nel recuperare la dimensione “morale”della politica?
Gli intellettuali hanno la specificità del linguaggio, non della moralità che è un fatto collettivo.
La loro capacità consiste nel dire le cose con le parole giuste.
Spetta ai politici mantenere viva la questione morale e non staccarla dalla tecnica.
Gli intellettuali sono partecipi della discussione sui principi etici.
Le categorie etiche cambiano, non sono immutabili.
In passato, ad esempio, la sensibilità morale per l'ambiente era debole nei confronti della logica del produttivismo.
La politica non può prescindere dall'etica, dalla discussione, dalle idee, dalle questioni concrete.
Altrimenti diventa pura tecnica e si separa dall'interesse collettivo.
Tonino Bucci
Roma, 4 febbraio 2002
da "Liberazione"